Un percorso coerente e coraggioso, come spiegare Stehler ai giovani
Giuseppe Montemagno, «Hystrio», luglio-settembre 2021
La pubblicazione di un importante volume, che ne ripercorre la parabola artistica, è l’occasione per fare il punto, in dialogo con l’autore, su quel che resta, oggi, dell’idea di teatro del Maestro e su come la si può raccontare alle nuove generazioni.
Tutto Strehler in venti lezioni. È questo l’ambizioso progetto di Alberto Bentoglio, faro degli studi teatrali alla Statale di Milano, che aggiunge un ulteriore, definitivo tassello alle sue indagini sulla storia del teatro (non solo) milanese, dalla Ricostruzione in poi. Nel periodo più buio della pandemia, infatti, ha approfittato di un corso di lezioni a distanza per raccogliere, sintetizzare, trasmettere il magistero artistico di Giorgio Strehler, il suo imprescindibile legame con il Piccolo Teatro, l’idea stessa di quel ‘teatro d’arte’ inteso come missione civile e artistica, negli anni in cui si stava ‘facendo’ l’Italia e la coscienza del rinnovato pubblico italiano. Da qui un volume, 20 lezioni su Giorgio Strehler, fresco di stampa per i tipi di Cue Press, 393 pagine in cui viene riassunta l’intera parabola artistica del grande regista, dal debutto nel 1943 fino al Così fan tutte rimasto incompiuto nel dicembre del 1997. Riflessioni, recensioni, foto di scena e l’imprescindibile, monumentale teatrografia costituiscono l’occasione per una riflessione su questo importante contributo.
Quasi un quarto di secolo dopo la sua morte, tenere un corso su Strehler – quindi fissarne la parabola umana e artistica sulla carta – significa traghettarne l’opera a una generazione che non ne ha mai visto gli spettacoli in scena. Come si assolve questo compito, come si ‘racconta’ l’attività di un grande Maestro del teatro del Novecento? E soprattutto cosa si decide di salvare, durante e dopo l’emergenza sanitaria?
Fortunatamente Strehler amava scrivere. Quindi i suoi spettacoli sono spesso accompagnati da diari di prova, note di regia, riflessioni sul testo che ci illuminano sul suo lavoro. E poi grazie al lavoro eccellente di Carlo Battistoni ci sono i video di alcuni suoi allestimenti (teatrali e musicali) che raccontano meglio di tante parole il suo teatro. Certo, mancano alcuni spettacoli storici (penso fra tutti all’Opera da tre soldi) ma molte fotografie di scena, bozzetti, musiche, documenti vari ci aiutano a ricostruire queste sue regie. Il teatro di Strehler credo vada salvato tutto: è un percorso coerente e coraggioso dall’inizio alla fine. Strehler non ha mai fatto nulla per caso.
Strehler amava considerarsi non un artista, ma «uno che fa il mestiere dell’interprete», «servo e padrone di ogni autore come il suo Arlecchino», annotava Squarzina. Eppure la ‘necessità’ dell’atto interpretativo sottintendeva sempre un’urgenza militante, particolarmente avvertita sin dagli anni della Ricostruzione: è ancora vivo il ricordo delle sue battaglie, è ancora in piedi il suo castello di ideali?
Le battaglie di Strehler sono quelle che il teatro sta affrontando ancora oggi e che affronterà sempre. Sono differenti i contendenti, ma gli ideali per i quali Strehler si è battuto sono, a mio avviso, sempre validi. Il teatro d’arte per tutti, l’Europa della cultura, quante cose ha detto Strehler trent’anni fa che ancora oggi sentiamo ripetere quotidianamente? In aula, durante le lezioni, ho imparato dalle osservazioni dei miei studenti ad apprezzare l’attualità di Strehler.
Accanto al teatro di prosa, Strehler ha firmato una cinquantina di regie liriche in cui si attiene al canone dell’«interpretazione dello spirito» dell’opera, in un dialogo fecondo con la dimensione musicale: forse gli spettacoli più frequentemente ripresi, tanto che alcuni (soprattutto i titoli mozartiani) fanno ancora parte del repertorio di alcuni grandi teatri. Sono invecchiati o invecchieranno, questi spettacoli?
Gli spettacoli d’opera invecchiano se non sono mantenuti vivi. La bohème di Zeffirelli, l’Aida di de Bosio, il Ratto dal serraglio o Le nozze di Figaro di Strehler sono regie vive e piene di energia. E poi mantenere la memoria delle migliori regie storiche del teatro musicale dovrebbe essere una priorità delle Fondazioni liriche. L’esempio che ci arriva dalla lunga e fortunata vita di Arlecchino dovrebbe fare riflettere.
Strehler è forse uno degli ultimi registi ad aver intrattenuto e alimentato un rapporto molto forte con i grandi ‘padri’ del teatro del Novecento, da Copeau a Jouvet a Brecht, tutti animati dal desiderio di un rinnovamento sociale: non è un caso se proprio l’Elvira di Jouvet venne scelta nel 1986 per inaugurare il Teatro Studio e la Scuola. Oggi è ancora viva l’eredità di Strehler?
L’eredità di Strehler è vivissima e si chiama Piccolo Teatro. Cambiano gli spettacoli, gli attori, i pubblici, cambia Milano, ma l’istituzione Piccolo Teatro è sempre solida, in ottima salute e artisticamente produttiva. Strehler (e Grassi e Nina Vinchi) ne sarebbero orgogliosi. Questo è, a mio avviso, il lascito più importante, la vera ‘eredità Strehler’, raccolta con onore prima da Luca Ronconi e Sergio Escobar, ora da Claudio Longhi.