Sei protagonisti un po’ anomali. Nel tracciato della cultura registica di Eduardo e Strehler. Con Pirandello da raccordo
Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»
Claudio Meldolesi (1942-2009) raccolse questi saggi nel 1987, quattro anni dopo la pubblicazione del volume che sarebbe diventato un classico, Fondamenti di teatro italiano. La generazione di registi, nel quale sono da ricercare le premesse di quel discorso che a suo avviso riguardava «il ritardo qualitativo» del nostro teatro, compreso «l’aggiornamento registico» che definiva un po’ anomalo, perché, negli anni Quaranta-Cinquanta, prima e dopo il conflitto mondiale, non esprimeva una sua particolarità nel campo della regia, della quale Meldolesi ha preferito analizzare la sua nascita, sia durante il periodo della formazione che in quello della maturità.
Per parecchi di noi Fondamenti di teatro italiano è stata una guida storica, oltre che metodologica, sia per la conoscenza pratica (Meldolesi aveva un diploma di attore), sia per il particolare uso di strumenti analitici, gli stessi che troviamo nel libro pubblicato da Cue Press, Fra Totò e Gadda. Sei invenzioni sprecate del teatro italiano, preceduto da una premessa di Laura Mariani che ben conosceva l’autore.
Come si può intuire, lo studio di Meldolesi riguarda sei protagonisti un po’ anomali del teatro italiano, si va da Totò, di cui analizza soltanto il suo lungo impegno di attore di teatro, prima dei successi cinematografici, al primo Eduardo, ovvero dell’attore che scrive del suo giovanile mondo poetico, dal Caffé Teatro all’Avanspettacolo, alla Rivista, prima delle grandi commedie dei Giorni dispari e della nuova tecnica rappresentativa, libera dagli influssi farseschi e dagli influssi pirandelliani, di cui aveva assimilato la scrittura, ma non certo la creatività.
Ritengo fondamentale il saggio su Mario Apollonio, essendo stato anche mio maestro, di cui analizza il doppio ruolo di teorico e di critico, quello esercitato sulle pagine della rivista «Drammaturgia» che, non aveva accettato del tutto l’avvento della regia, non ancora definita ‘critica’, perché esercitata tra gli anni Quaranta-Cinquanta, benché Apollonio avesse intravisto il passaggio dell’’attore versus regia’, riferendosi, in particolare, a Giorgio Strehler che, pur rispettando, in un primo momento, la cultura dell’attore, solo successivamente imporrà la cultura del regista.
Meldolesi riconosce lo sguardo dottrinario di Apollonio, la sua idea di teatro comunitario, inteso come coro, come assemblea, idea ripresa dai suoi allievi e portata avanti in maniera pratica, con la nascita del CRT, inoltre gli riconosce la certezza che nella regia si dovesse vedere una parte concreta di teatro. Un simile passaggio Meldolesi lo nota nel giovane Strehler, in quel suo primo approccio alla regia che sapeva di ‘avanguardia’, soprattutto nei dieci spettacoli che realizzò prima della nascita del Piccolo Teatro, quando, pur accettando il manierismo degli attori che dirigeva, si sforzò di indirizzarli verso una forma di compromesso con le esigenze della cultura registica, ovvero di quel senso critico che bisognava dare all’interpretazione, senso che maturò, secondo Meldolesi, già nella prima delle quattro edizioni dei Giganti della montagna che, messe insieme, designano un tracciato evolutivo della regia critica.
Proprio a Pirandello è dedicato il saggio successivo, essendo lo scrittore che segna un raccordo tra Eduardo e Strehler, ritenuto anche inventore di pratiche sceniche che avevano a che fare con la regia, non per nulla, Meldolesi analizza alcune messinscene che appartengono alla storia, come Questa sera si recita a soggetto del Living e I giganti della montagna di Strehler. L’ultimo capitolo è dedicato a Gadda, quello del suo lavoro alla RAI, durante il quale ebbe modo di conoscere attori e registi e quindi la pratica scenica che egli trasformò in una specie di laboratorio personale che segnò un confine tra narrazione e rappresentazione, confine che scoprì Luca Ronconi quando decise di portare in scena Quel pasticciaccio brutto di via Merulana. Gadda aveva scritto per il teatro un solo testo, Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, per un programma radiofonico nel 1958, di cui ricordo la prima messinscena, al Teatro Filodrammatici di Milano, con Paolo Bonacelli, nel 1966, regia Sandro Rossi.
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