Pubblicato da Cue Press Tutto il teatro di Anton Pavlovič Čechov
Valeria Ottolenghi, «Sipario»
Una grande impresa culturale: commedie, drammi e atti unici in un unico volume
Intanto grazie! Grazie per questo bel volumone con tutto il teatro di Čechov: il ringraziamento innanzi tutto a Mattia Visani, direttore della casa editrice Cue Press, e a Fausto Malcovati e Roberta Arcelloni che l’hanno curato con tanta competenza. Quante volte capita di andare a cercare questo o quel titolo di Čechov tra i nostri libri? Passando subito lo sguardo lungo gli Einaudi, collezione teatro. Personalmente ho anche altre edizioni – come per Molière e Shakespeare – ma certo mancava questa possibilità di passare da un testo all’altro con tanta agilità. E se ho il Platonov, ed. 1959, mi manca Spirito del bosco, qui ritradotto dopo molto tempo. E si legge nella nota introduttiva che così scriveva Čechov di questo testo «Odio questa commedia e cerco di dimenticarmene», ma si spiega poi come Zio Vanja, di sei, sette anni più tardi, sia figlio di quest’opera tanto detestata dall’autore.
La curiosità è grande. Vero! Già nelle prime pagine si colgono straordinarie affinità. «Il professore… vecchia mummia, stoccafisso erudito. Gotta, reumatismi, emicrania… E’ più geloso di Otello», si lamenta sempre, malgrado le sue molte fortune, una carriera universitaria con appoggi altolocati, parlando d’arte senza capirci nulla, vendendo ‘aria fritta’, e ha successo, famoso ovunque. Ed è anche un Don Giovanni, adorato dalla prima mogie, sorella di chi sta parlando, ne ha ora una seconda, bella e intelligente. «Mia madre, sua suocera, lo adora ancora e lui ancora le incute un sacro timore». Sì: qui già molto di Vanja. Ma forse l’autore aveva allontanato da sé Spirito del bosco con la memoria del suo fallimento in scena, poche repliche in un teatro privato, rifiutando quindi Čechov di pubblicarlo.
E’ Gorki a compiere una straordinaria sintesi, in qualche modo commovente, dello sguardo di Čechov, della sua scrittura: «Davanti a questa folla annoiata e grigia di esseri abulici, un uomo è passato, grande, intelligente, attento a tutto; ha osservato gli stanchi abitanti della sua patria… e ha detto loro con la sua bella voce sincera: ‘voi vivete male, signori!’». Ma c’è molto di più: i personaggi, i temi affrontati, le infinite questioni esposte spesso in forme nascoste, appena accennate tra le battute, risuonano meravigliosamente in ogni tempo. Si è recensito da poco Il giardino dei ciliegi per la regia di Leonardo Lidi (e con la traduzione dell’amato Malcovati: è sempre una gioia incontrarlo ai festival, ai convegni, e sempre s’impara): slitta il tempo, mutano alcuni caratteri (il fratello diviene sorella, la governante un attore – e sono solo degli esempi), ma l’opera conserva la sua energia, sospesa tra umorismo e malinconia. Lopachin canta Ritornerai di Bruno Lauzi, e tutti sembrano dei sopravvissuti a un tempo ormai finito, di cui non conviene avvertire la nostalgia.
Ma se si cerca nella memoria (e su YouTube) si trovano interpretazioni simboliste, a cabaret, riconoscendo subito Strehler, le battute lente, il biancore aristocratico. Jean Vilar riconosce il percorso di rifinitura, di ricerca dell’essenzialità in Čechov e, facendo riferimento a Platonov, che nell’introduzione a questo bel volume Cue si ricorda come non fosse ripubblicato da tempo, scrive di «brogliaccio, capolavoro… Tutto è bello, ma, sembra, irrecitabile… bisogna ammettere che il giovane scrittore ha saputo imporsi fin d’allora un cammino severo per raggiungere la chiarezza, l’ordine drammaturgico del Gabbiano o del Giardino dei ciliegi», sottolineando come Čechov segni una svolta definitiva per il teatro: «All’alba di questo XX secolo non è soltanto Dio che è morto, non è soltanto nella vita e nella morale che tutto è possibile. E’ morta anche, e per sempre, la concezione aristotelica del teatro. Si può fare tutto. Tutto è permesso. Tutto è possibile», ricordando la data di morte del grande autore russo, 1904. Già: l’alba del XX secolo.
Anche Ettore Lo Gatto, nell’introduzione al già citato Platonov, evidenziava come lo studio dei tagli da parte di Čechov a quel lavoro giovanile «mirasse già a quella precisa caratterizzazione dei suoi eroi dal duplice punto di vista, psicologico e ambientale». Una meraviglia poter passare da un’opera all’altra in questa volume Cue, il primo della collana I Grandi se non si sbaglia. Anche Vittorio Strada evidenzia questo percorso di accurato rigore che è nello stesso tempo innovazione: «Rispetto alle prime prove drammatiche la tetralogia non è semplicemente una fase più matura: essa ha il senso di un passaggio dalla naturalità all’astrazione… così in Čechov dal dramma tradizionale si arriva, in tutta la tetralogia, ma soprattutto nelle Tre sorelle e nel Giardino dei ciliegi a quell’opera astratta come una sinfonia di Čajkovskij’ di cui parlava Mejerchol’d».
E non si può dire di Čechov senza nominare il Teatro d’Arte, Stanislavskij: sono noti i dissensi tra autore e regista. E’ Angelo Maria Ripellino, in Il trucco e l’anima. I maestri della regia nel teatro russo del Novecento a ricordare come Čechov considerasse in particolare Il giardino un’allegra commedia, «quasi un vaudeville», e invece il regista «un pesante dramma di vita russa». Tuttavia Stanislavskij sembra riconoscere a Čechov, ripensato a distanza, il suo autore e amico ormai deceduto, quell’aspetto del carattere rintracciabile anche nelle opere: «Dove c’era lui, anche malato, regnava spessissimo la parola scherzosa, lo spirito, la risata ed anche la farsa. E capita così anche nelle sue opere».
«Andiamo a teatro per trovare la vita, ma se non c’è differenza tra la vita fuori dal teatro e quella al suo interno, allora il teatro non ha più senso. Non c’è nessuna ragione di farlo. Ma se accettiamo il fatto che la vita nel teatro è più visibile, più vivida che all’esterno, allora riusciamo a capire come sia contemporaneamente la stessa cosa e qualcosa di diverso…». Perfetta la definizione di teatro in Peter Brook, di cui si ricorda con emozione di aver visto, nel suo teatro a Parigi, il Théâtre des Bouffes du Nord, Ta main dans la mienne, tratto dalle lettere che per sei anni Anton Čechov e sua moglie, l’attrice russa del Teatro d’Arte Olga Knipper, si scambiarono, spesso distanti per la malattia di lui, la passione del teatro di lei, protagonisti Natasha Parry, moglie di Peter Brook, e Michel Piccoli.
Spiega ancora Peter Brook in La porta aperta: «La vita nel teatro è più leggibile ed intensa perché è più concentrata. Nella vita parliamo per mezzo di un disordinato chiacchiericcio fatto di ripetizioni… La compressione consiste nel rimuovere tutto quello che non è strettamente necessario e nell’intensificare ciò che rimane, come mettendo un aggettivo forte al posto di uno più blando pur conservando l’impressione della spontaneità». Quale l’esempio perfetto? Čechov naturalmente!: «Con Čechov, il testo dà l’impressione di essere stato registrato su nastro, di prendere le sue frasi dalla vita di ogni giorno. Ma non c’è frase di Čechov che non sia stata cesellata, levigata, modificata con grande arte e maestria, così da dare l’impressione che l’attore stia parlando ‘come nella vita di ogni giorno’… bisogna essere consapevoli che ciascuna parola, anche se ha l’aria di essere innocente, non lo è…».
Pensiero verificabile: per molti testi drammaturgici, per Čechov in particolare. Tutto è necessario, ogni parte si relaziona con le altre, in una struttura ‘leggera’ e potente. Meyerhold in La rivoluzione teatrale critica l’eccesso di ricerca naturalistica stanislavskijana: «si potrebbero citare un’infinità di esempi delle assurdità cui è giunto il teatro naturalista seguendo il principio della riproduzione esatta della verità» e riprende frammenti di dialoghi tra Čechov (turbato all’idea che per il Gabbiano si sarebbero uditi «il gracidio delle rane, il frinire delle cicale, l’abbaiare dei cani») e alcuni attori del Teatro d’Arte. Di fronte alla difesa del realismo, Čechov risponde con parole che paiono rendere eco quelle di Peter Brook: «La scena è arte, riflette la quintessenza della vita e non vi si deve introdurre nulla di superfluo».
Collegamenti