Robert Musil, Teatro – a cura di Massimo Salgaro
Nicola Arrigoni, «Sipario»
Musil e il teatro del sottosuolo. Cue Press pubblica i testi dell’autore dell’Uomo senza qualità
«Stato dell’amore, della contemplazione, della visione, dell’avvicinamento a Dio, dell’estasi, dell’assenza di volontà, della meditazione: così è stato chiamato. Nell’immagine di questo mondo non esistono né misura, né esattezza, né scopo, né causa. Il bene e il male sono semplicemente soppressi, senza che sia necessario esimersene. E a tutti questi rapporti subentra un confluire del nostro essere con l’essere delle cose».
Ed è questo stato dell’amore che confligge con lo stato di realtà, lo status borgese, della felix Austria positivista nei testi teatrale di Robert Musil, pubblicati da Cue Press, volume a cura di Massimo Salgaro (pagine 148, 24,99 euro). Ed è questo il filo conduttore dei tre testi presentati: Preludio al mélodrame Lo zodiaco, inedito fino ad ora in Italia, I fanatici e Vinzez e l’amica degli uomini importanti.
Si tratta di tre testi non di immediata lettura, ma che raccontano con potenza «la lotta di Umo contro i pilastri della società borghese». Scrive Salgaro nella lunga e dotta introduzione: «Questa ribellione, propria di quella gioventù che si affaccia dopo la Grande Guerra sul palcoscenico della cultura occidentale, è sia la protagonista dei drammi musiliani, sia quella di una generazione di letterati che per la maggior parte erano affidati all’espressionismo e alle avanguardie».
Ed infatti il Preludio è costruito da Musil sul modello del teatro espressionista che l’autore tiene come modello, ma cerca di trascendere, di smontare. Si legge nel testo di Salgaro: «Dell’espressionismo Musil non stigmatizza solo il giovanilismo, ma l’incapacità di produrre un sapere su quello che scherzosamente ha definito il buco dell’anima. L’espressionismo aveva goffamente cercato di liberarsi dai lacci della cultura occidentale per far risuonare il proprio urlo. (…) Per Musil la ricerca del linguaggio è un atteggiamento costruttivo che non si limita alla semplice rivolta, che anzi cerca ossessivamente un contatto con la realtà quotidiana e con il sapere convenzionale».
Ed è in fondo questo che si mette in scena ne I fanatici e in Vinzenz, una sorta di scontro fra chi ha la fortuna (o la condanna?) di vivere di certezze, di un sapere scientifico tetragoni e ha tutto compreso di sé stesso e chi è invece in cerca o in balia di un altro stato, quello stato dell’amore che non conosce compromessi né sfumature e rappresenta l’alternativa alla stabilità borghese, ai codici della società civile e tradizionale. Il tema portante è quello dell’alterità «che nel Preludio è ancora inserita in un clima fiabesco e di velleitaria rivoluzione sociale, nei drammi più maturi diventa quell’altro stato che cerca il contatto con lo stato normale», osserva Salgaro. E questo accade in I fanatici in cui luogo dell’azione è una casa di campagna in cui si confrontano Thomas, un affermato scienziato, la sua bella moglie Maria, Regine, sorella di Maria, sposata con Josef e vedova di Johannes, e il ricercatore fallito Anselm. Il detective Stader, ingaggiato da Josef, dimostra che Anselm è in realtà un impostore e un seduttore che costringe Maria a fuggire con lui. A rimanere nella casa sono Thomas e Regine che si scoprono essere simili. Secondo il disegno di Musil i personaggi – che vivono interminabili confronti dialettici in un profluvio di parole – sono fanatici sognatori, ovvero apostoli di una realtà alternativa che si oppone allo stato normale.
In Vinzenz e l’amica degli uomini importanti si racconta di una donna Alfa, attorniata da uno stuolo di ammiratori, uomini beta di cui si indicano solo le professioni: politico, musicista. Si legge nell’introduzione: «Nobilitati dal proprio nome sono Barli, commerciante che minaccia di uccidersi se Alfa non dovesse consentire al loro matrimonio, Vinzenz, un ex fidanzato e amico d’infanzia di Alfa e il dottor Apulejus-Halm, il marito di Alfa. La menzogna è la vera protagonista di questa farsa».
E il potere disvelante della menzogna, una realtà altra, inventata, un po’ come quella rincorsa da ogni sognatore, abitatore di quell’altro stato che non può e non vuole sottostare alle regole delle convenzioni borghesi, alle regole della quotidianità e normalità, alle regole della causa ed effetto. Tutto questo salta paradossalmente e grottescamente nel teatro di Musil e allora quello stato d’amore può essere forse l’inconscio freudiano, è sicuramente l’autenticità di un’infanzia vissuta e ri-vissuta come l’età della libertà pulsionale. Attraverso interminabili discussioni, i suoi protagonisti descrivono ciò che l’autore ha chiamato «l’altro stato», l’utopia e il possibile: una realtà alternativa dove i criteri e il conformismo dello «stato normale», in cui tutti noi viviamo, si dissolvono. Nel teatro musiliano sembra ritrovare l’eco di quel due più due non fa sempre quattro del protagonista delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij.
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