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Per una sociologia di Stranger Things
13 Febbraio 2024

Per una sociologia di Stranger Things

Ludovico Cantisani, «ODG Magazine»

La casa editrice Cue Press di Bologna ha dato di recente alle stampe il volume collettivo I segreti di Stranger Things, raccolta eterogenea di saggi a cura di Kevin Wetmore jr., professore di teatro e cinema in Marymount. Sin dal sottotitolo del libro – Nostalgia degli anni Ottanta, cinismo e innocenza – si intuiscono alcune delle principali direttive che prendono le variegate analisi della serie televisiva condotte da un team internazionale di accademici che in Stranger Things ha individuato uno dei prodotti culturali più rappresentativi del nostro tempo.

Stranger Things è effettivamente una delle serie che, nell’ultima decade, hanno avuto maggiore influenza sull’immaginario collettivo. Rappresenta a un grado particolarmente cristallino quella tendenza delle narrazioni contemporanee a ripercorrere – in termini di remake più o meno dichiarati – a precedenti storytelling e franchise che hanno goduto di successo nei decenni passati, in una sorta di omogeneizzazione generazionale del pubblico che porta tanto i più anziani ad identificarsi nelle nuove storie quanto i più giovani a incuriosirsi alle vecchie.

Tra gli elementi sorprendenti della costruzione narrativa di Stranger Things sin dalla prima stagione era stato rilevato che i fratelli Duffer, ideatori, showrunner e principali registi della serie Netflix, avevano plasmato un calibratissimo pot-pourri di classici della fantascienza e dell’horror occidentale, con una particolare predilezione per i film degli anni Ottanta con cui loro stessi erano cresciuti: titoli piuttosto eterogenei tra loro, al di là del genere fanta-horror di partenza, come E.T., La cosa, Alien, Indiana Jones, It, Jurassic Park, Incontri ravvicinati del terzo tipo, si trovavano ad essere omaggiati uno dopo l’altro da citazioni ed easter egg posti all’interno della serie, all’interno di linee narrative apparentemente in grado di ‘digerire’ e rielaborare in un continuum spontaneo e autonomo un numero esorbitante di situazioni già viste in altri film, serie, videogiochi e fumetti dei decenni passati.

I segreti di Stranger Things praticamente in tutti i saggi parte da una valutazione positiva della serie: non è un’opera di critica cinematografica o audiovisiva, bensì di critica dell’immaginario e, per quanto molto legata a un’impostazione accademica di scrittura, molti dei saggi raccolti nel volume aprono interconnessioni notevoli tra diverse discipline, illuminando di riflesso lo stesso significato di Stranger Things verso una ricchezza e una stratificazione che a una prima visione potrebbero sfuggire. Stranger Things resta un prodotto di massa astutamente costruito attorno a un omaggio quasi ossessivo dei cult con cui almeno due o tre generazioni sono cresciute, ma, «analogamente alle pietre miliari culturali del decennio che omaggia tanto scrupolosamente, Stranger Things è intrisa di sottotesti più cupi che spesso passano inosservati, e affronta le ansie culturali prevalenti sia allora che oggi in maniera più diretta di quanto le venga riconosciuto», afferma la regista arthouse e docente accademica Rose Butler all’inizio del suo saggio.

Svariati degli interventi raccolti ne I segreti di Stranger Things sono monograficamente dedicati ad esplorare le connessioni e le citazioni tra la serie dei fratelli Duffer e altre opere di intrattenimento uscite negli ultimi tre decenni del Novecento: il testo posto in apertura alla raccolta, La rinascita dei figli di King, riflette sulla pesante eredità kinghiana che si porta appresso la serie, tra Carrie, It e Fenomeni paranormali incontrollabili, giusto per citare i tre omaggi più smaccati; altri capitoli indagano nel dettaglio i riferimenti al cinema di Steven Spielberg, o al cinema di John Carpenter, non solo per l’evidente richiamo a La cosa, ma anche per una comune tendenza, da parte di Carpenter e i fratelli Duffer, a ibridare western e fantascienza a livello di situazioni e personaggi; più sorprendente il saggio, scritto a quattro mani da due studiosi latino-americani, che punta a dimostrare convergenze – e almeno un easter egg esplicito – tra Stranger Things e tre serie teen – fantasy andate in onda sulla televisione colombiana alla fine degli anni Ottanta.

Per quanto Stranger Things debba molto del suo successo proprio alla ricchezza delle sue citazioni e a un’astuta modalità di rielaborare linee narrative a cui il pubblico è già famigliare, i saggi raccolti nel volume di Wetmore non mancano di evidenziare momenti di originalità e di meta-consapevolezza da parte della serie, con i fratelli Duffer e i loro collaboratori creativi impegnati talvolta in una vera e propria decostruzione dei codici di genere. Rilevante in questo senso è la riflessione sulla morte di Barb, personaggio secondario della prima stagione che al momento della sua uccisione sullo schermo da parte del Demogorgone aveva suscitato reazioni contrastanti da parte degli spettatori.

«La morte di Barb è uno dei modi drastici in cui Stranger Things sovverte le convenzioni degli slasher ed è un indicatore precoce di quanto la serie desideri ribaltare le nostre aspettative:… Barb, che si dissocia dai giochi alcolici e siede sola mentre gli altri si ritirano nelle stanze al secondo piano, inizialmente sembra ricoprire il ruolo della final girl. Casta e sensibile, resta ai margini. Il fatto che venga catturata dal Demogorgone – soprattutto mentre gli altri stanno facendo sesso – mira brutalmente il conservatorismo perpetuato dal ciclo degli slasher degli anni Ottanta».
Così scrive sempre la Butler nel suo intervento.

I segreti di Stranger Things affronta attentamente anche le questioni economiche, sociali e politiche che la ri-ambientazione della serie negli anni Ottanta, durante la presidenza Reagan, porta con sé. «Il personaggio di Matthew Modine, il dottor Martin Brenner, è essenzialmente il dottor Frankenstein con ideali reaganiani; arranca con i suoi esperimenti per conto del Dipartimento dell’Energia, in nome della bandiera americana», afferma Melissa Kaufler nel suo saggio sulla rappresentazione del corpo femminile nella serie. Particolarmente interessante la disamina del personaggio di Joyce Byers, interpretato da Winona Ryder, da parte di Lisa Morton, che evidenziando come «attraverso la retrocessione sociale del personaggio di Ryder, siamo costretti a rivedere il nostro giudizio sugli anni ottanta: decantati dai media come un periodo di prosperità generale, ci appaiono ora come un’era di grandi divari finanziari e di classe e di economia fallimentare».

In questa rappresentazione realistica delle condizioni economiche medie negli anni Ottanta soprattutto delle donne, Stranger Things mostrerebbe una maggiore oggettività rispetto a un’opera super-cult di Spielberg, E.T., che pure è costantemente omaggiata dalla serie dei fratelli Duffer. E.T. è una sorta di fiaba fantascientifica continuamente costellata di momenti che mettono alla prova il principio di realtà:

«Ma la vera invenzione di E.T. è la sua rappresentazione della classe media. La mamma di Elliot, Mary, si è recentemente separata dal marito; quando Elliott accenna al fatto che suo padre sia in Messico con Sally, Mary si deprime. Lei è ora la madre lavoratrice di tre bambini, che cerca di bilanciare il lavoro con i doveri genitoriali. Eppure, la loro casa sembra essere di almeno duecentottanta metri quadri: una casa nuova in un nuovo complesso residenziale».

Più di un saggio della raccolta di Wetmore riflette sulla possibilità che il Demogorgone e tutto l’immaginario del Sottosopra alludano anche all’epidemia di AIDS scoppiata proprio nel cuore degli anni Ottanta. Del resto, i sottotesti della serie riguardanti l’omosessualità, e in particolare l’identità sessuale del protagonista Will Byers, erano parsi evidenti sin dalla prima stagione, creando grande dibattito e speculazione tra fan e detrattori fino ad arrivare al coming out sui social dell’interprete del personaggio, Noah Schnapp.

«Vedere Will come personaggio queer conferisce ancora più credibilità all’idea che la serie si esprima direttamente sull’Aids e sulle battaglie degli uomini gay negli anni Ottanta. Questa analogia diviene particolarmente pertinente nella seconda stagione, quando il Mostro Ombra prende il possesso del corpo di Will». Così scrive Emily Roach nel saggio della raccolta intitolato Aids, omofobia e il mostruoso sottosopra. «Il mostro è definito in maniera ambigua, un mutaforma descritto spesso attraverso il linguaggio proprio della malattia e dell’infenzione. Il mostro è un virus e il corpo di Will è il suo ospite».

Particolarmente interessante sul tema del gender e dell’orientamento è anche il saggio di Elsa Carruthers Rivisitando la femminilità mostruosa e i genitori mostri in Stranger Things, in cui vari personaggi e varie componenti visivo-iconiche della serie, a cominciare dal personaggio di Undici interpretato da Millie Bobby Brown, vengono ricondotti a un archetipo di femminilità primordiale, medianica, a cavallo tra i due mondi, a cui più volte lo stesso Stephen King aveva attinto.

Come per la celebre regola 34 del web – «se qualcosa esiste, allora c’è la sua versione porno» – è inevitabile che ogni fenomeno di costume che coinvolge e aggiorna l’immaginario collettivo si trascini dietro di sé un dibattito che va molto al di là dell’apprezzamento o della squalifica del singolo prodotto culturale e audiovisivo, e spesso sfocia in un contesto accademico. Storicamente è stata proprio l’Italia, nella figura di Umberto Eco, assieme alla Francia con Roland Barthes, a dare un contributo significativo alla rilettura dell’immaginario popolare attraverso metodologie e strumenti ‘colti’, anche se questa tendenza ha attecchito, a livello universitario e giornalistico, soprattutto negli Stati Uniti. La stessa Stranger Things non è nuova a iniziative di questo genere, e un paio d’anni fa era uscita, a cura di Jeffrey A. Ewing e Andrew M. Winters, un’analoga disamina della serie intitolata La filosofia di Stranger Things, più attenta alle componenti storiche e religiose insite nel sottotesto dell’universo narrativo dei fratelli Duffer anziché alle implicazioni economiche e sociologiche.

A differenza però di analoghe operazioni che volevano a tutti i costi trovare messaggi filosofici in opere di consumo o insegnare la fisica attraverso film che di scientifico non avevano nulla, entrambi i volumi e in modo particolare I segreti di Stranger Things colpiscono per la fondatezza delle loro affermazioni e la solidità delle nuove prospettive che aprono su uno dei prodotti più popolari dell’immaginario contemporaneo. Leggere ‘contropelo’ un’opera seriale vista da milioni di spettatori in tutto il mondo innesca in queste pagine un cortocircuito che illumina, di fatto, mezzo secolo di storia e immaginario occidentale: la serie ‘spiega’ gli anni Ottanta, gli anni Ottanta spiegano la serie, ma anche e soprattutto la fascinazione nostalgica per gli anni Ottanta di cui Stranger Things è sintomo e propagatrice spiega il nostro oggi, le nostre ambiguità e le nostre rimozioni – e al centro di ogni cosa resta lo sguardo freddo ma tutt’altro che morto di un demiurgo-Demogorgone.

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