L’Ottocento a teatro tra commedie borghesi e drammi veristi
Lorena Vallieri, «Drammaturgia.it»
Grazie alla casa editrice imolese CUE press sono nuovamente disponibili in formato cartaceo e digitale alcuni dei primi contributi di Siro Ferrone dedicati al teatro dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento: Il teatro di Verga (1972), Commedie e drammi borghesi (1979) e gli atti dei convegni Teatro dell’Italia unita (1980). Pagine pioneristiche, scritte in anni in cui la Storia dello spettacolo stava muovendo i suoi primi passi come disciplina autonoma, ma in cui già si trova quell’attenzione puntuale alla messinscena, al pubblico e, soprattutto, all’attore e alle prassi recitative che caratterizzerà gli scritti successivi di Ferrone.
Il primo volume rivaluta la drammaturgia di Giovanni Verga a fronte di una critica letteraria che la considerava ‘superflua’ rispetto alla comprensione dello scrittore anziché «un laboratorio parallelo e funzionale alla pratica narrativa, ma anche sezione autonoma dello scrivere verghiano in rapporto alle premesse particolari di quel genere» (p. 7). Ferrone guarda anzitutto al contesto storico, sociale e culturale in cui i singoli drammi furono pensati, a partire dal soggiorno fiorentino del maggio-giugno 1865 (pp. 10-36). Nella città toscana, appena diventata capitale del Regno d’Italia, erano attivi una decina di teatri, solidi di una forte tradizione ma aperti a tutti i generi: dall’opera lirica alla commedia, dai concerti musicali alla farsa. Quei foyer erano animati da vivaci dibattiti sulla creazione di un teatro nazionale che fosse in grado di educare il pubblico ai nuovi ideali di una moralità laica e liberale. La ‘riforma’ partiva dalla consapevolezza che il problema centrale del nostro teatro era la mancanza di testi formalmente rilevanti, ‘decorosi’, come lo erano ai tempi di Goldoni e Alfieri. In questo clima va pensata la scrittura del romanzo Una peccatrice, in cui si trovano le prime tracce dell’interesse di Verga per il teatro, «sia inteso nelle sue valenze sociali come rapporto fra autore e pubblico all’interno della società borghese, sia considerato teoricamente, sia pur con osservazioni disordinate e implicite, nei suoi problemi espressivi» (p. 16).
Occorre però attendere il secondo soggiorno fiorentino (1869) perché Verga diventi un assiduo frequentatore dei palchi dei migliori teatri cittadini, nonché amico di impresari, attrici e critici, in primis Francesco Dall’Ongaro e Luigi Capuana. Degli uni e degli altri il siciliano parla a lungo nelle lettere ai propri familiari. Una fonte preziosa per ricostruire la vita culturale dell’epoca. A quello stesso anno risale anche la notizia secondo la quale Verga starebbe scrivendo una commedia. Sappiamo che quella sua prima drammaturgia ottenne il parere positivo dell’influente Dall’Ongaro: «Mi piace assai […] e garantisco io del successo».
Ma la mancanza di indicazioni relative al titolo e al contenuto hanno suscitato perplessità fra gli studiosi circa la sua identità. Ferrone, grazie a inedite evidenze documentali, la identifica in via definitiva con la prima versione di Rose caduche, pubblicata postuma, nel 1928, sulla rivista Maschere di Catania. Un dramma che molto deve al modello di Alexandre Dumas figlio e al già ricordato romanzo Una peccatrice, a cui la lega un rapporto di stretta dipendenza. Come dimostrano le varianti e le derivazioni strutturali e stilistiche accuratamente rilevate. Dalla narrativa alla scena (pp. 38-64).
La trattazione prosegue in senso diacronico. Nelle pagine successive vengono affrontati i cosiddetti drammi veristi: da Cavalleria rusticana (1884) e In portineria (1885) – che seguono le più mature creazioni narrative di Vita dei campi (1880), Malavoglia (1881) e Novelle rusticane (1883) e che risentono del clima culturale che si respirava a Milano, dove Verga si era trasferito nel 1872 (pp. 66-131) –, alle complesse vicende redazionali de La Lupa, riletta in maniera originale attraverso i sei copioni attualmente disponibili (pp. 132-174). Un’esperienza che segna Verga. Dopo le fatiche della tournée parigina del 1908-1909 si registra un suo progressivo allontanamento dai palcoscenici, che rifugge anche come spettatore. L’attenzione si concentra sulla stesura dell’incompiuta Duchessa, dal cui laboratorio nascono i bozzetti scenici Caccia al lupo e Caccia alla volpe (1901), seguiti dal dramma Dal tuo al mio (1903) (pp. 176-212). Chiude il volume una appendice con un primo censimento delle principali rappresentazioni dei drammi verghiani tra il 1884 e la morte del drammaturgo, avvenuta il 27 gennaio 1922 (pp. 214-216).
L’antologia Commedie e drammi borghesi, divisa in tre tomi, venne pubblicata per la prima volta nella importante collana Teatro italiano diretta da Guido Davico Bonino per la casa editrice Einaudi. Si apre con una Introduzione in cui si ripercorrono le trasformazioni – che Ferrone ritiene tempestive rispetto alla storia e alla politica contemporanee – del repertorio, del rapporto tra differenti generi (tragedia, commedia e farsa), dell’organizzazione delle compagnie, della recitazione e della stessa teoria drammaturgica in un arco cronologico che va dalla Rivoluzione Francese alla Prima Guerra Mondiale (pp. 6-43). Decenni in cui il teatro fu l’arte che più rapidamente raccolse i segni dei tempi, convertendoli in elementi formali e tematici nuovi, e armonizzandoli con la tradizione, fino a manifestare, al termine del periodo in questione, un volto e una identità profondamente mutati rispetto a quelli di partenza.
Un percorso che si può seguire attraverso drammaturgie spesso poco note, qui riproposte in una edizione attenta agli aspetti materiali del teatro: L’Aio nell’imbarazzo di Giovanni Giraud (1807), La fiera di Alberto Nota (1817, 1826), Ludo e la sua gran giornata di Francesco Augusto Bon (1833) (to. I); L’opera del Maestro Pastizza di Edoardo Ferravilla (1880 ca.), Miseria e Nobiltà di Eduardo Scarpetta (1887), Cavalleria rusticana di Verga (1884), La moglie ideale di Marco Praga (1890), El nost Milan: la povera gent di Carlo Bertolazzi (1893), ’O mese mariano di Salvatore Di Giacomo (1900), Come le foglie di Giuseppe Giacosa (1900) (to. II); Goldoni e le sue sedici commedie nuove di Paolo Ferrari (1851), La morte civile di Paolo Giacometti (1861), Le miserie d’Monssú Travet di Vittorio Bersezio (1863), I mariti di Achille Torelli (1867) (to. III). Ogni commedia è corredata da una nota biografica del drammaturgo in cui si forniscono anche notizie sulla pièce e indicazioni bibliografiche essenziali. Ciascun tomo si conclude con una utile Appendice che pone l’accento sull’organizzazione, la messa in scena, la recitazione e le teorie del teatro.
Ancora in corso di stampa il volume Il teatro dell’Italia unita, che raccoglie gli atti di due convegni organizzati dal Gabinetto G.P. Vieusseux tra il 1977 e il 1978. Due proficue occasioni di incontro e dibattito per rivalutare il rapporto tra prosa e lirica, principali espressioni dello spettacolo ottocentesco. Senza tralasciare considerazioni su alcuni aspetti chiave della recitazione, della ‘regia’, della scenografia e dell’economia dello spettacolo. Avremo modo di meglio approfondire non appena la pubblicazione sarà disponibile.
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