Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

15 Gennaio 2024

Con Jon Fosse, dentro quel buio luminoso

Roberto Canziani, «Hystrio», XXXVII-1

Ne hanno parlato così tanto i giornali, che era poi logico veder schizzare Jon Fosse, Premio Nobel 2023 per la letteratura, nei posti alti delle classifiche nelle librerie. Alti se confrontati con lo spazio residuo che il teatro occupa oggi nell’editoria italiana. Ha fatto quindi bene Cue Press a rimettere velocemente in circolazione tre lavori teatrali dell’autore norvegese (Jon Fosse: Teatro. E non ci separeremo mai, Qualcuno verrà, Il nome, a cura di Vanda Monaco Westerståhl, Imola (Bo), Cue Press, 2023, pagg. 144, euro 22,99). I primissimi. Quelli datati anni Novanta. Quelli in cui più puro si manifesta il dettato freddo, aurorale, della sua scrittura per il teatro. «Jon Fosse merita di figurare tra i cento geni viventi in tutto il mondo» spara la quarta di copertina del volume. Anche se è ben più ridotto il numero dei direttori e programmatori teatrali italiani che alla proposta di mettere in cartellone un suo testo risponderebbero con un sì. Il sistema teatrale italiano è diffidente, e il teatro di Fosse dovrebbe essere introdotto omeopaticamente nelle nostre programmazioni, per potersi manifestare, anni dopo, in tutta la sua potenza.

Era ciò che aveva tentato di fare chi ora scrive questa nota, quando vent’anni fa propose ad AstiTeatro 2003 l’allestimento di alcuni testi dell’allora sconosciutissimo norvegese. La fortunata prima versione italiana di Inverno con Valter Malosti e Michela Cescon, collocò per la prima volta il nome di Fosse nell’albo d’oro dei Premi Ubu. Lo fece aprendo al pubblico la cappa dei suoi silenzi, delle sue sospensioni, di quei cieli grigi e boreali. Un ‘buio luminoso’ (così dice il bel titolo di uno scritto che il critico Leif Zern gli aveva dedicato) che si ritrova facilmente in questa nuova edizione, curata e tradotta da Vanda Monaco Westerståhl. Dalle solitudini di Qualcuno verrà (nella vecchia casa in rovina immaginata da registi come Sandro Mabellini prima e Valerio Binasco poi), a E non ci separeremo mai e Il nome, con personaggi che sembrano schizzati fuori da un quadro di Edward Hopper. Già nel 2006 Editoria&Spettacolo, per la cura di Rodolfo di Giammarco, e più tardi Titivillus avevano tentato l’impresa. Forse non era stato sufficiente. Ora, con il Nobel e il rientro in libreria, il lavoro di diffusione delle opere teatrali di Fosse, cui si è votata Cue Press, potrebbe dare risultati più sostanziosi. E più soddisfazioni.

15 Gennaio 2024

Premio della Critica 2023, un parterre d’eccellenza

Alice Strazzi, «Hystrio», XXXVII-1

Il 20 novembre il Teatro Gobetti di Torino ha accolto gli undici premiati dell’edizione 2023 dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro: Natale in casa Cupiello, spettacolo per attore cum figuris, di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia, con la regia di Lello Serao; Arturo Cirillo, Laura Curino, Fabrizio Ferracane, Manuela Mandracchia, Tindaro Granata (nuovamente vincitore del premio a dodici anni di distanza, questa volta segnalato anche per la direzione artistica di Tindari Festival) e Danio Manfredini. E poi ancora Crest di Taranto, per l’intervento in un’area di criticità ambientale; Edizioni Cue Press di Mattia Visani per la sua attenzione alla nuova drammaturgia; Mercurio Festival di Palermo diret- to da Giuseppe Provinzano; e la compagnia Stivalaccio Teatro di Vicenza per il riadattamento degli stilemi della Commedia dell’arte.

Altri premi sono arrivati dalle due riviste gemellate: Catarsi-Teatri della diversità ha scelto di segnalare il coreografo Vito Alfarano, direttore di AlphaZTL Compagnia d’Arte dinamica; mentre Paolo Cantù (foto: Luigi De Palma), direttore artistico e generale presso la Fondazione I Teatri di Reggio nell’Emilia, è il vincitore del Premio Hystrio-Anct per «la lucida follia» con cui ha saputo «attraversare i più diversi campi dell’organizzazione, ampliando il proprio sapere con estensione pari alla profondità, con la consapevolezza di avere una missione culturale e civile». È andato infine a Ferruccio Soleri, maestro indiscusso della Commedia dell’Arte, il Premio Poesio alla carriera.

15 Gennaio 2024

Sulle strade d’Europa in cerca dei Maestri

Ilaria Angelone, «Hystrio», XXXVII-1

Più libri convivono in Strade maestre, road book scritto in tempi di pandemia, quando la disperazione era sempre dietro l’angolo e si sentiva il bisogno di ancorarsi. Nove personalità del teatro europeo, nove ‘Maestri’ riconosciuti come tali dai due autori, sono i protagonisti di altrettanti incontri avvenuti da Berlino a Parigi, da Losanna a Palermo. Maestri che, in qualche modo, Corrado d’Elia e Sergio Maifredi considerano punti di riferimento capaci di illuminare «il senso stesso del fare teatro, la sua forma, i metodi, le modalità e le nuove strade». Persone a cui rivolgere una domanda (più domande, in verità) sul senso, non soltanto del mestiere, ma della vita stessa. Ne nascono nove racconti che sono insieme testimonianze di vita e stimoli potentissimi alla ricerca e alla riflessione personale. Il rigore di Peter Stein, con il suo appello allo studio, la sensibilità e l’umanità di Eugenio Barba, la provocatorietà di Ostermeier, le visioni sceniche che hanno segnato Latella, la spigolosità di Warlikowski, la capacità di ascolto e accoglienza di Mnouchkine…

Non una delle persone incontrate e intervistate delude ed elude le domande proposte; nelle risposte, tutta la profondità di menti abituate al pensiero. Ed è la prima lettura, che si beve a piccoli sorsi, meditandoli. Poi c’è il racconto del viaggio: d’Elia e Maifredi, cui si aggiungono Ruggiero Di Benedetto (fotografo) e Ruggiero Torre (videomaker), percorrono le strade di mezza Europa, prendono aerei, treni, viaggiano in auto. C’è il loro sguardo sui luoghi. C’è la loro esperienza del viaggio condiviso, tra silenzi e sguardi di intesa, c’è il loro vissuto a ridosso degli incontri. Ed è una lettura appassionante, per la varietà dei colori utilizzati nel tracciare i diversi ‘ritratti‘ e per la sincerità che vi traspare, un’onestà di pensieri e sentimenti che dipinge i due autori come clerici vagantes sulle strade di una ricerca in cui vien facile rispecchiarsi. Poi ci sono le immagini, fotografie dei luoghi e degli incontri avvenuti, un’ancora alla concretezza dei corpi in epoca di dilagante realtà virtuale. E a queste immagini, raccolte in selezionata scelta nel volume, sappiamo essere affiancate delle riprese video, che di questo viaggio, ideale complemento, andranno a costituire un documentario, una sorta di Europa fra le righe dove a parlare sono indubbi maestri del tea- tro consegnati così alla memoria. Un bel progetto, non c’è che dire.

15 Gennaio 2024

Teatro, un concetto plurale: riflessioni post-pandemiche

Diego Vincenti, «Hystrio», XXXVII-1

Arriva forse con un pizzico di ritardo questa versione italiana di Why Theatre?, progetto nato in tempi di pandemia all’interno di NTGent. Un’idea di Milo Rau che già nei primissimi mesi di lockdown, volle interrogare se stesso e i suoi colleghi sulla matrice originaria, le ragioni profonde, l’urgenza esponenziale del fare teatro. Una domanda rimasta come sospesa. Che da allora continua a interrogare e continua ad accogliere nuovi contributi online. L’edizione Cue Press, curata da Andrea Porcheddu, condivide un’ampia selezione di questi testi (una cinquantina), arricchita da un’introduzione che storicizza alcune riflessioni legate alla proposta, facendo emergere possibili territori di sintesi. Il cortocircuito è che pensieri che si tendono fuori dal tempo paiono al contrario profondamente ancorati al contingente. Un contingente che non a caso Porcheddu si domanda quanto venga oggi ricordato con precisione, nel dettaglio. Ben oltre la semplice questione teatrale e i suoi ipotetici cambiamenti. In ogni caso da questo cortocircuito nasce la sensazione di lieve ritardo editoriale su cui si ragionava. Per il resto i contributi in sé sono senz’altro curiosi e parecchio differenti fra loro, sia come valore che come capacità di fascinazione. Si va da Lola Arias a Ostermeier, da Katie Mitchell a Edouard Louis, da Gisèle Vienne a Liddell, Kentridge, Mnouchkine. Nomi prestigiosi. Mentre fra gli italiani spuntano Motus e Teatro delle Albe. Il respiro è spesso più emotivo che saggistico, tanto da sfiorare a volte l’orizzonte social. C’è chi cade nella retorica e chi riesce a sorprendere, fosse solo con due parole. In generale un lavoro che si fa sfogliare. Anche se in termini di pensiero critico, forse risultano più utili le note introduttive. Dove giustamente si sottolinea l’ormai necessaria pluralità semantica del concetto di teatro. E la natura politica e assembleare del palcoscenico, luogo in cui la comunità si ritrova. Non più a distanza. Ma in qualche modo con gli stessi interrogativi.

15 Gennaio 2024

Scritti sul teatro di Fadini

Andrea Bisicchia, «Il Mondo»

Non c’è dubbio che, per chi scrive per un giornale, debba rispondere alla ideologia del proprietario, e non c’è dubbio che, quando si è intervistati da una testata, di destra o di sinistra, bisogna, in parte, concedere qualcosa in cambio, per dare un senso di parte al titolo dell’articolo. Per quanto riguarda la figura del critico, si può dire che egli subisca di meno il rapporto di subalternità, specie oggi, visto che i direttori dei giornaloni, si interessano, soprattutto, di confezionare la prima pagina, poco interessandosi delle altre che non leggono neanche. Questo atteggiamento permette, ai pochi critici rimasti, di sentirsi più liberi e di non accettare nessuna velina.

Simili considerazioni mi sono venute in mente leggendo il libro dedicato a Edoardo Fadini (1928-2013): Scritti sul teatro. Interventi, recensioni, saggi, a cura di Armando Petrini e Giuliana Pititu, edito da Cue Press. Il volume raccoglie molte delle sue recensioni, apparse su «l’Unità» dal 1965 al 1969, su «Rinascita», dal 1966 al 1975, sul Trimestrale «Teatro», di cui era direttore insieme a Bartolucci e Capriolo, su «Sipario», 1968-76 e sulla rivista «Fuori campo» 1972, ai quali vanno aggiunti dei saggi che lo hanno impegnato nel periodo che va da 1987 al 2006.

Come è possibile intuire, dalle date, Fadini ha molto contribuito a chiarire certe situazioni assunte dal teatro italiano dal 1968 in poi, gli anni della rivoluzione culturale, quando fondò il Cabaret Voltaire, fino all’inizio del terzo millennio, e lo ha fatto con una serie di strumenti diversi, avvalendosi, in molti casi, della recensione, per poter fare delle considerazioni di carattere saggistico. I suoi presupposti teorici sono da ricercare negli autori, di scuola francese, da lui letti, come Blanchot, Barthes, Foucault, Lacan, Derrida, ai quali, un po’ tutti, ci siamo abbeverati, dato che aprirono un ampio dibattito sul linguaggio e sulla scrittura, oltre che sul ruolo della parola. Vengono in mente: Lo spazio letterario (1955) di Blanchot, il cui cammino saggistico si concluderà con La scrittura del disastro (1980), libri fondamentali per cercare di dare delle risposte a ciò che accadeva, non soltanto, nell’ambito della letteratura, ma anche del teatro.

Nel 1968, il teatro viveva una stagione di ripensamenti, di protesta contro le Istituzioni teatrali, diventate elefantiache, contribuendo a quel ‘disastro’, di cui parlava Blanchot, con le sue accuse contro le ideologie, ma anche con la convinzione di quanto fosse difficile salvare una umanità allo sbando, per la quale non basta la scrittura. Fadini parte proprio da qui, dal rapporto tra scrittura letteraria, quella che veniva utilizzata dai Teatri Stabili e scrittura scenica, quella utilizzata dai gruppi emergenti, dopo il Convegno di Ivrea, a cui egli dedica un saggio illuminante.

Il volume parte da una specie di ‘anno zero’ che, per quanto riguarda gli Stabili, coincideva con le dimissioni di De Bosio, a Torino, e di Strehler a Milano, dove, nel frattempo, nascevano nuove realtà come il Pier Lombardo e il Crt e dove Dario Fo iniziava la sua nuova avventura con La Comune, per arrivare al periodo del Decentramento, quello vero, e non «quello spostato in luoghi più o meno poveri», che aveva cambiato i rapporti tra scena e platea, tra testo scritto e testo agito.

Fadini non ha peli sulla lingua quando c’è da schierarsi anche contro Strehler, magari per evidenziare il lavoro di Mario Ricci, di Carmelo Bene, (benché non fosse amato dal Pc), di de Berardinis, di Quartucci, indicando metodi di lettura che non dovevano limitarsi a ‘vedere‘ cosa accadesse sulla scena, ma a capire quali emozioni essa fosse capace di suscitare, essendo, per lui, la scrittura una «forma di esistenza».

Per questo motivo, egli si schierò contro il vecchio concetto di regia, preferendo un nuovo approccio performativo al palcoscenico, motivo per il quale, concepì il teatro come ‘evento‘, persino politico, e non solo come espressione estetica. Riteneva necessario prima capire e, quindi, ‘decifrare’ tale scrittura, ed esortava, nello stesso tempo, a intendere il concetto di ‘mutamento’, lo stesso che Sisto Dalla Palma aveva suggerito nel suo volume: Teatro dei mutamenti. C’era bisogno, secondo lui, che il teatro si autodistruggesse per rinascere, attraverso un nuova carica sensoria, da contrapporre alla ricerca dei significati.

15 Gennaio 2024

Grotowski e il suo «teatro povero», definito anche crudele, perchè sapeva di monastero. Eppure entrò nella leggenda

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Tra il 1965 e il 1975, il teatro internazionale ha vissuto e ha fatto vivere uno dei momenti più straordinari e irripetibili. Parecchi di noi ricordano ancora, avendoci fatto provare delle emozioni, fino alla commozione, Il Principe Costante di Grotowski, I giganti della montagna di Strehler, Orlando furioso di Ronconi, La Trilogia Testoriana di Andrée Ruth Shammah, La classe morta di Kantor.

Su Grotowski esiste, in Italia, una vasta letteratura, anche se il libro, al quale abbiamo attinto, per conoscere il maestro polacco, è stato Per un teatro povero, edito da Bulzoni nel 1970, con la prefazione di Peter Brook, che gli riconosceva di avere apportato all’arte della recitazione qualcosa che sapeva di monastero, ovvero di dedizione assoluta, e, in un certo senso, anche un po’ crudele, come aveva sentenziato Artaud. Entrambi, in fondo, erano convinti che il teatro non fosse solo un modo di vivere, ma anche per vivere. Dalla crudeltà alla povertà il tragitto era breve perché, essere poveri, è la cosa più crudele che possa esistere, solo che l’uso dei due termini, nel loro teatro, aveva un valore diverso, essendo attribuito alla recitazione che, se ben realizzata, contiene qualcosa di crudele che, a sua volta, può avere a che fare con la povertà, da intendere come fuga dagli effetti, da ogni forma di ibridismo e di superfluo.

L’editore Cue Press ha appena pubblicato il libro che ritengo fondamentale per conoscere il pianeta Grotowski, poiché contiene l’analisi di tutti i testi realizzati prima del Principe Costante, messi in scena al Teatro delle 13 file di Oslo, che diventerà il Teatro Laboratorio, detto così per il numero delle file che conteneva, si tratta di Il teatro di Jerzy Grotowski. Le rappresentazioni al Teatro delle 13 File, di Dariusz Kosinski e Wanda Swiatkowska, due docenti universitari che hanno potuto avere accesso a documenti primari, ovvero copioni, recensioni, commenti, discussioni, varianti, materiale fotografico, oltre che video, che hanno dato la possibilità, ai due studiosi, di scrivere dei saggi che, se letti attentamente, aiutano a tirar fuori Grotowski dalla leggenda in cui era stato confinato.

I titoli degli spettacoli esaminati, che vanno dal 1959 al 1968, erano noti anche a noi, non certo le ricostruzioni fatte dai due autori che, oggi, ci permettono di capire meglio il metodo di lavoro del regista che ha qualcosa di soprannaturale, anche se i modelli da cui è nato, secondo le sue stesse affermazioni, sono da ricercare in Stanislavskij, Dullin, Mejerchol’d, dai quali si allontana per una sua virata verso la performance e l’attività laboratoriale, durante la quale permette alla drammatizzazione di diventare un momento organizzativo in funzione del rapporto attore-spettatore, considerato, fin dagli esordi, l’elemento che contraddistinse il lavoro di Grotowski, che attribuì, allo spettatore, lo status di attore, oltre che di invitato, come a un ricevimento o a una cena.

Gli spettacoli presi in esame sono: Orfeo di Cocteau, Caino di Byron, Mistero Buffo di Majakovskij, Sakuntala secondo Kalidasa, Gli Avi di Adam Mickiewicz, Kordian di Slowacki, Akropolis di Wyspianski, La tragica istoria del Dottor Faust di Marlowe, Gli Amleti di Grotowski. La profondità dei saggi permette al lettore di entrare nel laboratorio del regista, di conoscerne le origini, di capire in che modo rivoluzionò l’arte delle recitazione, partendo dalla convinzione che l’attore potesse realizzarsi meglio nel paradigma performativo, dentro il quale, poteva trovare se stesso e prepararsi, grazie all’esercizio del training e della ricerca della propria interiorità, all’incontro col personaggio, con l’utilizzo ulteriore di una Liturgia Ateologica, i cui antenati sono da ricercare nei miti del passato e nei comportamenti pre-espressivi che stavano a base del teatro delle origini, persino quello delle aree tribali con le loro tradizioni collettive. Tutto questo sta a base di quella antropologia teatrale che sarà teorizzata dal suo allievo Eugenio Barba.

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10 Gennaio 2024

Theodoros Terzopoulos: Scena, mondo infinito

Valeria Ottolenghi, «Gazzetta di Parma»

Theodoros Terzopoulos: era stato Michalis Traitsis, regista di valore che lavora tra Venezia e Ferrara, a raccontare, durante un incontro di studiosi diversi anni fa, di questo maestro/artista greco riconosciuto tra i più grandi d’Europa. Come spesso accade in tali situazioni si avverte un senso di disagio per quelle lacune che sembrano non permettere un’adeguata visione d’insieme di uno specifico ambito culturale, creativo. Indispensabile l’aggiornamento! Presto la conferma: un vero capolavoro la messa in scena, all’aperto, dell’opera di Euripide Le troiane a Delfi, ormai più di una decina di anni fa, simbolismo e tensione emotiva stilizzata e potente nei gesti, nell’espressività dei protagonisti. A cui erano seguite, con E.R.T., Emilia Romagna Teatri, alcune ospitalità italiane.

E nella primavera del ‘22 era stato possibile incontrare, con il Piccolo Teatro di Milano, due opere di Terzopoulos diversissime tra loro, ma ugualmente dense di pensiero, affascinanti, dai lunghi, profondi echi, Nora da Casa di Bambola di Ibsen e Io, una performance scritta da Etel Adnan, in scena, in una sorta di dialogo complesso, quasi a singhiozzo, Aglaia Pappas e lo stesso Terzopoulos: nel primo sembra prosciugarsi l’aspetto psicologico dei tre personaggi principali, con una sorta di perenne azione tra pannelli mobili bianchi ruotanti; nel secondo quel titolo, Io, è insieme della divinità perseguitata dal dolore e della donna in scena, vasti, densi e complessi anche i rispecchiamenti metateatrali, parole tra un’attrice e il suo regista, un’opera a più strati di senso, dedicata alla memoria di Jannis Kounellis.

Era stato allora, nel maggio di due anni fa, che si erano incontrati tutti insieme, nel cortile dello storico Piccolo di via Rovello, con Theodoros Terzopoulos e Michalis Traitsis, anche Enzo Vetrano e Stefano Randisi, meravigliosi autori/attori, indimenticabile ogni loro creazione, amatissimi e pluripremiati. E lì, con grande gioia, si era appresa l’eccitante notizia, non del tutto ancora rivelabile, che Vetrano & Randisi sarebbero stati diretti proprio da Terzopoulos per Aspettando Godot. Quante volte era stato detto loro che sembravano perfetti per Beckett? Un appuntamento atteso. Giunto infine con un regista tanto grande!

Ma se si scrive qui di Theodoros Terzopoulos non è solo per la presenza nel nostro territorio proprio di Aspettando Godot, al Teatro Magnani di Fidenza sabato, ma per intrecciare le informazioni su questo grande regista europeo con Il ritorno di Dionysos, testo edito da Cue Press, dedicato proprio al metodo di Terzopoulos, nel cui lavoro, scrive sin nelle prime righe della prefazione Konstantinos Arvanitakis, «c’è qualcosa di innegabilmente rivoluzionario», sottolineando quindi, con il corpo come dimora di Dionysos, la volontà «di risvegliare il dio narcotizzato e liberare la sua energia vitale, erotica e creativa, repressa» e l’orgia della vita s’intreccia con le forze oscure della morte «per il rinnovamento dell’arte». La Grecia, l’origine della tragedia, il rapporto con le stesse strutture del teatro antico, la ricerca di quello spirito contraddittorio rappresentato da Dionysos, corrente vitale carica di energie ambigue ed essenziali, elemento che permane nella persona anche più razionale, insieme di pulsioni del subconscio, amalgama di distruzione e creatività, questo e molto altro sono rintracciabili nella ricerca di Terzopoulos, ma se sono riconosciute nel dio del titolo infiniti caratteri differenti, mai conclusi gli studi, le interpretazioni degli innumerevoli miti che lo vedono protagonista, l’attenzione, la cura principale del regista è rivolta verso l’attore, la sua formazione, profonda, radicale. Nel libro edito da Cue Press, curato da Michalis Traitsis, che ha anche seguito il percorso creativo di Aspettando Godot, questi i titoli di alcuni capitoli: corpo, respirazione, energia, decontrazione, ritmo, improvvisazione infinita, senso, tempo

Fondamentale la domanda, «Tornerà Dionysos?», con cui si chiudono le pagine dedicate all’attore che, nelle parole di Terzopoulos, deve restare al centro dell’azione teatrale, «con autocoscienza, conoscenza e combattività. La coltivazione del corpo, tempio delle situazioni, degli istinti e dei sensi, è una straziante chiamata nei nostri tempi», ma prezioso, imprescindibile è anche lo sguardo dello spettatore, la sua sensibilità, che si diversifica nel tempo, specie nel rapporto con i classici. Seguono gli esercizi e alcune significative immagini tratte da regie di Terzopoulos, tragedie di Euripide, Eschilo, Sofocle, realizzate ad Atene, Delfi, ma anche in città della Germania e della Russia e testi di Müller, Materiali per Medea, Quartett, Strindberg, La signorina Giulia, Beckett, Rockaby, e dello stesso regista. Sì, corretta quella lontana prima informazione di Michalis Traitsis: Terzopoulos tra i maggiori artisti, vero maestro di teatro.

22 Dicembre 2023

Una rosa per Sam

Antonio Borriello, «SamuelBeckett.it»

Una rosa per ricordare il mio amatissimo Samuel Beckett, morto il 22 dicembre del 1989 a Parigi, premio Nobel per la Letteratura nel 1969. Autore di opere ritenute ormai dei classici come Aspettando Godot e Finale di partita, mutò l’ordinario in straordinario, il Nulla e l’Attesa in Speranza. Oggi più che mai il grande dubliner di Parigi, si presta ad ulteriori studi volti a raggiungere le più segrete pieghe dell’Anima. Non a caso di recente in Italia sono apparse diverse ed importanti pubblicazioni, come Romanzi, Teatro e Televisione, il Meridiano Mondadori curato e tradotto magistralmente da Gabriele Frasca (2023), un volume di straordinaria importanza per avere a portata di mano i testi narrativi, le pièce teatrali, nonché i testi per la radio e la televisione. E ancora i quaderni di regia e i testi riveduti pubblicati dalla Cue Press a cura di Luca Scarlini tra il 2021 e il 2022: Aspettando Godot (edizione critica di James Knowlson e Douglas McMillan), Finale di Partita (edizione critica di Stanley Gontarski) e L’ultimo nastro di Krapp (edizione critica di James Knowlson).

Anche il cinema e perfino la narrativa hanno prestato notevole attenzione al Maestro dell’Assurdo con ben tre film e un romanzo: Dance First, regia James Marsh, Regno Unito 2022; Grazie ragazzi, regia Riccardo Milani, Italia 2022; Un Triomphe, regia Emmanuel Courcol, Francia 2020; pubblicato da Voland nel 2022, L’ultimo atto del signor Beckett di Maylis Besserie, in cui la scrittrice immagina gli ultimi giorni di vita di Beckett trascorsi nella casa di riposo di Tiers-Temps a Parigi.

Viepiù. La casa editrice Cue Press già preannuncia per il 2024 di «lanciare un attacco beckettiano di proporzioni cosmiche: il quarto Quaderno e il meglio della teatrologia mondiale sull’argomento». Di sicuro Beckett, persona felicemente pigra, di un’inerzia accostabile a quell’otium letterario più che a quell’indolenza ancestrale del suo beneamato Belacqua dantesco, mai avrebbe immaginato tanto interesse per il suo lavoro. A riprova del suo essere un drammaturgo insensibile al successo e alla notorietà, ricordo che alla sua dipartita, il mondo seppe della sua morte dopo tre giorni a sepoltura avvenuta. Nel 1959, a seguito dell’insistenza della moglie Suzanne, si recò a Sorrento: in occasione del Prix Italia, quando lo invitarono a ritirare il Premio per la migliore opera radiofonica Embers (Ceneri, trad. it., nella preziosa pubblicazione Samuel Beckett, Teatro completo. Drammi, Sceneggiature, Radiodrammi, Pièces televisive, Torino-Parigi, Einaudi-Gallimard, 1994). Beckett in quell’occasione visitò fugacemente Capri ed altri luoghi della costiera amalfitana per ritornare subito a Ussy. E ancora ricordo che Beckett seguì personalmente le riprese di Film, con un impeccabile ed ossequente

Buster Keaton, recandosi a New York suo malgrado. Temeva, infatti, che le riprese sarebbero state eccessivamente chiassose, con inutili cocktail party a cui partecipare con troppe e indesiderate interviste da rilasciare. A questo sceglieva la quiete dell’appagante rifugio di campagna a Ussy-sur-Marne. L’umile genio del secolo scorso, attraverso le sue disarmanti creature, benché poste in una perenne penitenza purgatoriale, ha saputo offrirci spunti di salvezza per loro, per noi, per il futuro dell’umanità. Quanta tenerezza in Vladimiro, Estragone, Pozzo, Lucky, Hamm, Clov, Nagg, Nell, Winnie, Willie, Krapp, Flo, Vi, Ru, Mercier, Camier, Murphy, Molloy, Malone, Watt, Joe, Bam, Bem, Bim, Bom, Oc, Og e l’innominabile che, nonostante il loro tormento, eternamente cantano…

«Giorni felici», anzi dicono sempre di altri «giorni divini», un po’ come nelle opere di Leopardi o di Pascoli, in cui emerge lo stupore del fanciullino per le piccole, ma preziose cose del quotidiano. Quanta poesia ed esaltazione della vita e dell’intelligenza dell’uomo traboccano in quei vecchi, dignitosi e colti clochard, in quelle pagine, battuta dopo battuta, si intravede un barlume di Speranza, nonostante il diffuso senso di vuoto, nonostante la nostra fragilità e tristezza. Tante le sue profetiche visioni che si stanno, purtroppo, avverando: solitudine urbana, feti buttati nelle discariche, smarrimento di sé, diffusa incomunicabilità, insoddisfazione e noia, aumento dei senza tetto e dei poveri, catastrofi imminenti, minaccia di un nemico invisibile, di una incombente desertificazione, di una possibile terza guerra mondiale, con attacchi nucleari. Un panorama agghiacciante, ma effettivo, su cui l’uomo dovrebbe agire subito, pena lo scenario da day after di Finale di partita o di L’ultimo nastro di Krapp, dove «… la Terra potrebbe essere disabitata».

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3 Dicembre 2023

Parla il silenzio – Il suo teatro delle vite intime

Laura Zangarini, «Corriere della Sera»

Il Nobel, assegnato a Jon Fosse per le sue «opere teatrali innovative e per la prosa che danno voce all’indicibile», corona una carriera straordinariamente produttiva e pluripremiata: 40 opere teatrali, romanzi, racconti, libri per bambini, poesie e saggi. Lo stile minimalista di Fosse è spesso paragonato a quello di Samuel Beckett (1906-1989), verso il quale il drammaturgo e scrittore norvegese ha espresso la sua ammirazione descrivendolo come «un pittore per il teatro più che un vero autore».

La drammaturgia di Fosse, l’autore norvegese più rappresentato sui palcoscenici di tutto il mondo dopo Ibsen, è caratterizzata da un lessico scarno e minimale, in cui dominano lunghi silenzi, linee temporali fratturate, circonvoluzioni. La sua è una scrittura ritmica, dove la trama è quasi assente, il cui focus è la vita interiore di personaggi piuttosto solitari, che spesso non hanno un nome ma sono chiamati «L’Uno» e «L’Altro», oppure «La Donna», «Il Ragazzo», «L’Uomo Più Anziano». I personaggi di Fosse non parlano molto «Il silenzio, ciò che non viene detto è più importante di ciò che viene detto». Uno dei temi centrali che riecheggia costantemente in tutto il suo lavoro è l’esplorazione universale ma profondamente personale della solitudine, della mortalità e della ricerca di significato.

Per saperne di più sull’opera (non solo drammaturgica) del Nobel per la letteratura, sono imprescindibili i libri di Cue Press, casa editrice imolese diretta da Mattia Visani. Saggi gnostici (2018), raccolta di testi teorici tradotti e curati da Franco Perrelli, apre un varco sulla fabbrica dell’arte dell’autore norvegese; Caldo (2019), pièce teatrale del 2004, è incentrata su un triangolo erotico. Due i volumi pubblicati quest’anno, entrambi a cura di Vanda Monaco Westerståhl: Quel buio luminoso è un saggio scritto nel 2006 dal critico teatrale svedese Leif Zern, tra i maggiori studiosi del teatro del Novecento europeo, con l’intento di accompagnare il lettore nella drammaturgia dell’autore norvegese; Teatro raccoglie invece i primi lavori di Jon Fosse: E non ci separeremo mai, Qualcuno verrà, Il nome.

11 Gennaio 2023

Claudia Bertolé, Il cinema di Kore’eda Hirokazu. Memoria, assenza, famiglie

Giacomo Calorio, «Sonatine»

Della folta schiera di registi giapponesi emersi negli ultimi decenni – schiera delle cui dimensioni ci si può fare un’idea su queste pagine – al momento Kore’eda Hirokazu è l’unico a essersi guadagnato un posto stabile nella nicchia della distribuzione italiana. Il merito di questo piccolo miracolo non va solo ai caratteri universalmente declinabili del […]
6 Gennaio 2023

Il meglio e il peggio del cinema anni Settanta racconta l’Italia

Giovanni Scipioni, «Il Domani»

Quando Fellini raccontava con successo la sua infanzia in Amarcord, al cinema si faceva la fila per vedere i giochi erotici di Emmanuelle. Nello stesso periodo Gian Maria Volonté svelava agli spettatori come intraprendere L’indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto mentre l’avventuriero Franco Nero, Cipolla Colt, incastrava i cattivi colpevoli senza […]
26 Dicembre 2022

Dalle pitture vascolari alla fotografia digitale, l’importanza dell’iconografia

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

L’iconografia è stata, sempre, una fonte per riguardare le arti del passato e lo è stata, in particolare, per il teatro, dato che ad essa sono spesso ricorsi gli storici per ricostruire, insieme ai testi, le particolarità sceniche che hanno caratterizzato le messinscene del tempo. Pertanto, la documentazione figurativa, costituita da pitture vascolari, illustrazioni e […]
20 Dicembre 2022

Finzione & morale

Andrea Ottieri, «succedeoggi»

Storico del teatro tra i più prestigiosi in Italia, Paolo Puppa da tempo è anche – come dire? – un performer che mette in scena la sua perizia critica. Si può sostenere a buona ragione, anzi, che abbia inventato un nuovo genere di derivazione saggistica, ma di fatto pienamente teatrale, poiché Puppa i suoi «testi» […]
17 Dicembre 2022

Lotte H. Eisner. Un classico della saggistica cinematografica

Giuseppe Costigliola, «Pulp Libri»

Per gli appassionati e i cultori di cinema e di teatro, l’agguerrita casa editrice Cue Press è una manna dal cielo. Il suo catalogo, tra i più interessanti nel panorama editoriale delle arti dello spettacolo per qualità ed estensione, continua ad arricchirsi di titoli. Di recente uscita è un classico della saggistica cinematografica, fondamentale per […]
12 Dicembre 2022

La fortuna di un gesto. I mille volti di Salomè di Cesare Molinari

Chiara Molinari, «Theatron 2.0»

I mille volti di Salomè di Cesare Molinari – professore emerito dell’Università di Firenze, nonché tra i fondatori della disciplina di Storia del Teatro e dello Spettacolo e autore dell’ormai canonica Storia del teatro (Mondadori, 1972) – intende essere, secondo le parole introduttive dello studioso, «in primo luogo un testo di compilazione, cioè di memoria», […]
5 Dicembre 2022

Alla ricerca di Koltès segreto

Nicola Arrigoni, «Sipario»

«Carissimi genitori, è difficile alla mia età fare un complimento carino! Sono ancora così piccolo. Che il mio primo complimento potrebbe stare dieci volte in una pagina. Vi amo tanto e chiedo al Signore che vi dia sempre gioia e felicità. Bernard». Bernard Marie Koltès ha sette anni e scrive ai genitori il 1 gennaio […]
1 Dicembre 2022

Barabba. In scena l’opera di Tarantino a metà strada tra commedia e tragedia

Andrea Jelardi, «Proscenio», VII-2

Al Nest – Napoli Est Teatro – il 21 e 22 gennaio va in scena Barabba di Antonio Tarantino, esponente della drammaturgia contemporanea. Ombroso e solitario, ma anche poliedrico e innovativo, Tarantino è scomparso a ottantadue anni nel 2020 ed è autore di vari testi teatrali, tutti scritti in età matura dopo una lunga esperienza […]
25 Novembre 2022

Gigi Giacobbe, Bob Wilson in Italia

Massimo Bertoldi, «Il Cristallo On Line»

Mancava un libro dedicato allo spettacolo di Bob Wilson capace di darne ampia visibilità divulgativa, in aggiunta agli interventi critici di sapore specialistico e accademico. La lacuna è colmata da questo lavoro, agile e assai interessante, di Gigi Giacobbe, che ricostruisce gli allestimenti di Bob Wilson in Italia realizzati dal 1994 al 2022. Dichiara il […]
1 Novembre 2022

Un padre ci vuole

Gabriella Congiu, «Pirandelliana»

Ci sono scritti che risuonano come un dialogo mai avviato, un complesso insieme di relazioni che riguardano le infinite realtà, i tanti rimpianti, le parole mai dette di una dialettica sospesa. Luigi Pirandello e Stefano, il figlio primogenito, ovvero Stefano Pirandello, il figlio paterno. Come da titolazione del saggio di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo […]
1 Novembre 2022

Il corpo in testa

«Hystrio», XXXV-4

L’attività di Alessandro Garzella viene presentata tramite un lavoro difficile da definire, se non – forse – per via negativa, come nota Porcheddu nell’introduzione. E se il libro «non è un romanzo, non è un racconto, non è un saggio, non è un manuale, non è una testimonianza, non è un pamphlet, non è un […]
1 Novembre 2022

Tennessee Williams. Modernismo in t-shirt e i rinnovamenti del teatro

«Hystrio», XXXV-4

Grazie ai suoi personaggi, eroi e antieroi che emergevano dal contesto dell’America del secondo dopoguerra, Tennessee Williams diede vita a un’estetica drammaturgica innovativa e rivoluzionaria. Attraverso l’analisi dei suoi personaggi, il volume disegna un ritratto a tuttotondo, umano e artistico, dell’autore statunitense di alcuni degli indiscussi capolavori della drammaturgia del Novecento.
1 Novembre 2022

L’attore e il volto

«Hystrio», XXXV-4

Il volume raccoglie una selezione di saggi del critico europeo Leif Zern, mescolando ricordi autobiografici, recensioni a spettacoli teatrali, piccoli ritratti del mondo del cinema, analisi teoriche sull’arte attoriale. Da Ingmar Bergman a Lars Norén, fino ad autentici pilastri della tradizione scenica come Louis Jouvet, lo sguardo di Zern si sofferma sulla recitazione, l’immedesimazione dell’attore, […]
1 Novembre 2022

Nel laboratorio creativo di Koltès

Diego Vincenti, «Hystrio», XXXV-4

«Non desidero che una cosa: essere capace di correre dei rischi», scrive Koltès nel marzo del 1968. Prima della rivoluzione. A neanche vent’anni. E proprio l’età acerba è al cuore della conversazione a distanza con la madre, per tutta la vita confidente privilegiata. È in quei giorni che il drammaturgo decide di dedicarsi al teatro. […]
1 Novembre 2022

Gassman. Oltre il palcoscenico

Pierfrancesco Giannangeli, «Hystrio», XXXV-4

Un Gassman a tuttotondo. Vittorio, attore poliedrico capace di cavalcare i mezzi che la sua epoca gli offre, esce vincitore grazie al ritratto che ne fa Arianna Frattali, nel senso che il suo essere attore totale – dalla voce straordinaria e dalla fisicità imponente – gli consente di dominare la comunicazione dei suoi anni. E […]
20 Ottobre 2022

Dedicato a chi crede che scrivere un monologo sia facile. Intervista di Marina Cappa a Josep Maria Miró

Marina Cappa, «Tortuga Magazine»

Qualche giorno fa, mentre stava sbarcando dall’aereo a Firenze, una telefonata gli ha annunciato che aveva vinto ventimila euro. I soldi contano, anche per gli scrittori. Ma ben di più pesa stavolta il valore artistico di questo Premio nazionale della letteratura drammatica 2022. Il ministero della Cultura spagnola lo ha assegnato a Josep Maria Miró, […]
17 Ottobre 2022

Milo Rau, Realismo globale

Maria Dolores Pesce, «dramma.it»

Che il Teatro sia o possa essere non solo aristotelica mimesi/rappresentazione ma soprattutto uno strumento per cambiare il mondo è oggetto di una riflessione antica che nella modernità si è fatta spesso più consapevole. Come l’alchimista sanguinetiano, il facitore di teatro combina in maniera singolare gli elementi della rappresentazione per produrre una materia estetica nuova […]
10 Ottobre 2022

Graces Anatomy. Dai corpi al testo

Emilio Nigro, «Persinsala»

A Lamezia Terme, Calabria tirrenica e centrale. Tra le province di Cosenza e Catanzaro, a un respiro dalla Costa degli Dei, probabilmente una delle più incantevoli d’Europa. Nella terra di ‘ndrangheta, evitando piagnistei dal sapore della commercializzazione dei dolori a fini di persuasione (pratica diffusa in regione), un presidio culturale, sociale, etico, punto di riferimento […]
9 Ottobre 2022

Compito del teatro, fin dalla sua nascita è stato quello di relazionarsi con l’Altro

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Secondo Claudio Bernardi, il Teatro Sociale non era altro che la «nuova frontiera della scena internazionale», da intendere come una summa del potere relazionale. In verità, si può affermare che compito del teatro, fin dalla sua nascita, è stato quello di utilizzare il palcoscenico per mettersi in relazione con l’Altro, evidenziando la sua funzione sociale […]
3 Ottobre 2022

Dalla Grecia arcaica alla Grecia di Pericle, il dualismo è arrivato ai giorni nostri

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Esistono dei periodi e delle culture che sono contrassegnate dalla «scrittura» orale e altri che vedono l’affermazione della scrittura letteraria; entrambe utilizzano la parola con finalità narrative o teatrali. Possono essere, in generale, caratterizzate da periodi più o meno brevi, come accadde nella Grecia antica, prima dell’avvento di Pericle, quando la recitazione orale si contrassegnava […]
2 Ottobre 2022

Orsini regala un finale a Ivan Karamazov

Fausto Malcovati, «Corriere della Sera»

Un finale. Sì, un finale per Ivan Karamazov. Dostoevskij non lo ha scritto. Nel romanzo tutti i personaggi ne hanno uno: Mitja parte per i lavori forzati con Grušenka, Alëša progetta un futuro con i ragazzi che ha riunito per i funerali di Iljuša. Tutti tranne lui. L’ultima sua apparizione è nell’aula del tribunale dove […]