Logbook
Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.
Schimmelpfennig va in Visita al padre
Si recupera il primo titolo uscito nella collana di drammaturgia I testi della Cue Press di Mattia Visani: Visita al padre del drammaturgo tedesco Roland Schimmelpfennig. Tra gli ultimi numeri ci sono Totò e Vicé del compianto Franco Scaldati e La donna che legge di Renato Gabrielli, quest’ultimo attualmente fino all’8 febbraio in scena al Teatro Out Off di Milano. Al di là di ogni intento recensorio del magnifico Visita al padre di Schimmelpfennig, già inviato di frontiera a Istanbul prima di diventare cantore di una generazione europea che non si relaziona più con i genitori, la collana della Cue, edita in ebook e in print on demand, dà la stura ad alcuni fenomeni editoriali che porteranno una rivoluzione nel concetto di vendita e confezione di libro. Per ora tale fenomeno è confinato in zone limitrofe e di genere della grande distribuzione. Non a caso di tutto ciò si discuterà il prossimo 3 febbraio presso la Scuola Civica P. Grassi di Milano nel convegno e-dramatic theatre. Drammaturgia contemporanea e editoria digitale.
La donna che legge. Renato Gabrielli alla ricerca di un’inutile salvezza
È stata una prima molto applaudita e affollata quella de La donna che legge al Teatro Out Off di Milano. Una scrittura sofisticata, quella di Renato Gabrielli, che arriva da due suggestioni letterarie molto diverse fra loro: l’Ulisse di James Joyce, in particolare il capitolo Nausicaa, e il saggio di Francesca Serra Le brave ragazze non leggono romanzi. Da lì Gabrielli è partito per costruire la storia di un triangolo amoroso in cui eros, thanatos e voyeurismo si intrecciano e si intersecano con un raffinato gioco di dissolvenze.
La vicenda, ambientata ai nostri giorni in una città di provincia italiana bagnata dal mare, scaturisce dalle pulsioni e perversioni di un uomo maturo, Mirco, che, dotato di «talento senza vocazione per l’attività forense e di vocazione senza talento per l’attività poetica», abbandonata la toga per dedicarsi alla professione di poeta dilettante, si invaghisce di Giada, una ragazza incontrata durante una delle sue quotidiane passeggiate sulla spiaggia, e osservata intenta a leggere.
Mirco sente il bisogno di continuare a osservarla, di indovinarne pensieri e desideri mentre è assorta nella lettura. Un bisogno così urgente da essere disposto a sacrificare i risparmi di una vita per poterlo soddisfare. Per mettersi in contatto con la ragazza e avanzare la proposta economica (denaro in cambio del diritto di osservarla un’ora al giorno, in spiaggia, intenta a leggere) si serve della mediazione di Federica, la donna con cui anni prima ha avuto un’importante relazione, e che è ancora innamorata di lui.
Tre individui, insomma, «alla continua ricerca dell’altro per la propria sopravvivenza», come scrive Lorenzo Loris nelle note di regia. Giada, l’oggetto del desiderio voyeuristico di Mirco, accetta la proposta, perché sogna di lasciare la provincia, di scappare da un paese sonnolento e moribondo, e dalla prospettiva di una tranquilla e asfissiante vita coniugale.
Il testo propone incursioni nei territori dell’angoscia, dell’insofferenza, dell’amore incondizionato che sopravvive alla morte. Federica continuerà infatti ad amare Mirco e a proteggerlo da sé stesso, anche se inutilmente. Lui riuscirà a realizzare il proprio desiderio di non esistere e di ritrovare una sorta di ‘pace’ incontrando la morte dopo pochi mesi dai suoi ultimi contatti con Giada. Lei, infine, dopo un anno passato in Irlanda, finirà con lo sposare un ricco imprenditore della città di provincia in cui è nata e cresciuta, da cui ha tentato la fuga, e da cui verrà infine inghiottita.
La drammaturgia raffinata e coraggiosa di Renato Gabrielli riesce a scandagliare l’Italia contemporanea e a indagarne tendenze meno affrontate, come il nichilismo latente del protagonista, raccontando sì l’insofferenza di una generazione, ma fuori dai soliti cliché dei giovani senza lavoro e senza speranza, e rinunciando in maniera netta a un qualsivoglia lieto fine.
La regia di Loris riesce a tradurre in scena il meccanismo delicato del copione: gli attori entrano ed escono dai propri personaggi, alternando i punti di vista nella narrazione con un’ottima capacità di sintesi, puntando sull’essenzialità della scena: un tavolo e poche sedie azzurre a richiamare un mare che, vista la situazione dei personaggi e quella più generale della nostra società, pare più realisticamente rivelarsi come una palude.
Ottime le interpretazioni dei tre protagonisti. Istrionico Massimiliano Speziani, capace di rendere tutte le sfumature psicologiche del personaggio con un perfetto uso del corpo. Cinzia Spanò, nei panni di Federica, mostra di avere buoni tempi comici e un’aderenza perfetta al ruolo di donna in carriera, all’apparenza fredda ma in realtà profondamente innamorata. Infine Alessia Giangiuliani, nel ruolo di Giada, realizza un ritratto fresco e realistico dell’insofferenza giovanile.
Lo spettacolo sarà in scena a Milano fino all’8 febbraio. E in parallelo, per tutto il periodo, sarà anche possibile acquistare il testo di Gabrielli, appena pubblicato dalla casa editrice digitale Cue Press, a soli euro 2,40 insieme al biglietto dello spettacolo.
Collegamenti
Siamo asini o pedanti?
Probabilmente programmato da tempo ma, per una di quelle casuali coincidenze o interferenze del destino che, anche loro malgrado, assumono il significato di una testimonianza feconda, esce per l’editore Cue Press di Imola, quasi contestualmente alla morte di uno dei protagonisti di quella stagione, questo testo di fine anni Ottanta del secolo scorso, una delle drammaturgie di ‘snodo’ del percorso del Teatro delle Albe di Ravenna, diventato con il tempo uno dei suoi simboli.
Un testo che ha esordito nel 1989, anno topico di una rottura nella storia del mondo o addirittura, secondo qualcuno, della fine della storia stessa, ma capace di una straordinaria e paradossale attualità che ha le sue radici essenziali nella capacità profetica del Teatro delle Albe, in grado di vedere nel presente di allora il suo oltre di oggi, mai però in termini di apodittica affermazione ma in termini di dubbio che scava e smaschera, che accende e alimenta il motore della vera conoscenza che tutto sospende, soprattutto la finta sapienza. Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonno, e i loro primi amici senegalesi, partendo da storie diverse se ne erano fatti portatori dando vita allora a questo eterodosso organismo teatrale che è giunto sin qui mutando sempre senza mai cambiare.
Eretici e comunque dubbiosi sempre, amici di Giordano Bruno e Philip K. Dick e nemici di chi rifiuta di specchiarsi nel diverso da sé, cioè nel doppio che inevitabilmente lo accompagna. Come lascia intendere l’interessante prefazione di Oliviero Ponte di Pino, che correda il volume, un testo politico e dunque polittico (con due t) ovvero politttttttico (con sette t) in quanto riporta la politica alla sua vera natura che è lo stare dentro (e non sopra) e il vedere oltre. Palestra di recitazione e conoscenza per Ermanna, momento di ribaltamento per la scrittura polisegnica di Marco, è un testo con molti padri e soprattutto moltissimi figli, già arrivati o attesi.
Una ‘farsa filosofica’ infine che non adatta o adotta l’attualità, ma a cui l’attualità, anche quella più tragicamente vicina, si adatta per essere meglio compresa.
Collegamenti
Cue Press, l’editoria digitale è un business da primo premio
I migliori per sostenibilità del progetto, carattere innovativo e fattibilità. Così Cue Press si aggiudica il premio Impresa Creativa, il concorso orientato a sviluppare e favorire la nascita di startup. Tra le dieci idee imprenditoriali selezionate al termine di un percorso formativo di sviluppo, il progetto imolese pensato da Mattia Visani è stato selezionato fra i tre modelli di business più innovativi, ottenendo il premio di cinquemila euro. Di Cue Press si è già parlato. Cue in inglese significa «battuta d’entrata, attacco, suggerimento, imbeccata». E come tale entra nel mondo dell’editoria teatrale cercando di sconvolgerla.
Nasce alla fine del 2012. Visani, ultimo autore della Ubulibri di Franco Quadri, la fonda prima come associazione culturale, per mutarla poi nella prima casa editrice digitale italiana interamente dedicata alle arti dello spettacolo. Di recente ha inaugurato il sito internet www.cuepress.com, che vede impegnati una decina di collaboratori. Spiega Visani: «Più che un progetto avviato, possiamo dire che è operativo, speriamo di trovare sul territorio un terreno fertile per avviarlo nella maniera e nelle dimensioni che ci aspettiamo».
L’auspicio poggia sui riscontri più che positivi ottenuti fin dai primi momenti, con il riconoscimento del Premio Hystrio Anct (Associazione nazionale critici di teatro) che ha portato l’idea in finale, e la prima pubblicazione in Italia di Visita al padre di Roland Schimmelpfennig a concorrere al Premio Ubu come migliore novità straniera. Libri digitali, ebook e formati cartacei on demand, con distribuzione in 50 paesi. Sono queste le prospettive che hanno sbaragliato un settore di nicchia, vale a dire quello dell’editoria dedicata alle arti e allo spettacolo che, spiega Visani, «soffriva di un grande vuoto che noi abbiamo cercato di colmare». Come? «Sulla base delle nuove tecnologie e dei nuovi modelli editoriali, consci del fatto che i vecchi sistemi di settore non funzionavano più».
Colpa anche del sistema stesso, sostiene l’editore, se si è arrivati a un punto di collasso: «Era troppo forte il legame con modelli stantii e lontani dalle nuove forme. Che si è sommato a una crisi distributiva, economica e di idee».
Sostiene convinto Visani: «Noi almeno la crisi di idee possiamo tentare di colmarla».
Anticipa quindi le prossime: «Ci muoveremo anche verso il cinema e la musicologia. Siamo i primi in Italia ad applicare nuovi modelli editoriali legati a nuove tecnologie a un’editoria di settore. Naturalmente ci rivolgiamo in prima battuta al teatro perché il mio percorso è nato in questa disciplina».
Così come la distribuzione, che nel progetto di Cue Press ha in serbo importanti novità, sulle quali però Visani mantiene il più stretto riserbo. «Sono canali di vendita assolutamente nuovi, forse saremo i primi in Europa, coinvolgendo anche grandi teatri».
Infine: «Ci muoveremo anche su testi multilingue».
Ormai superato il libro, inteso come oggetto. Benvenuti – se ancora non ve ne foste accorti – nell’era digitale, e al libro come ‘pro-getto’, per raggiungere il lettore alla velocità di un clic.
Premio Impresa Creativa
Cue Press ha vinto il Premio Impresa Creativa 2014, un concorso promosso dalle province di Rimini e Forlì-Cesena per premiare le migliori iniziative imprenditoriali nel settore creativo.
Il premio riconosce Cue Press come il miglior progetto d’impresa dell’anno, evidenziando il valore innovativo e culturale della sua proposta editoriale.
Questo riconoscimento sottolinea l’impegno della casa editrice nel combinare creatività e tecnologia, offrendo contenuti di qualità nel campo delle arti dello spettacolo e sviluppando soluzioni editoriali all’avanguardia, come la piattaforma digitale per la pubblicazione di eBook e libri print on demand.
Il Premio Impresa Creativa testimonia il successo del progetto e il suo impatto positivo sul territorio, rafforzando la posizione di Cue Press come punto di riferimento nel panorama dell’editoria digitale.
Totò e Vicé di Franco Scaldati
Quando l’anno scorso, il 13 giugno 2013, Franco Scaldati è venuto a mancare, fatta la tara all’ipocrisia di chi, dopo averlo lasciato una vita senza un teatro, voleva magari dedicargli una strada o una piazzetta a Palermo, tutti coloro che gli sono stati vicino negli anni e hanno amato la sua arte si sono chiesti invece se e come il suo teatro avrebbe mai potuto continuare a vivere.
Pensando al teatro di Scaldati infatti è davvero difficile, se non proprio impossibile, separare dai testi l’emozione della scena, la ruvida profondità della sua voce, i silenzi abissali, il ritmo metafisico e straniante della sua regia: come poter far vivere tutto questo senza più l’autore a dargli anima? Come rendere possibile la fruizione del suo teatro trovandosi separate testualità e autenticità della perfomance? Come evitare che venga tradita la poesia di questi testi?
È da inquadrarsi in questa prospettiva problematica il libro Totò e Vicé curato dalla critica ennese Filippa Ilardo che è stato presentato per la prima volta in Sicilia, domenica 28 settembre, a Messina, nel contesto del SabirFest. Si tratta di un libro in formato digitale edito dalla casa editrice emiliana Cue Press che propone quella che una volta si sarebbe detta l’edizione critica di un testo d’autore, nel caso specifico di Totò e Vicé di Scaldati. Un testo portato in scena per la prima volta nel 1993 a Gibellina, poi nel 1995 al Biondo di Palermo e infine nel 2011, con uno strepitoso successo di critica e pubblico, da Vetrano e Randisi.
Da sottolineare l’interessante lavoro di questa giovane casa editrice che sta cercando di ripubblicare in formato digitale numerosi classici del teatro (italiano e straniero) novecentesco: testi preziosi, intorno ai quali la riflessione critica e l’operatività artistica sono tutt’altro che esaurite, ma che sono ormai introvabili nelle librerie. Oltre al testo di Scaldati, il libro contiene un approfondimento critico della stessa Ilardo, due interviste a storici collaboratori del drammaturgo palermitano (gli attori Gaspare Cucinella e Melino Imparato) e ancora un intervento di Dario Tomasello.
Spiega la curatrice: «Nella drammaturgia di Scaldati le parole sono geroglifici, intrecciano l’elemento fonico-acustico con quello plastico-visivo, il piano della scrittura con quello della rappresentazione, ma, soprattutto, instaurano un legame profondo con la terra e con i luoghi. È da questo contatto col sottosuolo che nasce il dialetto, assorto, cadenzato, lirico, ma anche terragno, arso, viscerale di Scaldati».
Collegamenti
L’orgoglio delle idee del Brecht regista
Ristampa in e-book con nuova prefazione a cura di Marco De Marinis di uno dei libri che ha portato all’attenzione del pubblico la capacità di lavoro sui testi non solo teorica di Brecht. Infatti Brecht regista. Memorie dal Berliner Ensemble, oltre a reggersi sulla riproposizione del diario che Hans Bunge (assistente di Brecht nella messinscena del Cerchio di gesso del Caucaso) redasse tra il 1953 e il 1954 e testimonianze di attori che lavorarono con lui, si sostiene sulla magnifica sapienza teatrale di Claudio Meldolesi (il più profondo conoscitore dei meccanismi della regia teatrale) e la collaborazione di Laura Olivi, dramaturg al Residenztheater di Monaco di Baviera. Il Brecht che viene fuori è un artista e intellettuale che non rinuncia alle proprie idee. Il taccuino di lavoro è fitto di ripensamenti, di un estremo interesse al dialogo e di saper comprendere che il limite dello scrittore, come del drammaturgo, è quello di lasciar liberi i personaggi creati e di non sapere dove andranno e cosa faranno.
Il trionfo dell’asinità: dalla prefazione di Siamo asini o pedanti? di Marco Martinelli
Come i primi apologhi composti da Marco Martinelli, Siamo asini o pedanti? evita ogni facile e consolatoria certezza. Rifiuta chiavi immediatamente utilizzabili, risposte univoche. A livello comunicativo, esplora e mescola diversi livelli di realtà e alterna varie forme di comunicazione: la fantascienza (come dice la didascalia iniziale, la pièce è ambientata a «Ravenna felice, anno… più in là»), il realismo, la favola natalizia che diventa sogno e incubo, l’apologo filosofico, la satira e la tragedia, il teatro, il circo, il cantastorie… Il finale è volutamente aperto, sospeso, quasi a troncare lo sviluppo narrativo ed escludere una facile ‘morale della favola’. Siamo per certi aspetti vicini al teatro postdrammatico teorizzato da Hans-Thies Lehmann.
La ricchezza delle invenzioni, la forma aperta, frammentata, intarsiata d’innesti, fanno di Siamo asini o pedanti? un potente nucleo generativo, da cui partono linee di forza che verranno riprese e rilanciate negli anni successivi. Accanto a quelle già suggerite, c’è per esempio la ‘non-scuola’, una pedagogia basata sul cortocircuito tra sapienza e stoltezza: «Non andavamo a insegnare», spiegherà Martinelli.
«Il teatro non si insegna. Andavamo a giocare, a sudare insieme. Come giocano i bambini su un campetto da calcio, senza schemi né divise, per il puro piacere del gioco, come capita ormai di vederli solamente in Africa, a piedi nudi sulla sabbia, o nel Sud d’Italia: al Nord è raro, i più sono irregimentati a copiare il calcio dei ‘grandi’, soldi e televisione. In quel piacere ci sono una purezza e un sentimento del mondo che nessun campionato miliardario può dare. La felicità del corpo vivo, la corsa, le cadute, la terra sotto i piedi, il sole, i corpi accaldati dei compagni, l’essere insieme, orda, squadra, coro, comunità, la sfera-mondo che volteggia e per magia finisce dentro la rete. Scuola e teatro sono stranieri l’uno all’altra, e il loro accoppiamento è naturalmente mostruoso. Il teatro è una palestra di umanità selvatica e ribaltata, di eccessi e misura, dove si diventa quello che non si è; la scuola è il grande teatro della gerarchia e dell’imparare per tempo a essere società».
Dopo l’asino, sarà il turno di altri animali, a cominciare dagli Uccelli di Aristofane per arrivare alla muta di cani ululanti stipati nel sottopalco dell’Isola di Alcina (2000). Le Albe porteranno in scena nel 2000 il Padre Ubu e la Madre Ubu, creati da Alfred Jarry quando era ancora studente al liceo di Rennes: simbolo della stupidità e dell’arroganza del potere, ma anche incarnazione di una potenza sovversiva e liberatoria, Ubu segnerà a lungo il percorso del gruppo, ancora una volta dalla Romagna all’Africa.
Come drammaturgo, Marco continuerà a lanciare sguardi sull’Italia, tra grottesco e denuncia, con I Refrattari (1992) e più di recente con Pantani (2013). Come (anti)pedagogo inventerà nel 2011 Eresia della felicità, un ciclo di spettacoli – o meglio un format – che mobilita le energie di decine e decine di «bambini pieni di grazia, adolescenti sgraziati in bilico tra l’età dell’oro e l’età del grigio (per questo, forse, ancor più commoventi)», arruolati per «una creazione quotidiana sotto l’insegna della non-scuola del Teatro delle Albe. Gli adolescenti in maglietta gialla imbracceranno i versi crepitanti di Vladimir Majakovskij, scritti quando lui pure era un giovane ribelle, e sentiva la tempesta nell’aria». Rivisitando Pinocchio (2014), altri adolescenti si ritroveranno trasformati in asini. Senza dimenticare Bottom e la sua metamorfosi asinina nel Sogno di una notte di mezza estate (2002).
Quell’asino parlante e mutante continua a ragliare e scalciare. Dà forma a inedite potenzialità. Partorisce e dissemina le sue creature. Come spiega Coribante, uno dei personaggi della Cabala del cavallo pegaseo di Giordano Bruno: «Multa igitur asinorum genera: aureo, archetipo, indumentale, celeste, intelligenziale, angelico, animale, profetico, umano, bestiale, gentile, etico, civile ed economico; vel essenziale, subsistenziale, metafisico, fisico, ipostatico, nozionale, matematico, logico e morale; vel superno, medio ed inferno; vel intelligibile, sensibile e fantastico; vel ideale, naturale e nozionale; vel ante multa, in multis et post multa».
Collegamenti
Tutti i palchi portano a Parigi
Parigi val bene una messa in scena: con le sue centinaia di sale, le sue decine di teatri pubblici e privati, i suoi numerosi festival ed eventi, la Ville Lumière può, a buon diritto, essere considerata una delle capitali mondiali dello spettacolo dal vivo. Non a caso, la piccola casa editrice Cue Press ha deciso di lanciare una collana di Guide Teatrali, curata da Andrea Porcheddu, iniziando proprio da Parigi. La città dei teatri, a firma di Valentina Fago.
Tra prontuario turistico e bigino storico-geografico, questo gustoso libro di viaggio mappa l’intero circuito teatrale metropolitano, ramificato capillarmente in tutti i quartieri, e riporta numeri utili, informazioni di servizio e chicche per giramondo dei palcoscenici: dai calendari delle stagioni ai costi dei biglietti, dalle kermesse estive alle letture indispensabili, da orari e indirizzi alle dritte enogastronomiche per il dopo recita…
Oltre a un breve excursus storico, la guida è articolata in capitoli per arrondissement: si parte dal centro con La maison de Molière, ovvero la Comédie Française e la sua compagnia di sessanta attori permanenti, strutturata ancora secondo l’antica e aristocratica gerarchia, e si arriva al T2G Gennevilliers nelle banlieues, zigzagando per gli stabili nazionali, i café concert, i cabaret, l’Opéra e l’Odéon, il Théâtre des Bouffes du Nord e la Cartoucherie, i circhi e gli spazi underground, i centri di drammaturgia contemporanea e il Lévi-Strauss, dove assistere a canti e balli dei pigmei del Congo o alle marionette vietnamite. Ma non è tutto oro quel che luccica, neppure nella brulicante Ville Lumiére: la Francia è stata, infatti, tra i primi paesi a decentralizzare l’offerta, portando il teatro in periferia. Tuttavia, chiosa Stanislas Nordey nel suo prezioso contributo critico, l’operazione «non è riuscita, in sessant’anni, a toccare le fasce sociali basse e mediobasse. E questo lo reputo un fallimento».