Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

22 Marzo 2024

Condannato alla fama: chi se non Beckett?

Anna Maria Sorbo, «Limina Teatri»

Grazie alla Cue Press, casa editrice specializzata in teatro, cinema e arti, di stanza a Imola e di larghe vedute riguadagniamo una delle più appassionanti biografie letterarie dei nostri tempi, incredibilmente da noi fuori catalogo da anni: Condannato alla fama: la vita di Samuel Beckett di James Knowlson, riproposta con la cura di Gabriele Frasca e la traduzione di Giancarlo Alfano, ma con l’intrigante titolo originario (Damned to Fame. The Life of Samuel Beckett).
E non è l’unico suggerimento – cue di Cue Press in lingua inglese significa appunto battuta d’entrata, suggerimento, segnale – che la compagine fondata e diretta da Mattia Visani già editrice tra gli altri di Jon Fosse molto prima del Nobel per la Letteratura 2023 lancia sul mercato librario riguardo all’autore irlandese. Nel suo catalogo, in anticipo su un ritorno che ha interessato anche altri e magari più blasonati marchi, hanno già trovato posto gli inediti per l’Italia Beckett: un canone di Ruby Cohn e Capire Samuel Beckett di Alan Astro, a fianco della serie curata da Luca Scarlini Quaderni di regia e testi riveduti, finora dedicati ad Aspettando GodotFinale di partitaL’ultimo nastro di Krapp e ai ‘cosiddetti’ Testi brevi.
Ancora prima di addentrarsi nella lettura dei ventisei capitoli che attraversano l’intera esistenza di un autore-mito o feticcio, racchiusa nei limiti solo cronologici 1906-1989 tra le Immagini dell’infanzia e il Viaggio d’inverno, fin dal ‘paratesto’ si apprezza la monumentale – nell’accezione migliore del termine – opera di Knowlson. Concepita a ridosso dell’assegnazione a Beckett del Premio Nobel per la Letteratura nel 1969, una ‘catastrofe’ che lo sconvolse al punto da «correre a nascondersi per il tempo necessario a far calmare la confusione», la biografia sarà ultimata e data alle stampe da Bloomsbury solo nel 1996. Un tempo nient’affatto vuoto, anzi necessario a coltivare la frequentazione tra Knowlson e Sam e di lì a superare le resistenze dello scrittore – notoriamente riluttante perfino nel concedere semplici interviste – il quale «aveva sempre sperato che sotto il microscopio venisse posta la sua opera non già la sua vita», tanto da ‘autorizzare’ personalmente la composizione del volume e presentare Knowlson come il suo biografo ufficiale.
E tuttavia è proprio in un libro come questo di Knowlson, che unisce la cura del dettaglio a una prosa agile e gradevole, sincero e mai agiografico nel far luce anche su aspetti del privato e della personalità meno noti di Beckett, che si svela la strettissima relazione tra letteratura e vita, le influenze, le ossessioni, l’assoluta centralità per esempio dell’esperienza «di incertezza radicale, di disorientamento, esilio, fame, bisogno» vissuta durante gli anni del secondo conflitto mondiale (Beckett, malgrado la nazionalità irlandese gli consentisse di restare neutrale, decise di aderire a una cellula della Resistenza britannica, la Gloria SMH) nel sollecitare le storie, i romanzi e i drammi capolavori prodotti «nella tempesta creativa» dell’immediato dopoguerra. Perché «una cosa era provare intellettualmente la paura, il pericolo, l’angoscia e la privazione, un’altra viverle sulla propria persona, come gli era successo quando era stato accoltellato, oppure quando si era dovuto nascondere o era stato costretto a scappare», in fuga dalla Gestapo in una Francia devastata.
Tanto ci sarebbe da aggiungere, ma come avverte lo stesso Knowlson «il libro deve parlare per se stesso» e dunque lasciamo al lettore il piacere della scoperta continua che Condannato alla fama riserva. Nella sterminata messa a punto di fonti e documenti utilizzati da Knowlson – appunti, taccuini e manoscritti dello stesso Beckett, materiali concessi dagli eredi o da altri studiosi, le testimonianze e le tantissime lettere recuperate attraverso amici e corrispondenti vari – spiccano le preziose sette ore di conversazione che il nostro ebbe il privilegio di intrattenere con Beckett, fortunatamente realizzate prima dell’improvvisa scomparsa di questi nel 1989. Rappresentano il ‘pilastro’ maggiore che sostiene l’edificio knowlsoniano. Non a caso Gabriele Frasca, nella sua postfazione, parla e fa «l’elogio» di un «metodo Knowlson». Un lavoro di stratificazioni, più anatomico giustamente che invero architettonico, nel suo «procedere da un primo apparato scheletrico, rimpolpato via via di muscoli e nervi, fino a quello tegumentario che dovrebbe restituirci, in uno, l’autore nell’uomo, l’uomo nel sociale, e il sociale nella storia». È ciò che consente al Knowlson biografo di farsi tramite empatico e non mero osservatore/dissezionatore di un oggetto di indagine e alle sue pagine di ‘vivere’, letteralmente, del respiro dell’artista ritratto, immortale come la fama cui era predestinato, chiamandosi Samuel Beckett.

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18 Marzo 2024

Per il Nobel Jon Fosse è difficile riconciliarsi con la vita. Dopo che questa ci ha condannati a soffrire. E a smarrirci

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

L’investitura del Nobel è molto simile all’investitura di un Papa, nel senso che, grazie alla popolarità raggiunta, anche gli scritti, che si tenevano nel cassetto, trovano immediata pubblicazione.

In Italia, Jon Fosse non vantava certo una grande popolarità, si deve a case editrici che hanno scelto di pubblicare solo teatro, sia per quanto riguarda i testi che per quanto riguarda i saggi, la pubblicazione di commedie o drammi, come Variazioni di morte, Sonno, Io sono il vento, editi da Titivillus, o delle sue prime composizioni, come E non ci separeremo mai, Qualcuno verrà, Il nome, edite da Cue Press, a cui dobbiamo anche la pubblicazione dei suoi Saggi, dove sono raccolti gli scritti sulla Concezione del dramma, sulla Linea Ibsen-Joyce-Beckett-Bernhard, oltre che sul rapporto tra scrittura e gnosi.

Sempre a Cue Press dobbiamo lo studio di Leif Zern: Quel buio luminoso. Sulla drammaturgia di Jon Fosse, con una Premessa di Vanda Monaco Westerståhl che lo inquadra come un autore schivo che, come scritto nella motivazione del Nobel, dava «voce all’indicibile», o, meglio, a un linguaggio privato che, però, sapeva tradurre in linguaggio universale. Per Leif Zern, a cui dobbiamo anche una monografia su Bergman, il compito del teatro per Fosse è quello di esplorare l’invisibile, l’ignoto, oltre che l’indicibile e, per dimostrarlo, crea dei parallelismi con altri autori, da Xaver Kroetz, da lui definito il «Foucault della scena», benché i suoi drammi fossero degli studi sull’alienazione e l’esclusione sociale, a Beckett, per i suoi silenzi, a Pinter, per i suoi personaggi anonimi.

Solo che Fosse, a suo avviso, preferisce le categorie di «smarrimento», di «misticismo che sa di gnosi» che gli permette di alternare l’esplorazione del rapporto tra il limite e l’illimitato, con lo stare sulla soglia ed entrare nella vita. Per Fosse, siamo tutti sostituibili, essendo diventati delle identità sconosciute, non solo a noi stessi, ma anche agli altri, dato che tutto si muove verso una degradazione o una perdita, tanto che appare difficile riconciliarsi con la vita, dopo che questa ci ha condannato a soffrire e ad essere puniti per colpe reali o immaginarie. Come gli uomini politici non hanno saputo imparare dalla Storia, così gli uomini comuni non hanno saputo imparare dalla Vita.

Molto importante è l’analisi che Zern fa dei testi di Fosse, avendo seguito tutte le messinscene europee, a cominciare da quelle di Ostermaier, per finire a quelle di Patrice Chereau. Il suo saggio ha inizio con le interpretazioni di E non ci separeremo mai, di Qualcuno verrà, per continuare con Il nome, Barnet, Sogno d’autunno, opere nelle quali egli ha individuato un tema ricorrente, quello del trasloco, nel senso che gli esseri umani sono sempre alla ricerca di luoghi solitari, dove non vogliono attendere nessuno, perché in loro l’attesa non ha alcun valore ontologico.

Altri temi affrontati sono quelli della precarietà del vivere come dinanzi a una soglia, con la paura di attraversarla. Cosa resta, allora? Abbandonarsi al tempo, in attesa che accada qualcosa o che non accada. Forse, la drammaticità dei testi di Fosse nasce proprio da questa incertezza, oppure dalla assenza di alternative, che diventano linfa vitale di tensioni senza conflitti, anzi è proprio la vitalità delle incertezze che crea la tensione scenica, nel senso che i personaggi non sono l’uno contro l’altro, ma uno accanto all’altro, versione diversa da quella dei personaggi pirandelliani, nel Giuoco delle parti, quando Leone Gala rimprovera la moglie per non essergli mai stata accanto, ma sempre contro.

Mentre stiamo scrivendo, a Torino ha debuttato La ragazza sul divano, pubblicato da Einaudi, dopo una prima pubblicazione fatta da Editoria & Spettacolo, con la regia di Valerio Binasco, con un cast d’eccezione, che si potrà vedere successivamente al Piccolo Teatro Strehler. Binasco è certamente il principale interprete di Fosse, avendo messo in scena E la notte canta, Un giorno d’estate, Sonno e Sogno d’autunno. La storia di La ragazza sul divano è quella di una pittrice che dipinge una giovane che forse è sempre se stessa.

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11 Marzo 2024

I supereroi al cinema

Alessandro Mastandrea, «fantascienza.com»
Dopo decenni in cui erano poco più che macchiette, dalla fine degli anni Settanta, lentamente ma costantemente, i supereroi si sono ricavati spazi e attenzione sempre maggiori nel mondo del cinema. Prima il Superman di Donner, poi il Batman di Burton, poi via via Iron Man, 300 e Watchmen di Zack Snyder, il Batman di Christopher Nolan, fino al Marvel Cinematic Universe, raccogliendo a volte il plauso della critica ma spesso l’apprezzamento del pubblico. Di questo fenomeno si occupa Alessandro Mastandrea nel saggio I supereroi dal fumetto al cinema.

Il libro

Il mondo dei fumetti ha da sempre affascinato le grandi case di produzione, tanto che si può parlare dell’esistenza di un vero e proprio genere cinematografico a sé stante, il cosiddetto «cinecomic»: dal mito di Superman ai graphic novel di Frank Miller, il volume indaga in tutte le sue sfaccettature (da quelle più metafisiche e filosofiche fino a quelle sociologiche e di costume) la figura del supereroe e il suo impatto nel passaggio dal fumetto al grande schermo. In particolare approfondisce le scelte compiute da maestri del cinema come Richard Donner, Tim Burton e Christopher Nolan, i cui adattamenti hanno rivoluzionato non soltanto la storia dei cinecomic, ma anche la ricezione del supereroe nell’immaginario collettivo. Prefazione di Giulio Sangiorgio.

L’autore

Alessandro Mastandrea, nato a Termoli nel 1976, è laureato in Storia Scienze e Tecnica della Musica e dello Spettacolo presso l’università Tor Vergata di Roma. Da sempre appassionato di cinema e fumetto, dal 2010 al 2015 collabora con i siti online «Paneacqua.eu» «Paneacquaculture.net», per i quali scrive articoli di critica televisiva ed effettua fulminee incursioni nel campo della critica cinematografica. Collegamenti
11 Marzo 2024

Bando Industrie Culturali e Creative

Promosso da Fondo Europeo di Sviluppo e dalla regione Emilia Romagna

Il Bando Icc – Industrie Culturali e Creative della Regione Emilia Romagna, sostenuto in larga misura dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e integrato da risorse regionali (Por Fesr 2021-27), promuove la crescita e l’innovazione nel settore culturale e creativo favorendo l’adozione di nuove tecnologie e la valorizzazione del patrimonio artistico e storico.

Attraverso contributi specifici, il programma incentiva le imprese a sviluppare progetti innovativi e a potenziare la propria competitività sui mercati, creando opportunità di collaborazione e impatto sul territorio.

Cue Press, casa editrice specializzata in testi teatrali e saggistica sullo spettacolo, ha ottenuto il finanziamento grazie a un progetto capace di integrare sapientemente la tradizione teatrale con soluzioni editoriali digitali.

1 Marzo 2024

Ecco i primi titoli della Cue Press

Federico Platania, «SamuelBeckett.it»

Dopo essere stati annunciati, ecco i nuovi titoli pubblicati dalla casa editrice Cue Press che porta per la prima volta in Italia alcuni importanti saggi critici dedicati a Samuel Beckett, insieme alla ri-edizione dell’unica biografia autorizzata dello scrittore, Condannato alla fama di James Knowlson, pubblicata per la prima volta nel nostro paese da Einaudi, ma ormai fuori catalogo da alcuni anni.

Cominciamo proprio da qui, dunque. Se non bastasse l’esplicita benedizione di Beckett, se non bastasse la capillare ricostruzione della vita dello scrittore, se non bastassero le ore e ore di conversazioni che l’autore, James Knowlson, ha intrattenuto con il grande drammaturgo quando questi era giunto ormai alla fine della sua vita, se non bastasse tutto questo a far capire l’importanza di Condannato alla fama: la vita di Samuel Beckett (Cue Press, 2024 – traduzione e cura di Gabriele Frasca), ci pensa appunto il traduttore e curatore a spiegarcelo in postfazione descrivendo quello che lui chiama il «metodo Knowlson»: «Procedere da un primo apparato scheletrico, rimpolpato via via di muscoli e nervi, fino a quello tegumentario che dovrebbe restituirci, in uno, l’autore nell’uomo, l’uomo nel sociale e il sociale nella storia». E prosegue: «L’autore si avvale di una decisione da parte di Samuel Beckett che potrebbe persino stupire, quella cioè di autorizzare il lavoro in questione. È questo il terzo pilastro, o sistema nervoso, che rende se non unica, quanto meno rara la biografia che avete appena letto».

Per quanto riguarda il saggio di Ruby Cohn, Beckett: un canone (Cue Press, 2024 – traduzione e cura di Enzo Mansueto) si tratta di una lacuna nelle pubblicazioni italiane che viene finalmente colmata. La ricercatrice statunitense, già spettatrice della prima assoluta di Aspettando Godot a Parigi, e negli anni successivi amica, confidente (a lei si deve, ad esempio, la pubblicazione dei Disiecta) e studiosa dell’opera di Beckett, è di fatto la fondatrice degli studi beckettiani in lingua anglosassone. Ebbene di questa figura centrale nell’evoluzione della critica beckettiana non era finora disponibile in italiano neanche uno dei diversi studi da lei firmati. Ora possiamo finalmente leggere quello che è forse il testo di Ruby Cohn più compiuto, una panoramica disinvolta dell’intera opera di Beckett dove l’aneddotica personale non travalica mai la precisa analisi dei testi.

Chiudiamo con Capire Samuel Beckett di Alan Astro (Cue Press, 2024 – traduzione e cura di Tommaso Gennaro). Astro – che insegna Lingue e Letterature moderne alla Trinity University di San Antonio, in Texas – scrisse questo saggio nei primi anni Novanta, poco dopo la morte di Beckett. La sua carrellata sui singoli pezzi che compongono l’opera dell’autore trova nell’agilità il suo punto di forza. Al punto che il saggio di Astro (a differenza di quello di Cohn, che andrebbe letto per approfondire aspetti delle singole opere dopo averle lette) può rientrare nella sempre utile categoria delle «introduzioni alla lettura di». Sulla scrivania ideale del lettore beckettiano (ma perché non immaginarla «reale», invece?) mi piace pensare a questi tre titoli affiancati al decisivo Meridiano uscito pochi mesi fa. Una sorta di premium kit con cui trascorrere ore di meravigliosa immersione nella lettura, in compagnia di uno dei più grandi autori del Novecento e dei suoi appassionati esegeti.

Di tutti questi titoli parlerò in occasione del mio intervento beckettiano alla prossima edizione del San Patrizio Livorno Festival, sabato 16 marzo 2024.

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18 Febbraio 2024

Il problema delle origini, tra miti greci e miti orientali

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Il primo libro che lessi di Antonio Attisani fu Teatro come differenza, edito da Feltrinelli nel 1968, contemporaneo del mio Teatro a Milano 1968-78. Il Pier Lombardo e altri spazi alternativi, edito da Mursia. Entrambi cercavamo un teatro che si differenziasse da quello istituzionale, diventato, malgrado tutto, un teatro che ammiccava ad operazioni di tipo commerciale, avendo esaurito la grande stagione creativa degli anni Sessanta-Settanta. A ridosso di quei due libri, c’era stata la rivoluzione sessantottesca e il successo, anche in Italia, delle teorie di Artaud e del suo teatro e corpo glorioso, secondo la definizione di Artioli, ma c’erano stati anche gli spettacoli del Living, Grotowski, Barba, da intendere, non come forme rappresentative, ma come forme della coscienza, o meglio ancora, come religio priva, però, di ogni consolazione metafisica. Attisani, in quel particolare momento, era interessato al teatro di tipo sociale, oltre che politico e a una diversa concezione dell’attore, in particolar modo, di quello popolare, incarnato da Dario Fo, e dell’attore santo a cui era pervenuto Grotowski. lo andavo in cerca dell’uso diverso degli spazi scenici che popolavano le periferie milanesi, dove si muovevano i nuovi gruppi italiani che, ciascuno a suo modo, cercava di differenziarsi dal teatro ufficiale.

A dire il vero, in quegli anni, c’era stata una grande richiesta di teatro da parte di una nuova generazione, tanto che Attisani la invitava a fare delle domande al teatro e a cosa bisognava chiedergli, esortandoli, nel frattempo, a conoscere un altro teatro che andasse: Oltre la scena occidentale, titolo di un suo libro molto importante, dove indicava cosa potesse essere ancora recuperato di quel teatro, per metterlo a confronto con quanto accadeva sulle scene orientali, tanto che i suoi corsi all’università di Venezia, alla fine del secondo millennio, erano incentrati, proprio, su questo rapporto, oltre che sul teatro performativo che vantava, in Francesco D’Assisi, il primo performer, antesignano di Carmelo Bene, ovvero degli attori-autori, da considerare attori pensanti, più che recitanti, ben diversi dall’attore impegnato politicamente, come Dario Fo, oppure spiritualmente, come l’attore santo di Grotowski. Nel volume: L’invenzione del teatro. Fenomenologia e attori della ricerca, edito da Cue Press, Attisani ha portato avanti il suo lavoro, sia in chiave teorica che pratica, approfondendo la sua metodologia e il suo modo di rapportarsi con le origini, in rapporto con la modernità. Il volume è diviso in sette capitoli, benché, il referente, sia sempre il teatro delle origini, quello della semplicità e della purezza, affidate al rito, non solo occidentale, ma anche orientale. Nel frattempo, Attisani si era documentato sul Teatro tibetano e indiano, in particolare, sul loro uso del corpo e dei tempi scenici. In questa sua ricerca delle Origini, non poteva mancare il rapporto antitetico tra l’attore e lo sciamano, tra la tragedia attica, con i suoi cori e le sue danze, e le danze nel teatro tibetano, utilizzando una bibliografia ad hoc, in particolare, L’Ur-drama di E. T. Kirby, gli studi del danese Egill Rostrupp e quelli di Ferruccio Marotti, continuati da Bavarese. In tutti i citati, c’era l’urgenza di liberare il teatro dallo spettacolo e di ridurlo alla sua vera essenza, magari a scapito della sua componente narrativa che era rivolta a livelli di realtà ben diversi da quelli percepiti durante la vita quotidiana. Per costoro, un teatro asservito o ridotto a racconto, è un teatro degradato, essendo, il lavoro del teatro, di tipo concettuale, capace di coinvolgere il corpo-mente e il corpo-vita.

La scoperta di Tanguy e del teatro di La Fonderie di Le Mans, permette, ad Attisani, di confrontarsi con un altro Maestro che teorizzava il Teatro della soglia, da intendere come momento ‘inafferrabile’, essendo, la soglia un vero e propio enigma e che, come tale, è più importante di qualsiasi risposta, essendo «il momento in cui si condensano il più gran numero di forze, di tensioni». Credo che, a livello scenico, sia stato Maeterlinck a realizzare il teatro della soglia. Molti sono i materiali che Attisani propone, grazie ai quali, è possibile creare nuove soglie di percezione e di partecipazione.

15 Febbraio 2024

Carrozzeria Orfeo, quindici anni di successi ben costruiti

Andrea Malosio, «Hystrio», XXXVII-2

Quindici anni, un tranche de vie significativo per un’impresa, sufficiente a fare una storia. Per Carrozzeria Orfeo, compagnia itinerante, nata dall’incontro casuale nelle sale prova d’accademia, questi quindici anni sono stati il principio, la crescita, il consolidarsi di un progetto artistico e imprenditoriale ben raccontato in questo volume edito da Cue Press e scritto dal giovane studioso milanese Andrea Malosio. Con un focus puntato sulla scrittura, il volume ricompone in modo dettagliato e documentato il percorso della compagnia, ricostruisce le biografie dei fondatori e delle persone che ne hanno incrociato il lavoro, ne di- segna la poetica cercandone anche la collocazione all’interno della scena contemporanea. I testi, dunque, come focus.

Diversamente da quanto spesso accade, ciò che ha segnato dal nascere il progetto di Carrozzeria Orfeo è stata la scrittura personale e originale dei propri spettacoli, affidata da subito alla mano decisa di Gabriele Di Luca. Malosio ripercorre, giustamente privilegiando questo punto di vista, i primi testi (Nuvole barocche, 2007; Gioco di mano, 2008; Sul confine, 2009; Idoli, 2011; Robe dell’altro mondo, 2012) per concentrarsi poi sulla trilogia del successo – Thanks for vaselina, 2013; Animali da bar, 2015; e Cous Cous Clan, 2017 – e sui successivi spettacoli (soprattutto Miracoli metropolitani, 2020) ai quali l’autore dedica un’analisi profonda, dalla genesi alla struttura drammaturgica, dal linguaggio ai caratteri dei personaggi e alla loro identità sociale. Emerge la cifra distintiva del lavoro della compagnia, che unisce «il basso con l’alto, il lirico con il triviale», con l’intento di ‘agganciare’ il pubblico, divertendolo e passandogli qualche elemento di riflessione sulla società contemporanea, che si tratti della tossicità delle relazioni familiari o della strisciante violenza del sistema post-capitalista dei consumi. Ma l’autore non si ferma solo alla dimensione artistica della compagnia. Nell’interessante capitolo Giù dal palco: dalla comunicazione ai progetti culturali e formativi, affronta l’aspetto tutt’altro che secondario della struttura societaria e amministrativa della compagnia, parte integrante dell’azione, strumentale all’attività artistica ma strategica nell’economia generale della sua vita.

13 Febbraio 2024

Per una sociologia di Stranger Things

Ludovico Cantisani, «ODG Magazine»
La casa editrice Cue Press di Bologna ha dato di recente alle stampe il volume collettivo I segreti di Stranger Things, raccolta eterogenea di saggi a cura di Kevin Wetmore jr., professore di teatro e cinema in Marymount. Sin dal sottotitolo del libro – Nostalgia degli anni Ottanta, cinismo e innocenza – si intuiscono alcune delle principali direttive che prendono le variegate analisi della serie televisiva condotte da un team internazionale di accademici che in Stranger Things ha individuato uno dei prodotti culturali più rappresentativi del nostro tempo. Stranger Things è effettivamente una delle serie che, nell’ultima decade, hanno avuto maggiore influenza sull’immaginario collettivo. Rappresenta a un grado particolarmente cristallino quella tendenza delle narrazioni contemporanee a ripercorrere – in termini di remake più o meno dichiarati – a precedenti storytelling e franchise che hanno goduto di successo nei decenni passati, in una sorta di omogeneizzazione generazionale del pubblico che porta tanto i più anziani ad identificarsi nelle nuove storie quanto i più giovani a incuriosirsi alle vecchie. Tra gli elementi sorprendenti della costruzione narrativa di Stranger Things sin dalla prima stagione era stato rilevato che i fratelli Duffer, ideatori, showrunner e principali registi della serie Netflix, avevano plasmato un calibratissimo pot-pourri di classici della fantascienza e dell’horror occidentale, con una particolare predilezione per i film degli anni Ottanta con cui loro stessi erano cresciuti: titoli piuttosto eterogenei tra loro, al di là del genere fanta-horror di partenza, come E.T., La cosa, Alien, Indiana Jones, It, Jurassic Park, Incontri ravvicinati del terzo tipo, si trovavano ad essere omaggiati uno dopo l’altro da citazioni ed easter egg posti all’interno della serie, all’interno di linee narrative apparentemente in grado di ‘digerire’ e rielaborare in un continuum spontaneo e autonomo un numero esorbitante di situazioni già viste in altri film, serie, videogiochi e fumetti dei decenni passati. I segreti di Stranger Things praticamente in tutti i saggi parte da una valutazione positiva della serie: non è un’opera di critica cinematografica o audiovisiva, bensì di critica dell’immaginario e, per quanto molto legata a un’impostazione accademica di scrittura, molti dei saggi raccolti nel volume aprono interconnessioni notevoli tra diverse discipline, illuminando di riflesso lo stesso significato di Stranger Things verso una ricchezza e una stratificazione che a una prima visione potrebbero sfuggire. Stranger Things resta un prodotto di massa astutamente costruito attorno a un omaggio quasi ossessivo dei cult con cui almeno due o tre generazioni sono cresciute, ma, «analogamente alle pietre miliari culturali del decennio che omaggia tanto scrupolosamente, Stranger Things è intrisa di sottotesti più cupi che spesso passano inosservati, e affronta le ansie culturali prevalenti sia allora che oggi in maniera più diretta di quanto le venga riconosciuto», afferma la regista arthouse e docente accademica Rose Butler all’inizio del suo saggio. Svariati degli interventi raccolti ne I segreti di Stranger Things sono monograficamente dedicati ad esplorare le connessioni e le citazioni tra la serie dei fratelli Duffer e altre opere di intrattenimento uscite negli ultimi tre decenni del Novecento: il testo posto in apertura alla raccolta, La rinascita dei figli di King, riflette sulla pesante eredità kinghiana che si porta appresso la serie, tra Carrie, It e Fenomeni paranormali incontrollabili, giusto per citare i tre omaggi più smaccati; altri capitoli indagano nel dettaglio i riferimenti al cinema di Steven Spielberg, o al cinema di John Carpenter, non solo per l’evidente richiamo a La cosa, ma anche per una comune tendenza, da parte di Carpenter e i fratelli Duffer, a ibridare western e fantascienza a livello di situazioni e personaggi; più sorprendente il saggio, scritto a quattro mani da due studiosi latino-americani, che punta a dimostrare convergenze – e almeno un easter egg esplicito – tra Stranger Things e tre serie teen – fantasy andate in onda sulla televisione colombiana alla fine degli anni Ottanta. Per quanto Stranger Things debba molto del suo successo proprio alla ricchezza delle sue citazioni e a un’astuta modalità di rielaborare linee narrative a cui il pubblico è già famigliare, i saggi raccolti nel volume di Wetmore non mancano di evidenziare momenti di originalità e di meta-consapevolezza da parte della serie, con i fratelli Duffer e i loro collaboratori creativi impegnati talvolta in una vera e propria decostruzione dei codici di genere. Rilevante in questo senso è la riflessione sulla morte di Barb, personaggio secondario della prima stagione che al momento della sua uccisione sullo schermo da parte del Demogorgone aveva suscitato reazioni contrastanti da parte degli spettatori. «La morte di Barb è uno dei modi drastici in cui Stranger Things sovverte le convenzioni degli slasher ed è un indicatore precoce di quanto la serie desideri ribaltare le nostre aspettative:… Barb, che si dissocia dai giochi alcolici e siede sola mentre gli altri si ritirano nelle stanze al secondo piano, inizialmente sembra ricoprire il ruolo della final girl. Casta e sensibile, resta ai margini. Il fatto che venga catturata dal Demogorgone – soprattutto mentre gli altri stanno facendo sesso – mira brutalmente il conservatorismo perpetuato dal ciclo degli slasher degli anni Ottanta». Così scrive sempre la Butler nel suo intervento. I segreti di Stranger Things affronta attentamente anche le questioni economiche, sociali e politiche che la ri-ambientazione della serie negli anni Ottanta, durante la presidenza Reagan, porta con sé. «Il personaggio di Matthew Modine, il dottor Martin Brenner, è essenzialmente il dottor Frankenstein con ideali reaganiani; arranca con i suoi esperimenti per conto del Dipartimento dell’Energia, in nome della bandiera americana», afferma Melissa Kaufler nel suo saggio sulla rappresentazione del corpo femminile nella serie. Particolarmente interessante la disamina del personaggio di Joyce Byers, interpretato da Winona Ryder, da parte di Lisa Morton, che evidenziando come «attraverso la retrocessione sociale del personaggio di Ryder, siamo costretti a rivedere il nostro giudizio sugli anni ottanta: decantati dai media come un periodo di prosperità generale, ci appaiono ora come un’era di grandi divari finanziari e di classe e di economia fallimentare». In questa rappresentazione realistica delle condizioni economiche medie negli anni Ottanta soprattutto delle donne, Stranger Things mostrerebbe una maggiore oggettività rispetto a un’opera super-cult di Spielberg, E.T., che pure è costantemente omaggiata dalla serie dei fratelli Duffer. E.T. è una sorta di fiaba fantascientifica continuamente costellata di momenti che mettono alla prova il principio di realtà: «Ma la vera invenzione di E.T. è la sua rappresentazione della classe media. La mamma di Elliot, Mary, si è recentemente separata dal marito; quando Elliott accenna al fatto che suo padre sia in Messico con Sally, Mary si deprime. Lei è ora la madre lavoratrice di tre bambini, che cerca di bilanciare il lavoro con i doveri genitoriali. Eppure, la loro casa sembra essere di almeno duecentottanta metri quadri: una casa nuova in un nuovo complesso residenziale». Più di un saggio della raccolta di Wetmore riflette sulla possibilità che il Demogorgone e tutto l’immaginario del Sottosopra alludano anche all’epidemia di AIDS scoppiata proprio nel cuore degli anni Ottanta. Del resto, i sottotesti della serie riguardanti l’omosessualità, e in particolare l’identità sessuale del protagonista Will Byers, erano parsi evidenti sin dalla prima stagione, creando grande dibattito e speculazione tra fan e detrattori fino ad arrivare al coming out sui social dell’interprete del personaggio, Noah Schnapp. «Vedere Will come personaggio queer conferisce ancora più credibilità all’idea che la serie si esprima direttamente sull’Aids e sulle battaglie degli uomini gay negli anni Ottanta. Questa analogia diviene particolarmente pertinente nella seconda stagione, quando il Mostro Ombra prende il possesso del corpo di Will». Così scrive Emily Roach nel saggio della raccolta intitolato Aids, omofobia e il mostruoso sottosopra. «Il mostro è definito in maniera ambigua, un mutaforma descritto spesso attraverso il linguaggio proprio della malattia e dell’infenzione. Il mostro è un virus e il corpo di Will è il suo ospite». Particolarmente interessante sul tema del gender e dell’orientamento è anche il saggio di Elsa Carruthers Rivisitando la femminilità mostruosa e i genitori mostri in Stranger Things, in cui vari personaggi e varie componenti visivo-iconiche della serie, a cominciare dal personaggio di Undici interpretato da Millie Bobby Brown, vengono ricondotti a un archetipo di femminilità primordiale, medianica, a cavallo tra i due mondi, a cui più volte lo stesso Stephen King aveva attinto. Come per la celebre regola 34 del web – «se qualcosa esiste, allora c’è la sua versione porno» – è inevitabile che ogni fenomeno di costume che coinvolge e aggiorna l’immaginario collettivo si trascini dietro di sé un dibattito che va molto al di là dell’apprezzamento o della squalifica del singolo prodotto culturale e audiovisivo, e spesso sfocia in un contesto accademico. Storicamente è stata proprio l’Italia, nella figura di Umberto Eco, assieme alla Francia con Roland Barthes, a dare un contributo significativo alla rilettura dell’immaginario popolare attraverso metodologie e strumenti ‘colti’, anche se questa tendenza ha attecchito, a livello universitario e giornalistico, soprattutto negli Stati Uniti. La stessa Stranger Things non è nuova a iniziative di questo genere, e un paio d’anni fa era uscita, a cura di Jeffrey A. Ewing e Andrew M. Winters, un’analoga disamina della serie intitolata La filosofia di Stranger Things, più attenta alle componenti storiche e religiose insite nel sottotesto dell’universo narrativo dei fratelli Duffer anziché alle implicazioni economiche e sociologiche. A differenza però di analoghe operazioni che volevano a tutti i costi trovare messaggi filosofici in opere di consumo o insegnare la fisica attraverso film che di scientifico non avevano nulla, entrambi i volumi e in modo particolare I segreti di Stranger Things colpiscono per la fondatezza delle loro affermazioni e la solidità delle nuove prospettive che aprono su uno dei prodotti più popolari dell’immaginario contemporaneo. Leggere ‘contropelo’ un’opera seriale vista da milioni di spettatori in tutto il mondo innesca in queste pagine un cortocircuito che illumina, di fatto, mezzo secolo di storia e immaginario occidentale: la serie ‘spiega’ gli anni Ottanta, gli anni Ottanta spiegano la serie, ma anche e soprattutto la fascinazione nostalgica per gli anni Ottanta di cui Stranger Things è sintomo e propagatrice spiega il nostro oggi, le nostre ambiguità e le nostre rimozioni – e al centro di ogni cosa resta lo sguardo freddo ma tutt’altro che morto di un demiurgo-Demogorgone. Collegamenti
10 Febbraio 2024

Samuel Beckett, un vademecum per affrontarlo

Michele Casella, «la Repubblica»
Entrare nelle opere di Samuel Beckett, autore ‘assurdo’ per antonomasia, precursore di una visione artistica omnicomprensiva, deve essere stato facile per Enzo Mansueto. Perché il lavoro di sottrazione continua che caratterizza il ‘non’ stile dell’autore irlandese si sovrappone al calibratissimo senso ritmico nell’uso della parola. Questa familiarità col ritmo Enzo Mansueto di sicuro la possiede, non solo nella sua pluriennale carriera di poeta, critico letterario, docente di lettere, ma anche per il suo passato sonoro in ambito punk. Un pezzo di quell’attitudine è entrato anche nella cura e traduzione di Beckett: un canone, tomo appena pubblicato dalla Cue Press e per il quale lo studioso barese ha anche redatto la prefazione. Il volume, scritto dalla decana degli studi beckettiani Ruby Cohn, è originariamente uscito nel 2001 e rappresenta un poderoso attraversamento di tutta l’opera, edita e inedita, di questo autore tanto complesso quanto illuminante. A rafforzare la profondità dell’indagine letteraria della Cohn non vi è solo il potente apparato critico, ma anche la profonda conoscenza di ogni dettaglio della sua opera, dovuta alla decennale amicizia fra la studiosa statunitense e il premio Nobel per la letteratura. Il primo obiettivo del libro, infatti, non è quello di inquadrare Beckett in una lettura univoca, bensì di fornire dei precisi input di analisi che permettano al lettore di affrontare in maniera accurata il corpus delle sue opere. D’altra parte anche il rapporto fra Mansueto e l’autore Aspettando Godot è decisamente lungo e risale ai suoi vent’anni, quando l’affinità di poetica si è intrecciata con altre figure come Joyce, Wittgenstein e Carmelo Bene. Spiega Mansueto: «Lavorare così intensamente, e per un lungo periodo, sul bel saggio della Cohn mi ha consentito di rinverdire questa antica e duratura passione rivedendo alcune posizioni, colmando immancabili lacune, ma soprattutto rileggendo le sue opere a fronte di un’attenzione ravvivata dal mio lavoro attuale, critico e creativo». L’uscita di Beckett: un canone si inserisce in una più ampia operazione di rilancio dello studio dell’opera di Samuel Beckett in Italia e avviene in coincidenza con la pubblicazione nei Meridiani Mondadori del volume Romanzi, teatro e televisione, la prima edizione commentata delle opere beckettiane (a eccezione delle poesie), integralmente curata da Gabriele Frasca. Questo ‘ritorno’ di Beckett pare oggi quantomai necessario, non solo perché colma una lacuna su un autore così determinante, ma anche perché contribuisce al superamento del concetto di libro stampato, della ‘letteratura’, dei generi. Lo spiega bene Mansueto, che incalza: «Credo che autori come Beckett oggi rappresentino una fonte di anticorpi salutari contro la standardizzazione dei prodotti da libreria e in generale delle varie declinazioni narrative, comprese quelle audiovisive del cinema e delle serie tv, viralmente contagiate dagli invadenti algoritmi e cliché delle piattaforme digitali». La rilettura di Beckett consente infatti di comprendere quanto la sua opera sia stata in anticipo sulla multimedialità di oggi, in primis grazie a una vibrante instabilità – linguistica, di medium, di genere testuale – che è cifra fondante del suo lavoro. «Beckett è stato determinante in tutto questo» osserva ancora Mansueto: «Non solo perché i videodrammi, le opere per la tv e i meravigliosi radiodrammi tracciano una strada, ma perché la multimedialità elettronica segna da subito la sua scrittura narrativa, come già quella del suo maestro, James Joyce: non avremmo l’Ulisse senza la rivoluzione dei media elettronici, dal telefono alla radio, e la scorporazione tecnologica della voce, che hanno condotto a nuove forme di oralità di ritorno».
5 Ottobre 2023

Il Nobel per la Letteratura va al norvegese Jon Fosse: «Sono sorpreso, ma non troppo»

Emanuela Minucci, «La Stampa»

Il Nobel per la letteratura è stato assegnato a Jon Fosse, 64 anni, scrittore e drammaturgo norvegese noto per il suo stile minimalista e lirico. Il quale, come primo commento, ha detto: «Sono sorpreso, ma non troppo». Le sue opere in Italia sono pubblicate da La nave di Teseo. La motivazione: «Per la sua prosa […]
5 Ottobre 2023

Jon Fosse. Quattro libri per conoscere il Premio Nobel per la Letteratura 2023

Federico Vergari, «Wired»

Il vincitore del Premio Nobel per la Letteratura 2023 è il norvegese Jon Fosse (il centoventesimo della storia, il quarto norvegese). Scrittore a tutto tondo, principalmente di romanzi e drammi teatrali, ma anche di saggi, libri per ragazzi e poesie. Fosse si è aggiudicato il premio dell’Accademia reale svedese «per le sue opere teatrali e […]
1 Ottobre 2023

Saggi gnostici di Jon Fosse, Cue Press 2018

Angela Forti, «Prospero, Teatro e Critica»

Nei Saggi gnostici Jon Fosse si muove sui temi della poesia, della letteratura, dell’arte quasi senza rispetto, con una prosa informale e schietta, brutale. Nella raccolta di scritti redatti tra il 1990 e il 2000 e curata da Franco Perrelli per Cue Press, la parola teatro compare pochissimo. Circa ottanta volte, togliendo titoli e note, […]
1 Ottobre 2023

Caldo di Jon Fosse, Cue Press 2019

Simone Nebbia, «Prospero, Teatro e Critica»

È una calda giornata d’estate, c’è un pontile, una casa, ovunque è il mare; ci sono due uomini, forse, poi c’è una donna che appare e scompare. Sarebbe tutto qui Caldo di Jon Fosse (Cue Press, 2019), ma l’autore norvegese, proprio in questa immagine scarna, apparentemente debole, essenzialmente onirica, raccoglie e disvela la ricorrenza delle […]
15 Settembre 2023

Ontologia del cinema, critica dei film

Roberto De Gaetano, «Fata Morgana Web»

Iniziamo col dire che la traduzione in italiano del libro di Stanley Cavell Il mondo visto è un piccolo evento editoriale. L’edizione originale del libro (The World Viewed) data 1971, quella aggiornata 1979. Si aspettava da tempo un’edizione italiana. Merito dell’editore Cue Press, di chi ha curato e introdotto il libro secondo una prospettiva filosofica, […]
14 Settembre 2023

Bando Transizione Digitale Organismi Culturali e Creativi

Indetto dal Ministero della Cultura nell’ambito del Pnrr

Cue Press vince il Bando Tocc – Transizione Digitale per gli Organismi Culturali e Creativi. Il Bando Tocc è un’iniziativa promossa dal Ministero della Cultura nell’ambito del Pnrr, finalizzata a sostenere e incentivare la trasformazione digitale di realtà attive nel settore culturale e creativo. Attraverso contributi a fondo perduto, il bando finanzia progetti che puntino […]
3 Settembre 2023

Mejerchol’d, allestire Lermontov ma senza gareggiare

Luca Archibugi, «Alias — Il Manifesto»

La memoria del teatro, in apparenza, è consegnata all’effimero. In realtà, non lo è più della persistenza di tutta l’opera d’arte. E, forse, ogni forma d’arte è consegnata al drenaggio dell’effimero. Il lavoro di Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d non è esente da tale drenaggio. Uno dei grandi protagonisti della storia del teatro lotta strenuamente per la […]
23 Luglio 2023

Siegfried Kracauer, «apertura esitante» sempre al di qua delle cose ultime

Rolando Vitali, «Alias — Il Manifesto»

In una delle possibili varianti della critica della cultura, l’oggetto da esaminare si rivela sulla base dei presupposti stessi della teoria, cui si richiede una soggettività solida, sicura dei propri strumenti interpretativi, capace di domare il materiale culturale, riconducendolo a sé, o dimostrandolo come falso. A questa variante – oggi preponderante in ogni ambito – […]
12 Luglio 2023

Terzopoulos ci aiuta a far rivivere Dyonisos, il dio che rende il teatro un’arte inimitabile

Andrea Bisicchia, «Il Giornale»

Mentre, al Teatro Greco di Siracusa, sono andati in scena spettacoli che hanno avuto, per protagonista, l’eroe tragico – Prometeo, Medea, Ulisse – la casa editrice Cue Press, pubblica Il ritorno di Dionysos (pagg. 76, € 19,99) di Theodoros Terzopoulos, da intendere come ritorno all’energia del corpo, quella delle origini, quella del mito, prima della […]
12 Luglio 2023

Strade maestre. Un libro sul teatro contemporaneo

«Move Magazine»

Subito dopo il disorientamento causato dalla pandemia con la chiusura dei teatri, Corrado d’Elia e Sergio Maifredi, rispettivamente direttori della Compagnia Corrado d’Elia e del Teatro Pubblico Ligure, si sono rivolti a Eugenio Barba, Lev Dodin, Stefan Kaegi, Antonio Latella; Ariane Mnouchkine, Thomas Ostermeier, Milo Rau; Peter Stein, Krzysztof Warlikowski.Viaggiando a Berlino, Parigi, Toulouse; Gent, […]
1 Luglio 2023

Luca Ronconi nel teatro di andamento favolistico

Andrea Bisicchia, «Il Mondo», IV-3

È possibile andare in cerca della felicità, come fanno i due protagonisti di L’uccellino azzurro (1909) di Maurice Maeterlinck, edito da Cue Press, recuperando la traduzione di Luca Ronconi, pubblicata da Emme Edizioni nel lontano 1979, quando il regista la portò in scena in una, persino eccessiva, produzione dell’ATER? Oggi è possibile rileggerla, con Prefazione […]
30 Giugno 2023

Alexander Moissi. Una storia mitteleuropea

Mauro Sperandio, «Inside»

Insegnante e critico teatrale, il bolzanino Massimo Bertoldi è autore di un prezioso volume dedicato ad Alexander Moissi, attore di teatro celeberrimo nei primi trent’anni dello scorso secolo e poi sostanzialmente dimenticato. Artista mitteleuropeo e poliglotta, di origini italiane ed albanesi, austriaco e nato a Trieste, dalla cifra originale, molto applaudito e criticato, Moissi trova […]
26 Giugno 2023

Quando Luca Ronconi si cimentò con il teatro di andamento favolistico

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

È possibile andare in cerca della felicità, come fanno i due protagonisti di L’uccellino azzurro (1909) di Maurice Maeterlinck, edito da Cue Press, recuperando la traduzione di Luca Ronconi, pubblicata da Emme Edizioni nel lontano 1979, quando il regista la portò in scena in una persino eccessiva produzione dell’ATER? Oggi è possibile rileggerla con Prefazione […]
19 Giugno 2023

Caryl Churchill, Top Girls

Massimo Bertoldi, «Il Cristallo On Line»

«Maestra dei dialoghi sospesi, carichi di ambiguità, di sorprese, di sensi segreti»: in questo modo Luca Scarlini definisce la scrittura di Caryl Churchill, riferendosi in particolar modo a Top Girls, uno dei testi della consacrazione – assieme a Settimo cielo e L’amore del cuore – della drammaturga londinese, nota anche per i radiodrammi di stampo […]
5 Giugno 2023

Il teatro, in attesa della propria resurrezione, dovrà tornare a Dionysos, come vita, ribellione, istinto, creatività ed erotismo

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Per capire l’idea di teatro di Theodoros Terzopoulos, almeno in Italia, occorre partire da un suo spettacolo, visto al Teatro delle Passioni di Modena nel 2017. Si trattava di ENCORE (Ancora), ovvero della tenacia nel chiedere qualcosa, come dire: «Ti prego, ancora». Una specie di supplica, la stessa che faceva vibrare i corpi dei due […]
1 Giugno 2023

Heiner Müller, Teatro

Paola Quadrelli, «Allegoria 87», XXXV-87

Molto presente sui palcoscenici italiani sin dagli anni Ottanta, l’opera teatrale di Heiner Müller è invece ormai scomparsa dagli scaffali delle librerie: non si può dunque che apprezzare la pubblicazione del presente volume, che offre al lettore italiano un’ampia messe di sue pièces, comprensiva di alcuni testi canonici della drammaturgia mülleriana: Filottete, L’Orazio, Mauser, Hamletmaschine, […]
1 Giugno 2023

Luis Buñuel su Luis Buñuel

Gigi Giacobbe, «Teatro Contemporaneo e Cinema», XIV-45

Ho amato il Cinema di Buñuel sin da ragazzo, al tempo in cui in un Cineforum della mia città vidi in accoppiata Un chien andalou e L’Âge d’or, sceneggiati assieme a Salvador Dalì. Del primo ho chiara l’immagine di un uomo che seziona l’occhio di una ragazza, del secondo ricordo che iniziava con un documentario […]
23 Maggio 2023

Paolo Grassi: cento anni di palcoscenico

Isabella Gavazzi, «Drammaturgia»

Il centenario della nascita di Paolo Grassi (1919-1981) è stata l’occasione per organizzare nel marzo 2019 un convegno a lui dedicato presso l’Università di Milano, dal quale sono tratti gli otto contributi che troviamo in questo volume, curato da Isabella Gavazzi. Figura emblematica per la politica e la cultura (sia teatrale che televisiva) del Novecento, […]
19 Maggio 2023

Marivaux, Teatro III

Massimo Bertoldi, «Il Cristallo On Line»

La pubblicazione di Teatro III di Marivaux, che segue i primi due volumi editati nel 2021 e 2022, risponde ad un ambizioso e prezioso progetto di Cue Press finalizzato alla divulgazione del repertorio, conosciuto in Italia solo attraverso poche e irreperibili traduzioni, di questo grande commediografo francese molto legato al Théâtre Italien di Parigi, dove […]
14 Maggio 2023

Alexander Moissi, la star dimenticata applaudita a Bolzano

Fabio Zamboni, «Alto Adige»

Per mamma e papà – rispettivamente italiana e albanese – era Aleksandër Moisiu. Per gli italiani – era nato a Trieste nel 1879 – era Alessandro Moissi. Per il mondo del teatro – che era quello austriaco e germanico – era Alexander Moissi. Di queste tre versioni, Massimo Bertoldi, storico del teatro bolzanino e critico […]
6 Aprile 2023

Un mondo sull’orlo del disfacimento nei monologhi di Puppa

Stefano Adami, «Il Tirreno»

Paolo Puppa è professore emerito di Storia dello spettacolo all’Università Ca Foscari di Venezia e studioso di storia del teatro. Nel tempo si è aperto le strade di narratore, autore teatrale e attore. Questo libro vuole essere una sorta di sintesi di questo lungo lavoro. In queste pagine vediamo affollarsi il palpitante, disfunzionale brulicare umano: […]