Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

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7 Dicembre 2016

Le dieci migliori startup dell’Emilia-Romagna

Dalle fresatrici dentali alla realtà aumentata passando per la prevenzione dell’ambiente. La Regione Emilia-Romagna premia le migliori startup fra Piacenza e Rimini. Il bando, che rientra nel quadro del Programma operativo regionale Fesr 2014-2020, ha visto partecipare 152 imprese innovative: 30 di queste sono state ritenute ammissibili per il finanziamento, per un totale di 2.743.000 euro messi a disposizione dalla Regione. Questo terzo stralcio si somma alle risorse già attribuite nei primi mesi del 2016, che hanno interessato altre 24 aziende e portano il finanziamento complessivo a 5,4 milioni di euro. Molto soddisfatta l’assessore regionale alle attività produttive Palma Costi: «L’alta partecipazione al bando è la dimostrazione che, soprattutto tra i giovani, c’è voglia di contribuire alla crescita del tessuto imprenditoriale e della nostra economia. Oltre a cercare il lavoro i giovani creano il lavoro».

In Emilia-Romagna l’11,5% delle startup innovative in Italia

Il dato conferma la buona presenza di imprese innovative in Emilia-Romagna: al 31 marzo 2016 le startup iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese erano 5.439 (+296 unità, pari al 5,8% di fine 2015), con 21.118 soci e 6.524 dipendenti. Numeri che dimostrano la solidità della nuova imprenditoria regionale, seconda solo alla Lombardia nello scenario nazionale. A Milano e dintorni infatti hanno sede il 21,8% delle startup italiane, mentre in Emilia-Romagna sono l’11,5% del totale.

Tante startup, ma di cosa si occupano?

Molto spesso non si riesce a definire bene l’ambito di attività delle nuove imprese innovative. Sappiamo che il 72% di quelle registrate in Emilia-Romagna si occupano di servizi alle imprese (fra cui dominano la consulenza informatica e la realizzazione di software – 30%, e la ricerca e sviluppo – 15,1%), mentre il 18,8% nel manifatturiero e il 4,2% nel commercio. Abbiamo deciso quindi di raccontare quali sono le attività portate avanti dalle aziende beneficiarie dei finanziamenti 2016, indicando il territorio di provenienza, il settore in cui sono attive e i prodotti che offrono al mercato. […]

Software, ricerca e tecnologia: i punti di forza delle imprese innovative

Fra queste, Cue Press, la startup che porta avanti la pubblicazione di libri digitali, ebook e cartacei (con stampa digitale on demand), attraverso un approccio multimediale e multidisciplinare, con un focus sull’arte e la letteratura. I testi sono offerti in formato ePub, Pdf, Mobi per Kindle e cartaceo – su richiesta e in consegna entro 5 giorni lavorativi. La distribuzione avviene in più di 50 paesi del mondo.

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6 Dicembre 2016

Premio Incredibol!

Storico premio del Comune di Bologna

Cue vince Incredibol!, storico premio dedicato all’innovazione creativa.

Incredibol!, acronimo di «Innovazione Creativa di Bologna», è un progetto promosso dal Comune di Bologna per sostenere e premiare l’innovazione nel settore creativo e culturale dell’Emilia Romagna.

Nato per valorizzare talenti emergenti e realtà innovative, il premio offre supporto economico, formativo e di rete per lo sviluppo di idee capaci di generare valore sul territorio.

Così la giuria descrive il progetto vincitore:

«Cue /kju:/ in inglese significa «battuta d’entrata, attacco, suggerimento, imbeccata».
È alla fine del 2012 che nasce Cue Press, la prima casa editrice digitale italiana interamente dedicata alle arti dello spettacolo, coniugando il recupero di un prezioso patrimonio culturale e librario ai più elevati standard tecnologici e moderni di distribuzione.
A fronte di una materialità che va assottigliandosi sempre di più, il libro non viene concepito come ‘oggetto’ ma come ‘pro-getto’.
Non solo una casa editrice quindi, ma un vero e proprio laboratorio di idee per costruire modelli nuovi per l’editoria e moderne modalità di produzione culturale.
Cue produce libri digitali (ebook) e libri cartacei con un processo di stampa digitale (on demand).
L’agilità e l’economia del digitale permettono il recupero di testi fondamentali non più disponibili e la proposta di novità di valore, declinando un immenso patrimonio culturale in vista di un pubblico che esiste ed è reattivo, ma non è più raggiunto (e forse raggiungibile) dai metodi dell’editoria tradizionale.
Le nicchie di mercato che si esploreranno spaziano dal cinema all’arte, dal fumetto alla musicologia.
​Le edizioni Cue propongono il meglio dell’editoria dello spettacolo, italiana ed internazionale.

Con questo riconoscimento, Cue Press si conferma come modello d’eccellenza nell’editoria contemporanea, aprendo nuove strade per la cultura e l’innovazione.

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24 Agosto 2016

Quella scommessa di Cue Press vinta coi libri di teatro del Dams

Emanuele Giampaoli, «la Repubblica»

Sono i libri su cui ha studiato una generazione, testi che hanno fatto la storia del Dams, specie quella gloriosa delle origini, che rappresentano la memoria del teatro italiano. Eppure, complice la crisi che ha cancellato tante piccole case editrici, erano praticamente introvabili.

A rimetterli in circolo ci ha pensato Mattia Visani, classe 1979, imolese, con un lungo passato sotto le Torri, che dalla fine del 2012 ha dato vita a Cue Press. «Mi sono formato all’Alma Mater e al Teatro Stabile di Torino come attore e regista e sono stato l’ultimo autore della Ubulibri di Franco Quadri, così quando la storica casa editrice fondata dal critico ha chiuso ho pensato di provare a fare qualcosa, cercando nuove strategie».

Come ebook o stampa on demand applicate a titoli fuori catalogo. Ricetta semplice che ha consentito di restituire ai lettori testi come Teatri romani di Nicola Savarese, imprescindibile per conoscere le forme dello spettacolo nell’antica Roma. O I teatri di Pasolini di Stefano Casi, il primo studio che affronta in maniera sistematica l’impegno dell’artista sulla scena. O ancora Brecht regista, memorie del Berliner Ensemble di Claudio Meldolesi, sull’uso poetico dei mezzi teatrali del drammaturgo tedesco. Ma anche opere come Al limite del teatro di Marco De Marinis, sulla ricerca scenica dal 1968 al 1977, che riproposto a trent’anni di distanza, benché dia conto di una modalità di calcare le scene che non esiste più, parla di un’esperienza che continua a porre domande. La vera sorpresa è stata poi che l’operazione, lodevole dal punto di vista culturale, ha funzionato su quella imprenditoriale. «Oggi i nostri best seller arrivano a vendere intorno alle 500 copie, non male per un mercato di nicchia.

In Italia la maggior parte dei lettori preferisce ancora la carta e dunque va di più il print on demand (si stampa anche una sola copia alla volta), mentre il formato ebook fa arrivare i libri Cue Press in tutto il mondo, come negli Usa e in Argentina. E a Bologna basta andare alla Libreria dello spettacolo di via Mentana.

Intanto il mondo teatrale ringrazia e premia l’iniziativa con riconoscimenti, dal Nico Garrone all’Ubu (come progetto speciale) al recente Premio Hystrio. Ma l’imbeccata, la battuta d’entrata, il suggerimento – come suggerisce il nome inglese cue – dal repertorio storico si allarga a nuove pubblicazioni di autori italiani e stranieri. «Abbiamo per esempio pubblicato Rosso di John Logan, sceneggiatore amato da Scorsese, e tra i progetti c’è la traduzione di Postdramatic Theatre di Hans-Thies Lehmann, testo fondamentale inedito in Italia».

Tra i più attesi a ottobre uscirà poi il teatro di Elio De Capitani a cura di Laura Mariani. E ancora in catalogo si trovano le Albe spiegate da Martinelli, La voce poetica di Elena Bucci, Totò e Vicé di Franco Scaldati. L’ambizione, visto che l’idea funziona, è allargarsi ad altri linguaggi, primo fra tutti il cinema. Continua Visani: «Coniugando memoria storica e nuova ricerca nei vari ambiti vorremmo fare di Cue Press un luogo di confronto e discussione così da ampliare l’orizzonte. Il libro come progetto più che come oggetto».

18 Giugno 2016

Premio Hystrio

Vince il Premio Speciale



Il Premio Hystrio è un prestigioso riconoscimento italiano dedicato al mondo del teatro.

Istituito nel 1989, premia artisti e professionisti che si sono distinti in vari ambiti delle arti sceniche, come recitazione, regia e drammaturgia.

È considerato un importante punto di riferimento per valorizzare il teatro contemporaneo e promuovere nuove generazioni di artisti.

Cue Press riceve il premio Hystrio, per le seguenti motivazioni espresse dalla giuria:

Nel giro di pochissimi anni Cue Press, ideata e fondata da Mattia Visani alla fine del 2012, si è solidamente affermata nel panorama nazionale dell’editoria teatrale, la prima in assoluto per la diffusione nelle modalità ebook e stampa digitale on demand.
Con quasi cinquanta titoli all’attivo e altrettanti di ‘prossime uscite’, Cue Press si sta specializzando sempre di più da una parte nel ‘recupero’ di volumi ‘storici’ fuori edizione o di non facile reperibilità, ma fondamentali per lo studio del teatro del Novecento, dall’altra nella pubblicazione di nuovi testi teatrali di giovani autori, italiani e stranieri, diventando un punto di riferimento imprescindibile per la nuova drammaturgia europea.
Oggi si guarda alle sue principali ‘collane’ editoriali (I Testi, I Saggi, Gli Artisti) per orientarsi in un teatro fatto di tante e autorevoli voci di attori, drammaturghi e studiosi, che possono trovare in Cue Press un possibile, necessario spazio di incontro. Nella sua originalissima maniera di muoversi, in un mercato prevalentemente di nicchia, con intelligenza unita a una buona dose di follia, Mattia Visani è riuscito a trasformare un progetto editoriale in impresa produttiva, una passione per il teatro in cultura attiva.
C come Coraggiosa.
U come Utile.
E come Efficace.
Questa è Cue Press, alla quale viene assegnato il Premio Hystrio-Altre Muse.

Con questo riconoscimento, il Premio Hystrio celebra l’impegno, l’innovazione e la visione di Cue Press, sottolineando il suo ruolo fondamentale nel panorama dell’editoria teatrale e nella promozione del teatro come cultura viva e accessibile.

Logan john foto autore
18 Maggio 2016

Rosso: Logan e i solipsismi di Rothko

Francesco Bove, «L’Armadillo Furioso»

Rosso è un testo di John Logan, edito da Cue Press, ispirato alla biografia di Mark Rothko, pittore americano, che ottenne una commessa importantissima, alla fine degli anni Cinquanta, per creare dei murali per il Four Season Restaurant.

Le pièce sulle vite dei pittori rischiano sempre di enfatizzare la figura dell’artista bohémien tralasciando l’aspetto artistico. John Logan, invece, supera questi ostacoli con grande maestria sia perché la vita di Rothko era un tutt’uno con la sua arte e sia per la tensione emotiva delle sue opere.

Rosso non è un testo perfetto: nella prima parte rischia di essere pesantemente didascalico nello scambio di battute tra Rothko e Ken, il suo assistente, ma il dramma cresce man mano che Ken acquisisce consapevolezza della sua vita e del suo rapporto con l’arte e l’integrità del suo datore di lavoro disintegrata da una commessa importante. Ed è qui che Logan diventa sublime: riesce a far entrare il lettore-spettatore nelle maglie della pittura di Rothko, nelle contraddizioni di un’arte vissuta come vocazione e sofferenza.

Un ritratto di artista veritiero e credibile, un dramma moderno convincente sulle pieghe dell’animo dove il gesto pittorico e quello umano diventano un tutt’uno. Rothko vuole essere capito e, per motivare il suo bisogno inespresso, tira in ballo la pittura occidentale, Nietzsche, Sheakespeare, Jung. Ken, invece, è uno studente intelligente, che vuole apprendere il mestiere ma, al contempo, cercare di cogliere il senso ultimo della pittura e dell’Arte.

Visto da un altro punto di vista, Rosso, invece, potrebbe sembrare un espediente narrativo attraverso il quale Logan utilizza Rothko per affermare alcune sue posizioni sull’arte mainstream ma, in realtà, è un lavoro erudito e accattivante che diverte e appassiona spingendo la riflessione anche al di là dell’opera stessa di Mark Rothko.

Quest’anno Francesco Frongia ha riportato in scena il testo di Logan affidandolo all’arte e alla maestria di Ferdinando Bruni, affiancato da Alejandro Bruni Ocaña.

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1 Aprile 2016

Stanislavskij, una geografia teatrale e umana

Giuseppe Liotta, «Hystrio», XXIX-2

Invertendo l’ordine di uscita dei tre storici volumi curati da Fausto Malcovati per Ubulibri delle regie di Stanislavskij, ma seguendone l’ordine cronologico delle rappresentazioni, viene ripubblicato ora per Cue Press Le mie regie – Il gabbiano, il primo e probabilmente anche il più tormentato spettacolo messo in scena dal grande regista russo di un testo di Čechov.

Il dettagliatissimo copione di scena, a fronte del testo vero e proprio, è la vera ragione della straordinaria importanza scientifica e culturale del lavoro di Malcovati, il nostro più acuto e appassionato studioso di letteratura russa, di cui in questa nuova uscita editoriale, si ripropone l’illuminante introduzione e il ricco apparato di note. Superfluo dire che questo libro, e gli altri che seguiranno (Zio Vanja, Tre sorelle, Il giardino dei ciliegi), non dovrebbero mancare in nessuna scuola di teatro e di regia degna di questo nome perché alla fine i ‘quaderni’ di Stanislavskij sono veri e propri manuali di una regia creativa colta nel suo dinamico e geniale divenire.

Ed è proprio in quella «catastrofica prima» del Gabbiano, il 17 ottobre del 1896, che nasce il teatro moderno: quell’idea di un nuovo teatro che nasce in palcoscenico, di una scrittura registica diversa dal testo drammatico. Malcovati ripercorre, attraverso una prosa saggistica scientificamente inappuntabile e magistralmente avvincente, il tempo di quelle battaglie teatrali e delle prove, dei febbrili entusiasmi e delle brucianti sconfitte, di rapporti personali difficili, come quello fra Mejerchol’d e Stanislavskij, sullo sfondo di temperie artistiche che avrebbero segnato il destino teatrale di un intero secolo. In tal modo, Fausto Malcovati ci regala, nel suo intrico di saperi, una geografia teatrale e umana densa di contributi specifici, ed entusiasmante per chi ha voglia di conoscere le origini del nostro teatro contemporaneo, e vuole affidarsi a quella «speciale provvidenza» in cui risiede il segreto del teatro e della mortale esistenza.

Marco martinelli foto luca del pia
1 Aprile 2016

La necessità di domandare

Maddalena Giovannelli, «Hystrio», XXIX-2

Marco Martinelli si è concesso uno spazio di riflessione per porsi, in poche pagine, tutte le domande fondamentali. Cosa significa fare teatro oggi? E quale funzione può conservare l’arte scenica nella nostra società 2.0? Le risposte, quelle possibili, vengono dalla pratica quotidiana con le Albe, dall’esperienza ormai pluriennale con la propria tribù: il palco come luogo di incontro con il diverso e di meticciato, l’attore come portatore sano dell’elemento dionisiaco, l’inclusione di adolescenti nella creazione artistica al di fuori delle rodate logiche di laboratorio (Eresia della felicità), le possibili forme di trasmissione del sapere (la non-scuola). Ma non bisogna aspettarsi un trattato o una lezione ex cathedra: Martinelli procede per brevi paragrafi (101 in tutto), propone suggestioni frammentarie e volutamente asistematiche, rifiuta una forma fissa e chiusa. Si rivolge direttamente al lettore, supera le modalità della comunicazione scritta, abbraccia come possibile interlocutore l’intera famiglia del teatro, dalle maschere ai tecnici, dai critici allo spettatore.

C’è molto di personale, nelle pagine di Farsi luogo: l’incontro con Ermanna Montanari, i maestri conosciuti lungo il percorso (Leo de Berardinis, Carmelo Bene, l’Odin Teatret), la formazione della compagnia, il rapporto privilegiato con certi classici (Aristofane e Brecht, in primis). Ma è possibile percepire, allo stesso tempo, l’urgenza di toccare questioni universali, la volontà di uscire dalla cerchia ristretta degli addetti ai lavori: qual è oggi una modalità possibile per un’interlocuzione profonda con l’altro? E quali strade possiamo percorrere, nella prassi quotidiana, per avvicinarci a ciò che per noi è necessario? Occorre «il rifiuto di ogni conformismo e il coraggio di una ricerca incessante», suggerisce Martinelli. Ma è altrettanto chiaro che «non ci sono ricette», perché «è la domanda il punto di partenza»: al lettore spetta individuare la propria.

Post 01
30 Gennaio 2016

L’editoria teatrale è un dramma

Laura Landolfi, «Pagina99»

In tempi di recessione, se le case editrici non ridono, quelle specializzate in testi teatrali piangono: per la crisi che colpisce il mondo del libro, e più ancora per la convinzione diffusa che il teatro scritto sia una nicchia per pochi. A lanciare l’allarme è una sigla, Minimum fax, che non fa parte del settore, ma che da poco ha mandato in libreria uno dei testi più importanti della seconda metà del XX secolo, Lear di Edward Bond. Nella nota introduttiva l’editore romano sottolinea come l’opera sia stata pubblicata solo grazie alla collaborazione con la compagnia La casa d’argilla di Lisa Ferlazzo Natoli, che in dicembre l’ha allestita al Teatro India di Roma. E Minimum fax chiude con un appello: se vogliamo puntare sull’editoria teatrale è necessario educare lo spettatore italiano a confrontarsi con il testo scritto.

Ribatte Maximilian La Monica, direttore della casa editrice Editoria&Spettacolo: «Smettiamola di prendercela con chi i libri li pubblica e con chi li legge. L’editoria teatrale è seguita da tanti lettori, che spesso non sono quelli che vanno a teatro».

Certo la crisi del settore non aiuta: in base ai dati Aie (Associazione Italiana Editori) nel primo semestre 2015 il fatturato del mercato del libro è calato del 3,6% rispetto all’anno precedente. E del resto, anche Editoria&Spettacolo è passata dai 18-20 titoli degli anni scorsi ai 12-13 dell’ultimo anno.

Prosegue La Monica: «Ormai in libreria lo spazio per la drammaturgia è ridottissimo, ma la vendita online, grazie ad Amazon, funziona molto meglio delle librerie-supermercato. Il punto è che per la pubblicazione di autori contemporanei non esiste alcun tipo di sovvenzione. Talvolta gli istituti di cultura finanziano la traduzione di testi stranieri, ma il problema si pone con i diritti d’autore: è difficile spiegare che in Italia non abbiamo i numeri di vendita che ci sono all’estero».

La mancanza di una capillare rete di distribuzione e di finanziamenti rende difficile mantenere una linea editoriale coerente, e la drammaturgia di casa nostra resta relegata ai tanti Pirandello che spopolano nei cartelloni anche in questa stagione. Né la nascita dell’ebook risolve la situazione: secondo i dati Istat in Italia solo l’8,2% della popolazione ha letto o scaricato ebook negli ultimi tre mesi; niente a che vedere con i picchi statunitensi dove, a detta dell’Association of American Publishers, seppur con un rallentamento, si arriva al 20%.

Non la pensa così Mattia Visani fondatore della Cue Press, casa editrice che punta sulle nuove tecnologie recuperando in formato ebook la migliore produzione editoriale di settore e lanciando proposte inedite: «Sono convinto che la drammaturgia in Italia sia vivissima e di ottimo livello, ma le cose vanno reimpostate su nuovi modelli. Esiste un pubblico reattivo, ma non è più raggiunto dai metodi dell’editoria tradizionale».

Per Visani le vendite vanno bene: grazie anche alla pubblicazione cartacea on demand propone circa 10-15 libri in due mesi.

Per Enrico Falaschi, direttore della attivissima Titivillus, il problema della mancanza di un’educazione alla lettura drammaturgica inizia sui banchi scolastici: «Ma un cambiamento inizia a vedersi. La riforma della Buona Scuola ha inserito nei programmi l’attività teatrale e cinematografica. Per farlo però sono stati stanziati 2 milioni di euro in tutta Italia, cioè nulla. Resta comunque un segnale importante».

Il processo però rischia di fermarsi all’università: «L’istituzione della laurea triennale ha fatto sì che si adottino testi più brevi e onnicomprensivi, mettendo fuori gioco quelli che per anni sono stati punti di riferimento per la formazione in queste discipline».

Ai problemi di fondo si aggiunge la difficoltà di fare rete. Non così in altri paesi, come il Regno Unito, dove le case editrici teatrali fioriscono spesso intorno a una libreria che è luogo di incontro e di scambio. Come il londinese Calder Bookshop aperto da John Calder, vecchio amico di Samuel Beckett: attorno alla libreria (e casa editrice), che si trova a due passi dai teatri Old Vic e Young Vic, gravitano altri tre marchi indipendenti: Hesperus Press, Alma Books, Oneworld Classics. E qui si radunano autori, poeti, vecchi e nuovi clienti, un circuito che aiuta a creare una clientela più giovane e attenta agli autori emergenti. In Italia, perfino una sigla come Ubulibri, che grazie al suo fondatore, il critico Franco Quadri, ha introdotto gran parte della drammaturgia straniera e non, è in sofferenza. Alla morte del padre, il figlio Jacopo ha tentato invano di trovare finanziamenti adeguati e una testa che potesse dirigerla. Ora prosegue idealmente il lavoro paterno attraverso dei documentari, l’organizzazione di burning books (la distribuzione pubblica dei testi) e la cessione di parte del catalogo a Einaudi.

Quanto alla storica La Casa Usher, ha attraversato una fase difficile, ma ha ora ripreso le pubblicazioni. Spiega ancora a pagina 99 Enrico Falaschi: «Bisogna riqualificare il nostro bagaglio teatrale, avviare un processo identificativo veicolandolo all’estero. La domanda c’è, ma dovremmo fare un passo ulteriore e tradurre i testi mettendoli poi in vendita come ebook. Mi riferisco soprattutto ai saggi di autori del livello di Meldolesi o Marotti ma anche ai nuovi autori come Erba, Santeramo, Massini». E conclude: «Le eccellenze ce le abbiamo, hanno solo bisogno di sostegno».

Marco martinelli bn
2 Gennaio 2016

Farsi luogo: lo sguardo di Martinelli

Massimo Marino, «Corriere di Bologna»

È un librettino da leggersi tutto d’un fiato, Farsi luogo di Marco Martinelli. Lo pubblica, come ebook ma anche a stampa Cue Press, una giovane casa editrice di Imola specializzata in editoria teatrale, che sta recuperando alcuni saggi ormai introvabili (tra gli altri Brecht regista di Claudio Meldolesi) e molti nuovi testi.

Questo di Martinelli è un intenso scritto di poetica del teatro. Il sottotitolo Varco al teatro in 101 movimenti ne afferma lanatura di esperienza che si chiede di condividere e ne fa anche un personale manuale di buone pratiche. Lo scrittore e regista, fondatore del Teatro delle Albe di Ravenna, contrappone il teatro come luogo vivo dell’incontro tra un io e un tu ai non luoghi che costellano la vita contemporanea. Il teatro vivente, «che il cuore gli batte», è luogo del «Visibile, del Tangibile, del Corpo che sente». È luogo del «Necessario, dell’Utile» come un ago per cucire, ma anche «dell’Inutile, del Gratuito», come una preghiera.

Una forte ispirazione etica guida tutte le 101 tesi, perfino con qualche sfumatura leggibile in chiave religiosa. Martinelli parla del teatro come posto dell’eresia, intesa come scelta, ma anche dell’ortodossia, della retta opinione, del giusto, del bene, della verità, della grazia, come rifiuto del narcisismo, come rispetto della dignità di tutti. Luogo della relazione, tra chi vi lavora e lo spettatore. Luogo germogliante e di alchimie tra opposti, tende a parlare alla polis, alla società, a creare quel coro, quella comunità assente di cui tanto si sente la mancanza.

Alle spalle delle considerazioni ci sono più di trent’anni di pratica teatrale, rivendicati con brevi accenni. Si inizia dal 1977, con la fuga da casa del regista ventenne con Ermanna Montanari per sposarsi e fare teatro. Martinelli racconta poi la paziente e faticosa costruzione del teatro sognato, giorno per giorno, viaggiando, incontrando, sbagliando. Ricorda un lavoro sempre teso a costruire incontri, a mettere al centro il rapporto interpersonale. Dalla coppia iniziale nel 1983 con Luigi Dadina e Marcella Nonni nascono le Albe, poi il cerchio si allarga con il meticciato con immigrati africani trasformati in attori, con la forza dionisiaca degli adolescenti della città nella non-scuola, una pedagogia vivente, senza pedanterie, esportata poi in Italia e nel mondo. Sempre io e tu al centro, per costruire il teatro come utopia realizzata.