Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

4 Luglio 2024

Lotte Eisner e il cinema espressionista

Le ombre e la luce del cinema: il pensiero e le opere di Lotte Eisner

Lotte Eisner, storica del cinema e critica franco-tedesca, è una figura di spicco nello studio del cinema espressionista tedesco. Nata nel 1896 e scomparsa nel 1983, ha dedicato la sua carriera all’analisi del cinema tedesco degli anni Venti e Trenta, diventando un punto di riferimento per studiosi e cineasti. La sua influenza si estende anche al celebre regista Werner Herzog, che la considerava una mentore e un’ispirazione.

Cue Press è orgogliosa di presentare le opere fondamentali di Lotte Eisner, che hanno rivoluzionato la comprensione del cinema espressionista. Scopri di seguito le sue opere più importanti pubblicate da Cue Press in Italia.

Lo Schermo Demoniaco è un viaggio nell’estetica del cinema espressionista degli anni Venti. Nel volume, Eisner esplora l’uso delle ombre, le architetture distorte e le tematiche oscure che riflettono le ansie post-belliche della società tedesca. Questo libro offre una visione approfondita e illuminante di un periodo cruciale nella storia del cinema.

Fritz Lang rappresenta una dettagliata analisi della carriera del regista, noto per capolavori come Metropolis e M – Il mostro di Düsseldorf. L’autrice approfondisce lo stile visivo e narrativo del regista, rivelando l’impatto duraturo del suo lavoro sul cinema mondiale.

Nella più importante biografia realizzata su Friedrich Wilhelm Murnau, il genio dietro Nosferatu e L’ultima risata, Eisner esplora l’approccio innovativo alla regia del regista e la sua capacità unica di creare atmosfere suggestive, consolidando la sua reputazione come uno dei più grandi registi della storia del cinema.

La nostra selezione di opere di Lotte Eisner non sarebbe completa senza menzionare la sua profonda influenza su Werner Herzog. Considerata una mentore e un’ispirazione, Eisner ha giocato un ruolo cruciale nello sviluppo artistico di Herzog, che le ha reso omaggio in molte occasioni. Il loro legame testimonia l’importanza duratura del lavoro di Eisner.

Esplora il nostro catalogo e immergiti nelle opere di Lotte Eisner. Cue Press è dedicata a portare al pubblico italiano libri che non solo informano, ma ispirano e arricchiscono la comprensione del cinema.

4 Luglio 2024

Vittorio Gassman, più di un mattatore

Un viaggio attraverso le memorie e le riflessioni di un gigante dello spettacolo

Vittorio Gassman (1922-2000) è stato uno degli attori più celebri e poliedrici del teatro e del cinema italiano. La sua carriera, lunga e ricca di successi, ha attraversato oltre cinquant’anni, affermandolo come una figura centrale nel panorama artistico italiano.

Cue Press è orgogliosa di presentare alcune opere chiave di Vittorio Gassman che offrono uno sguardo approfondito sulla vita e carriera di uno dei più grandi attori italiani.

Un grande avvenire dietro le spalle è l’autobiografia in cui Gassman racconta con sincerità e ironia le esperienze che hanno segnato il suo percorso artistico, dai primi passi nel teatro ai grandi successi cinematografici. Questo libro fornisce un’intima visione delle sfide e delle gioie che hanno caratterizzato la sua straordinaria carriera.

Memorie dal sottoscala è una raccolta di ricordi personali che esplora gli aspetti più umani e vulnerabili della sua esistenza, offrendo aneddoti e riflessioni che svelano il lato più intimo di Gassman.

L’intervista Il mestiere dell’attore raccoglie una serie di interviste in cui Gassman riflette sul suo mestiere, discutendo le tecniche recitative e la sua filosofia artistica. Attraverso queste interviste, emergono dettagli significativi del suo approccio alla recitazione e delle sue opinioni sull’evoluzione del teatro e del cinema.

Vittorio Gassman attore multimediale è un saggio critico che analizza la versatilità di Gassman tra teatro, cinema e televisione, mettendo in luce il suo contributo innovativo all’arte drammatica. Questo saggio esamina le sue performance più celebri e il modo in cui ha saputo adattarsi e innovare costantemente nei vari media.

Questi testi pubblicati da Cue Press offrono una comprensione completa e sfaccettata dell’eredità artistica di Gassman, dalle memorie personali alle riflessioni professionali, fornendo una visione dettagliata del suo approccio alla recitazione e alla cultura popolare.

Attraverso queste opere, i lettori possono apprezzare la profondità e la versatilità di Gassman, scoprendo nuovi aspetti della sua vita e del suo contributo al mondo dello spettacolo.

4 Luglio 2024

… se Fosse premio Nobel?

Jon Fosse: tra profondità emotiva e riflessioni esistenziali

Jon Fosse, uno degli scrittori più influenti e prolifici della Norvegia contemporanea, ha trovato in Cue Press una piattaforma ideale per le sue opere, ben prima della vittoria del Nobel.

Cue è entusiasta e onorata di presentare le sue creazioni uniche, offrendo al pubblico italiano la possibilità di esplorare una selezione curata delle sue opere teatrali e narrative.

Le pubblicazioni di Jon Fosse per Cue Press offrono una panoramica completa del suo stile inconfondibile e delle sue tematiche ricorrenti.

Le sue opere, caratterizzate da una profondità emotiva e una complessità psicologica, esplorano le relazioni umane e le dinamiche familiari attraverso un linguaggio poetico e minimale.

Tra le pubblicazioni più significative troverete titoli come Caldo, Qualcuno arriverà, E non ci separeremo mai e Il nome, testi che mettono in luce la capacità di Fosse di trasformare il quotidiano in qualcosa di straordinariamente intenso e riflessivo.

Di particolare interesse è anche la raccolta Saggi gnostici, che esplora temi esistenziali attraverso una lente filosofica e spirituale.

Il nostro impegno nella qualità editoriale assicura che le traduzioni mantengano la voce e l’integrità dell’autore, permettendo ai lettori di immergersi completamente nel mondo creato da Fosse.

Grazie a questa collaborazione, il pubblico italiano può apprezzare appieno il talento di Jon Fosse, riconosciuto a livello internazionale e premiato con numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Ibsen e il Premio per la Letteratura del Consiglio Nordico.

Le pubblicazioni di Cue Press rappresentano un ponte culturale, permettendo a una delle voci più potenti della letteratura nordica di risuonare anche in Italia.

17 Giugno 2024

Samuel Beckett — quaderni di regia e testi riveduti

Revisioni, annotazioni e traduzioni del genio beckettiano

I quaderni di regia e testi riveduti di Samuel Beckett arrivano in Italia!

Un’immensa quantità di materiali inediti, affiancati dalle edizioni critiche di James Knowlson e Stanley Gontarski, massimi esperti mondiali di Beckett.

I quaderni di regia gettano una nuova luce sull’autore di Aspettando Godot e sui suoi capolavori, offrendo un prezioso strumento per indagare le scelte registiche e il processo creativo di Beckett.

I Theatrical Notebooks, così chiamati in lingua anglosassone, sono raccolte di note dettagliate e annotazioni del drammaturgo riguardanti la messa in scena delle sue opere teatrali.

Questi quaderni offrono uno sguardo approfondito sul suo processo creativo, includendo modifiche e indicazioni precise per registi e attori.

Questi volumi includono le immagini anastatiche dei quaderni completi, con annotazioni originali, trascritte e tradotte in lingua italiana.

I testi riveduti delle sue maggiori pièce – anch’essi pubblicati e tradotti per la prima volta in Italia – come Aspettando Godot e Finale di partita, mostrano le revisioni e le varianti apportate da Beckett nel corso del tempo.

17 Giugno 2024

Arlecchino. Vita e avventure di Tristano Martinelli attore

Siro Ferrone, «Drammaturgia»

Prima dell’apparire di Arlecchino, nelle piazze e sui palcoscenici improvvisati dei teatri effimeri c’erano stati… gli zanni. Personaggi rappresentativi di un’umanità animalesca, nascosti da maschere bestiali e grifagne, talvolta incorniciate da ispide barbe, vestivano panni di tela grezza, a imitazione degli abiti da lavoro dei facchini, degli operai del porto, o dei campi: erano questi uomini ‘inferiori’ che gli attori buffoneschi volevano irridere, a beneficio degli spettatori cittadini e veneziani in particolare…

Così dà avvio al suo Arlecchino. Vita e avventure di Tristano Martinelli attore Siro Ferrone […]: a voler significare subito, e senza equivoci, che il suo non è un libro sull’eternamente aperta e da sempre irrisolta questione dell’origine antropologica (o folclorica) di questa ultra evocata maschera. Ricordate il Dante di Malebolge, caro a Sanguineti: ‘Tra‘ti avante, Alichino, e Calcabrina’ – cominciò elli a dire, ‘e tu, Cagnazzo: – e Barbariccia guidi la decina…’. Siamo in Inferno, c. XXI, vv. 118-120. No, Ferrone vuole studiare soltanto, e per la prima volta a fondo, il primo attore italiano che decise di portare in scena quella specifica maschera e di farne – per tutta la carriera – il suo, esclusivo e gelosamente protetto, personaggio. Siamo agli albori della Commedia dell’Arte, cioè di quel fenomeno collettivo disordinato, pittoresco, eppure prodigiosamente creativo, che impose l’Italia all’attenzione dei popoli di tutta Europa, dalla Scandinavia all’Inghilterra, dalla Russia all’Olanda, dalla Germania alla Spagna e alla Francia tra la fine del Cinquecento a tutto il Settecento, non senza qualche spasimo di dolore del nostro Goldoni, che si batté a lungo per propiziarne il definitivo tramonto.

Dalla recensione di Guido Davico Bonino (Copyright «La Stampa» 2006)

Se l’anonimato è il massimo segno del successo (anonimi sono gli autori della Bibbia, dell’Iliade e del Mahabharata), il creatore di Arlecchino potrebbe essere considerato uno dei più grandi. La storia della sua maschera, lunga qualche secolo, è stata scritta come una vita cominciata sulla scena e mai finita. Come raccontare le diverse trasformazioni del re Edipo, del nobile Don Giovanni e del principe Amleto lungo secoli di rappresentazioni, dimenticandosi che in principio ci furono uomini di teatro (attori-scrittori) che li inventarono.

Oggi, a differenza degli altri personaggi, Arlecchino non può esibire un testo che certifichi la sua nascita. Eppure egli nacque. A inventarlo – non dal nulla, poiché dal nulla niente si crea – fu un attore del sedicesimo secolo, Tristano Martinelli, nato a Marcaria nei pressi di Mantova il 7 aprile 1557 e a Mantova morto, in contrada del Mastino, «di febbre e cataro in due giorni» il primo marzo 1630.

Prima del suo apparire, nelle piazze e sui palcoscenici improvvisati dei teatri effimeri, c’erano stati – ma continueranno a esistere anche dopo l’invenzione di Arlecchino – gli «zanni». Personaggi rappresentativi di un’umanità animalesca, nascosti da maschere bestiali e grifagne, talvolta incorniciate da ispide barbe, vestivano panni di tela grezza, larghi pantaloni e camicioni, sovente luridi e disordinati, legati ai fianchi da corde sfilacciate, a imitazione degli abiti da lavoro dei facchini, degli operai del porto o dei campi: erano questi uomini ‘inferiori’ che gli attori buffoneschi volevano irridere, a beneficio del divertimento degli spettatori cittadini e veneziani in particolare.

L’adozione della lingua bergamasca serviva a denotarli rispetto agli altri personaggi di ceto più elevato (come il Magnifico, rappresentativo degli altrettanto ridicoli padroni veneziani, o gli «innamorati» che si esprimevano in fiorentino letterario), creando l’antagonismo linguistico e sociale che fu all’origine del successo di quel genere di spettacolo che fu chiamato «Commedia dell’Arte»: il povero contro il ricco, il montanaro contro il cittadino, l’impaccio della carne contro il fumo delle parole. Essi incarnavano bene – e continueranno a farlo nei secoli seguenti – la natura istintiva di personaggi chiamati a colpire l’immaginazione e l’emozione di spettatori popolani e colti, con azioni balorde e con fonemi gutturali e inauditi.

A Tristano Martinelli, come ad altri attori del suo tempo e del nord d’Italia, il destino aveva probabilmente assegnato quel ruolo, diventato convenzionalmente assai pregiato nella routine dei professionisti dello spettacolo di metà Cinquecento. Molti però essendo i concorrenti alla medesima funzione, divenne necessario, per distinguersi dagli altri zanni, inventare e assumere nuovi tratti denotativi accanto ai vecchi ricevuti dalla tradizione medievale. E questo cominciando dalla lingua. L’attore e scrittore Bartolomeo Rossi (1584) a proposito di Arlecchino e di altri zanni notò che questi avevano infranto il dogma del canone bergamasco: «Bergamino, se ben non osserva la vera parola Bergamascha, non importa, perché la sua parte è come quella di Pedrolino, di Buratino, d’Arlechino, et altri che imitano simili personaggi ridiculosi, che ogni uno di questi parlano a suo modo, senza osservanza di lingua, differenti da M. Simone, Zanne dei Signori Gelosi, e M. Battista da Rimino, Zanne de’ Signori Confidenti che questi osservano il vero dicoro de la Bergamascha lingua».

Con questa prima invenzione (e infrazione del codice ricevuto dalla tradizione), Tristano avviò la costruzione del nuovo personaggio teatrale, a cui è dedicato il nostro lavoro: qui non ci interessano infatti né l’antichissima querelle sulle ‘origini’ delle maschere né ogni altro dibattito relativo alle teorie evoluzionistiche degli archetipi folclorici.

Alla prima trasgressione ne seguirono molte altre che ben presto distinsero l’attore mantovano come primus inter pares fra gli zanni del suo tempo, trasformando uno dei tanti epiteti propri di quel ruolo in nome d’arte assoluto. Prima di allora quel nome era stato per molto tempo un borborigmo, un balbettamento che circolava, sottoposto a diverse metamorfosi, soprattutto nelle favole e nei riti pagani della Francia e dell’Europa del nord (con qualche eco anche nella tradizione italiana), spesso attribuito a una figura eminente se non addirittura regale del folclore locale; dopo di lui, quel nome rimase, senza perdere il mitico alone suggerito dalla letteratura popolare, a designare un preciso personaggio delle scene teatrali che convisse con gli zanni superstiti, accompagnando, durante la vita e anche dopo la morte, i molti attori che lo scelsero, uno dopo l’altro, a imitazione dell’inventore e primo titolare.

Dopo Martinelli vennero i più celebri Dominique Biancolelli (1636-88), Evaristo Gherardi (1663-1700), e poi tanti altri fino ai più recenti Marcello Moretti (1910-61) e Ferruccio Soleri. Col tempo Arlecchino vide modificati i suoi caratteri, come un testo classico che – di secolo in secolo – gli interpreti vanno adattando ai costumi e ai linguaggi loro contemporanei. Da mantovano si era fatto francese e poi di nuovo bergamasco, poi ancora francese, russo e naturalmente veneziano, surrealista, biomeccanico e postmoderno. Come Amleto e Don Giovanni, ha cambiato interpreti rimanendo sempre lo stesso, e come altri grandi personaggi della storia del teatro europeo, quanto più è stato ‘fortunato’ nei secoli tanto più ha cancellato nella memoria dei posteri chi per primo lo aveva portato sulle scene.

Ma il naufragare dell’antico attore che lo inventò nell’anonimato glorioso del mito è conseguenza di una perdita più grave. La sua opera geniale consistette soprattutto di azioni, gesti e parole create sulla scena e mai trasferite nella pagina scritta, mai stampate e tramandate. E quindi, nonostante il nome sia sopravvissuto nei secoli, il suo patrimonio artistico è andato smarrito con il dissolversi del corpo. La ricostruzione e il racconto della sua biografia rappresentano perciò gli unici strumenti che possiamo utilizzare per arrivare a identificare la natura della sua creazione.

I documenti che permettono di ricostruire la storia di Tristano Martinelli sono pochi. Alcuni sono dovuti alla mano di notai, cancellieri, principi o comici che ebbero con lui rapporti di lavoro e di interesse; altri, quelli autografi oppure dettati da lui, sono principalmente lettere, in prevalenza appartenenti agli ultimi anni della vita, quando scrivere diventò per l’attore un surrogato del fare. Ci siamo serviti delle rare parole scritte in tarda età per capire le cose fatte da Arlecchino in età giovanile. Non sempre è un buon metodo, ma è l’unico possibile nel nostro caso.

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17 Giugno 2024

Le trasformazioni sociali, ed altre gerarchie di valori. E così si modificarono nel tempo i nomi delle Compagnie teatrali

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Un tempo, le Compagnie teatrali venivano chiamate ‘Ditte’, alludendo a una impresa commerciale, intitolata a un nome di prestigio. Si era abituati a vedere, nei manifesti, risaltati i nomi di noti attori, come Morelli-Stoppa, Maltagliati-Benassi, Proclemer-Albertazzi, Valli-De Lullo- FalK, Moriconi-Mauri, insomma si faceva presto a capire cosa andavi a vedere e con chi. I Teatri Stabili contrapposero, ai nomi degli attori, quelli dei registi, si andava pertanto a vedere uno spettacolo di Strehler, di Squarzina, di Trionfo, di De Bosio, di Castri.
Dopo il ’68, nacquero altri assemblamenti, come Il Gruppo della Rocca che però faceva riferimento al nome del suo regista, Roberto Guicciardini, la Cooperativa Teatro Franco Parenti, che, al nome dell’attore capocomico, aggiungeva quello della regista, Andrée Ruth Shammah. Faccio solo degli esempi, per indicare come, col passare del tempo e delle trasformazioni sociali, mutassero anche i nomi delle Compagnie. Quando si arriva agli anni Novanta, il riconoscimento comincia a traballare, anche se oggi ci siamo abituati. I nomi, al momento della loro nascita erano: I Motus, Fanny & Alexander, Masque Teatro, Accademia degli Artefatti, Kinkaleri, Scena Verticale, Societas Raffaello Sanzio. Con l’imporsi del Teatro Performativo, anche i nomi diventano sempre più imbarazzanti: Computer Theatre, Net Drama, Cyborg & Cyber etc.
Le cose si complicano un po’ per quanto riguarda il riconoscimento immediato. Si arriva cosi, negli ultimi decenni del terzo millennio, a una ondata di nomi nuovi, si va da: Teatro Sotterraneo, ai Sacchi di Sabbia a Carrozzeria Orfeo che, in poco tempo, hanno raggiunto una certa notorietà. A Carrozzeria Orfeo ha dedicato un libro Andrea Malosio, edito da Cue Press che del Gruppo fondato nel 2008 da Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Luisa Supino, aveva pubblicato ben quattro testi: Thanks for Vaselina, Animali da Bar, Cus Cous Klan, Miracoli Metropolitani. Dalla ‘Ditta’ siamo passati alla ‘Carrozzeria’, come dire che anche il teatro è un lavoro che ha bisogno dei suoi clienti che non sono più i soliti abbonati, ma le nuove generazioni di giovani che hanno cominciato ad affacciarsi al Teatro.
Anche Andrea Malosio (1996) è un giovane studioso, forse per questo ha scelto di lavorare su dei giovani come lui, affrettandosi subito a dare una spiegazione del nome scelto: Carrozzeria, da intendere come spazio in cui vengono creati i copioni e Orfeo come rimando al poeta della poesia. Arte e lavoro, insomma, si spiega, così, anche il titolo del libro L’officina di Carrozzeria Orfeo. L’autore ripercorre il loro cammino artistico, dalla nascita della loro idea di teatro, se non addirittura di una poetica, con le difficoltà iniziali, ai successi di oggi in tutti i teatri d’Italia, a Milano la loro sede ideale è quella dell’Elfo-Puccini, nella sala grande, quasi sempre esaurita. Merito di chi? Intanto di Gabriele Di Luca , della sua scrittura, della scelta degli argomenti, sempre attinenti alla contemporaneità, quindi a Massimilian Setti che condivide con lui le regie e a Luisa Supino che si occupa, con competenza, della Direzione Amministrativa, dopo essersi diplomata alla Paolo Grassi.
Notevole il contributo dei collaboratori e di attrici come Beatrice Schiros, la più anziana del gruppo (1967), che partecipa attivamente a una recitazione dinamica che consiste nell’entrare, a gamba tesa, dentro l’attualità, col ricorso a una comicità, i cui punti di riferimento sono, a mio avviso, Aristofane e Dario Fo, mentre trovo in collegamento anche il teatro di Vincenzo Salemme per l’abbondanza dei temi trattati. Di Luca costruisce i suoi testi cercando una comicità immediata che adatta alla speditezza della recitazione che evita attentamente ogni rapporto col realismo, essendo la sua realtà carica di parossismi che le danno un connotato di verosimiglianza, proprio perché riesce ad estremizzarla fino al punto di essere sboccata, soprattutto quando affronta problemi di sesso che riesce a trasformare in un meccanismo comico, proprio come Aristofane, essendo una comicità di situazione e non di carattere, che ricorda, persino, i Canti Fallici. Credo che Gabriele Di Luca sia l’autore comico più importante di questo momento, insieme a Salemme, avendo la capacità di far ridere delle proprie e altrui disgrazie, utilizzando tutte le forme del comico, dalla farsa alla parodia.
Andrea Malosio ripercorre non solo l’analisi delle commedie, ma anche quella delle loro messinscene offrendo al lettore ampie antologie dei temi che tratta, soffermandosi sia sulla parola che sul linguaggio scenico, oltre che sui molteplici argomenti che vanno dal consumismo spietato al capitalismo, dalle smanie sessuali alle smanie del potere e del denaro.

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15 Giugno 2024

Chi ha paura dei premi Nobel? Tre piccoli gioielli di Jon Fosse

Alessandra Calanchi, «Girodivite»

Ho trovato questi tre piccoli gioielli contestualmente – mea culpa – alla scoperta di una piccola e formidabile casa editrice di nicchia (CUE Press). I tre volumetti in questione riguardano Jon Fosse, norvegese, premio Nobel per la Letteratura 2023, passato quasi inosservato ai più, anche se considerato dai critici il nuovo Ibsen o il nuovo Beckett. Qualcosa di simile era successa con la poeta e saggista Louise Glück (Nobel 2020), inizialmente pubblicata in Italia da una piccola casa editrice indipendente (Dante&Descartes) che aveva la sede in una libreria di Napoli, prima di approdare al Saggiatore.

D’accordo, la poesia e la saggistica sono generi difficili. E anche il teatro lo è… ma Fosse è anche romanziere e in Italia è La Nave di Teseo a permetterci di leggere storie suggestive come Mattino e sera (2000) e Bagliore (2024) per nominarne solo un paio. Definito dal New York Times ‘uno dei più grandi scrittori al mondo’, Fosse ci incanta con i suoi lunghi monologhi esistenziali e coi suoi dialoghi senza punteggiatura, con la sua vertiginosa capacità di sintesi e con le sue suadenti ripetizioni ritmiche, figlie del rock da lui molto amato. E quanto è presente la sua predilezione (linguistica e affettiva) per il nynorsk, la lingua in cui scrive e di cui difende ‘il diritto di esistere’, pur non contestando la presenza del bokmål. Mi rattrista non leggere le sue opere in originale, ma ringrazio i traduttori e le traduttrici per il grande lavoro che hanno fatto e che fanno. È importante uscire, di tanto in tanto, dai binari tracciati dalle lingue tradizionalmente studiate a scuola, sempre quelle, da anni…

I tre volumetti qui in oggetto (usciti rispettivamente nel 2018, 2023 e 2024) formano un trittico speciale, tracciando un percorso nella vita e nella professione dell’autore attraverso i tratti della sua scrittura drammaturgica. Il primo (Saggi gnostici), ci porta nella ‘religione della scrittura’, declinando la transizione dalla chitarra alla macchina da scrivere come una ricerca stilistica che approderà al binomio tra politica ed estetica attraverso la consapevolezza che tutto è narrazione, che il testo ‘s’arrotola nella voce’. Si ritiene minimalista, ammette di dubitare ‘ogni giorno’ pur considerandosi credente, cita Dante e Harold Bloom, ma sotto sotto emerge (magari a sua insaputa?) un certo stile carveriano, che non definirei minimalista ma frutto di una distillazione radicale e incessante, quasi una cesellatura.

Il secondo volumetto (Teatro) contiene tre pièces: ‘E non ci separeremo mai’, ‘Qualcuno verrà’, ‘Il nome’. Qui la scrittura rivela la predominanza del paesaggio sonoro, come la curatrice osserva giustamente nel titolo della sua Introduzione, Il silenzio e l’ascolto. Appunti sul teatro di Jon Fosse. E l’autore difatti esprime così la sua poetica: “scrivere per me è ascoltare […] Ascolto e ascolto. È nell’ascolto che nasce il conflitto che è il dramma”. I dialoghi dei personaggi vanno letti in questa prospettiva, ogni silenzio ha un suo spazio, ogni atto d’ascolto va compreso al millimetro. Un ‘lui’ e una ‘lei’, una ‘sorella’ e un ‘padre’, una ‘ragazza’ e un ‘ragazzo’ sono personaggi essenziali, familiari ma al contempo universali, che se da un lato ci ricordano l’Uno nessuno e centomila di Pirandello, dall’altro si svuotano incessantemente di ogni superfluo e diventano le forme disincarnate di Beckett, Jonesco, Artaud – pura vibrazione, ritmo, riverbero.

Il terzo volume (Caldo) presenta il dramma omonimo, recitato da tre personaggi le cui domande-risposte si rincorrono e si intrecciano come in un fraseggio musicale, creando una sospensione che giustamente il curatore ricollega a un’altra cifra di Fosse, l’attesa, nella sua Introduzione intitolata appunto Jon Fosse e il dramma dell’attesa. E fa nomi illustri – Pinter, Beckett, Artaud – a cui io aggiungerei anche il Camus de Lo straniero e il Buzzati de Il deserto dei Tartari. Con una goccia di Carver in chiave onirica. Emergono qui, come si legge in quarta di copertina, i temi più cari a Fosse: ‘il rapporto tra la vita e la morte, il tempo, la memoria e il desiderio’. Ma anche l’impossibilità di un’autentica comunicazione, la difficoltà di ricomporre ciò che è stato spezzato e che si ripresenta ossessivamente nel ricordo, la fragilità della consistenza – un’altra illusione: perché il mare, il pontile, la casa non è detto che siano reali. Come i personaggi. Come noi.

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12 Maggio 2024

Il dolce stil no

Federico Platania, «SamuelBeckett.it»

È indicata come ‘avvertenza’ nel volume, quasi un voler mettere le mani avanti, l’informazione che le pagine che abbiamo tra le mani non sono nate da un progetto autonomo bensì prendono vita in forma di ‘resto’, di ‘avanzo’ del poderoso Meridiano dedicato a Beckett uscito solo pochi mesi fa. Sto parlando del volume Il dolce stil no di Gabriele Frasca, che di quel Meridiano è il sublime curatore, pubblicato ovviamente da Cue Press.

Racconta l’autore nell’avvertenza, appunto, che al momento della stesura degli apparati critici del Meridiano si è reso conto che, scheda dopo scheda, esorbitava l’ingombro previsto, ma era impossibile arrestare quello che era ormai diventato una sorta di automatismo critico.

Ecco dunque raccolto nelle pagine de Il dolce stil no (il titolo è un gioco di parole sulla denominazione della nota corrente poetica medievale del Dolce stil novo tratto da una poesia di Beckett del 1932, Home Olga, dedicata al gergo iniziatico del gruppo di amici e intellettuali che si era raccolto intorno a James Joyce durante la stesura del Finnegans Wake) tutto ciò che nel Meridiano non è fisicamente potuto entrare.

Il volume prende le mosse da Assunzione, il primo racconto in assoluto pubblicato da Beckett, e arriva fino a Qual è la parola, l’ultima poesia di Beckett, scritta sul letto di morte, toccando anche le opere che dal Meridiano, di nuovo per motivi editoriali, non avevano trovato posto (ci auguriamo sempre l’annuncio di un volume due, ricordando comunque che la dolorosa opera di esclusione dei testi è stata condotta da Frasca con un criterio condivisibile).

Sempre illuminanti le incursioni critiche di Frasca nell’opera di Beckett, scortate da un’invidiabile messe di dati e riferimenti bibliografici ed epistolari, ma al tempo stesso libere nell’interpretazione e nella riscrittura di alcuni punti fermi esegetici (ad esempio, il ridimensionamento dell’importanza della famosa ‘illuminazione del 1945’).

Le pagine che ho trovato più riuscite (forse per la mia debolezza nei confronti di quell’opera) sono quelle dedicate a Finale di partita. Ma davvero non c’è capitolo di questo volume che non illumini per l’ennesima volta, se è questo il caso, o per la prima (e quanta fortuna hanno questi lettori beckettiani ancora ‘vergini’), ogni tappa della ricerca artistica di Samuel Beckett.

Altro che libro “compagnone” (come lo definisce scherzosamente Frasca nell’avvertenza iniziale). Il dolce stil no non è un accompagnamento, è un deragliamento, uno sconfinamento, un perdersi dietro l’opera di chi sta consolidando decennio dopo decennio la fama di voce più importante del Novecento.

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3 Maggio 2024

Jon Fosse a Ravenna, il premio Nobel per la Letteratura riceve l’Alloro di Dante

Piero Di Domenico, «Corriere di Bologna»

Premi Nobel per la Letteratura in visita in Emilia-Romagna. Una prassi che negli ultimi anni sta trovando una certa continuità, dalla francese Annie Ernaux, nel 2022 ospite a Bologna del festival «Archivio Aperto» di Home Movies, al tanzaniano Abdulrazak Gurnah, l’anno scorso al «Festival delle Culture» di Ravenna. La città romagnola quest’anno concede anche il bis con il norvegese Jon Fosse che stasera (venerdì 3 maggio) alle 21, nella Basilica di San Francesco con ingresso libero, riceverà uno speciale premio, «L’Alloro di Dante». Ideato dal poeta Paolo Gambi, direttore artistico dello stesso e presidente di «Rinascimento poetico», network di poesia che lo organizza insieme al Centro Dantesco di Ravenna e a Giunti Scuola.

I testi teatrali con la casa editrice Cue Press di Imola

Un’idea partita mesi fa che non è collegata, come precisano gli organizzatori visto che si era creata un po’ di confusione, al parallelo «ScrittuRa Festival» diretto da Matteo Cavezzali in corso a Ravenna fino al 28 maggio. I legami del sessantacinquenne Fosse con la Romagna non sono peraltro nuovi perché, se è vero che gran parte dei suoi libri in Italia sono pubblicati da La nave di Teseo — che ai primi di giugno manderà in libreria Un bagliore è altrettanto vero che alcuni suoi testi teatrali sono usciti con la piccola casa editrice Cue Press di Imola fondata da Mattia Visani.

Prima visita in Italia

È la prima visita in Italia di Fosse dopo aver ricevuto il Nobel, alla presenza del sottosegretario di Stato alla Cultura Gianmarco Mazzi e di Monsignor Paul Tighe, Segretario del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione. «Siamo molto felici — dichiara Gambi — perché sia personalmente che a nome di Rinascimento poetico, credo di poter dire che lo sentiamo particolarmente vicino nella sua profondità, nel suo approccio mistico e nella sua capacità di usare la parola per abbracciare tutte le arti, c’è molto dello spirito di Dante in lui». A seguire Fosse dedicherà uno spazio al firmacopie, perché nella basilica sarà presente un banco libri.

La sua scrittura minimalista

La scrittura del maggior autore norvegese dopo Ibsen, accostato spesso per la sua produzione teatrale a Beckett, anarchico e ateo convertito nel 2012 al cattolicesimo dopo aver smesso completamente di bere, è semplice ma al contempo estremamente ricca. Testi scarni, li ha definiti Giuliano D’Amico, docente di Letterature nordiche all’Università di Oslo, che però «nascondono un mondo esistenziale, spirituale, letterario. La scrittura minimalista di Fosse punta tutto sulla sottrazione, è fatta di spazi vuoti e di parole singole e assolute. Quello che fa Fosse è togliere fino ad arrivare al nocciolo, un esercizio che invita noi spettatori o lettori a riempire questi vuoti con del significato. È un tema onnipresente per lui quello di non riuscire a comunicare, ma anche l’incapacità dell’uomo di comprendere il trascendente, il divino. Negli ultimi anni le pause, i silenzi sono stati in parte colmati da riflessioni esistenziali e metafisiche».

Tra Oslo e la Bassa Austria

Opere in cui c’è spesso assenza di punteggiatura, con la scrittura che va avanti e indietro nel tempo senza far capire dove si ferma e dove ricomincia la narrazione. Anche nei suoi drammi, rappresentati in Italia da interpreti come Valerio Binasco — ora in tournée proprio con La ragazza sul divano — affascinato dalla malinconia dei suoi testi, e Marco Sgrosso, ci sono lunghissime pause, conversazioni spoglie, espressioni ripetute, anche ossessivamente. Uno scrittore globale, che parla a tutti utilizzando un numero ridotto all’osso di parole e utilizza pochissimi personaggi, privati del nome e di qualsiasi elemento di riconoscibilità. Da sempre appassionato dell’Inferno dantesco, letto in diverse traduzioni, Fosse scrive in nynorsk, una forma di norvegese usata da circa il 15% della popolazione, soprattutto intorno a Bergen. Dove è cresciuto e dove l’autore di Settologia vive, dividendosi anche tra Oslo e la Bassa Austria, convinto che «ciò che si scrive dev’essere più grande della vita».

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22 Gennaio 2024

Beckett, il genio che spaventa

Sandra Petrignani, «Il Foglio»

Samuel Beckett morì il 22 dicembre 1989 a ottantaquattro anni non ancora compiuti (era nato nell’aprile del 1906) e fu sepolto al cimitero di Montparnasse, il quartiere parigino dove viveva, accanto alla moglie Suzanne Deschevaux-Dumesnil, morta cinque mesi prima. La sua tomba fu per settimane ricoperta di fiori e biglietti improvvisati in tante lingue diverse […]
19 Gennaio 2024

«Il cinema, questione di vita o di morte: spezzai Brando»

Bernardo Bertolucci, «Il Fatto Quotidiano»

Anticipiamo stralci di Scene madri, il memoir di Bernardo Bertolucci con Enzo Ungari, in libreria con Cue Press. «Vorrei poter parlare di cinema senza paura di raccontare aneddoti, usando molto la prima persona, senza vergogna e con molto affetto per qualche non sense a cui sono affezionato. So che la cosa può risultare oltraggiosa, perché […]
15 Gennaio 2024

Con Jon Fosse, dentro quel buio luminoso

Roberto Canziani, «Hystrio», XXXVII-1

Ne hanno parlato così tanto i giornali, che era poi logico veder schizzare Jon Fosse, Premio Nobel 2023 per la letteratura, nei posti alti delle classifiche nelle librerie. Alti se confrontati con lo spazio residuo che il teatro occupa oggi nell’editoria italiana. Ha fatto quindi bene Cue Press a rimettere velocemente in circolazione tre lavori […]
15 Gennaio 2024

Premio della Critica 2023, un parterre d’eccellenza

Alice Strazzi, «Hystrio», XXXVII-1

Il 20 novembre il Teatro Gobetti di Torino ha accolto gli undici premiati dell’edizione 2023 dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro: Natale in casa Cupiello, spettacolo per attore cum figuris, di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia, con la regia di Lello Serao; Arturo Cirillo, Laura Curino, Fabrizio Ferracane, Manuela Mandracchia, Tindaro Granata (nuovamente vincitore del […]
15 Gennaio 2024

Sulle strade d’Europa in cerca dei Maestri

Ilaria Angelone, «Hystrio», XXXVII-1

Più libri convivono in Strade maestre, road book scritto in tempi di pandemia, quando la disperazione era sempre dietro l’angolo e si sentiva il bisogno di ancorarsi. Nove personalità del teatro europeo, nove ‘Maestri’ riconosciuti come tali dai due autori, sono i protagonisti di altrettanti incontri avvenuti da Berlino a Parigi, da Losanna a Palermo. […]
15 Gennaio 2024

Teatro, un concetto plurale: riflessioni post-pandemiche

Diego Vincenti, «Hystrio», XXXVII-1

Arriva forse con un pizzico di ritardo questa versione italiana di Why Theatre?, progetto nato in tempi di pandemia all’interno di NTGent. Un’idea di Milo Rau che già nei primissimi mesi di lockdown, volle interrogare se stesso e i suoi colleghi sulla matrice originaria, le ragioni profonde, l’urgenza esponenziale del fare teatro. Una domanda rimasta […]
15 Gennaio 2024

Scritti sul teatro di Fadini

Andrea Bisicchia, «Il Mondo»

Non c’è dubbio che, per chi scrive per un giornale, debba rispondere alla ideologia del proprietario, e non c’è dubbio che, quando si è intervistati da una testata, di destra o di sinistra, bisogna, in parte, concedere qualcosa in cambio, per dare un senso di parte al titolo dell’articolo. Per quanto riguarda la figura del […]
10 Gennaio 2024

Theodoros Terzopoulos: Scena, mondo infinito

Valeria Ottolenghi, «Gazzetta di Parma»

Theodoros Terzopoulos: era stato Michalis Traitsis, regista di valore che lavora tra Venezia e Ferrara, a raccontare, durante un incontro di studiosi diversi anni fa, di questo maestro/artista greco riconosciuto tra i più grandi d’Europa. Come spesso accade in tali situazioni si avverte un senso di disagio per quelle lacune che sembrano non permettere un’adeguata […]
22 Dicembre 2023

Una rosa per Sam

Antonio Borriello, «SamuelBeckett.it»

Una rosa per ricordare il mio amatissimo Samuel Beckett, morto il 22 dicembre del 1989 a Parigi, premio Nobel per la Letteratura nel 1969. Autore di opere ritenute ormai dei classici come Aspettando Godot e Finale di partita, mutò l’ordinario in straordinario, il Nulla e l’Attesa in Speranza. Oggi più che mai il grande dubliner […]
3 Dicembre 2023

Parla il silenzio – Il suo teatro delle vite intime

Laura Zangarini, «Corriere della Sera»

Il Nobel, assegnato a Jon Fosse per le sue «opere teatrali innovative e per la prosa che danno voce all’indicibile», corona una carriera straordinariamente produttiva e pluripremiata: 40 opere teatrali, romanzi, racconti, libri per bambini, poesie e saggi. Lo stile minimalista di Fosse è spesso paragonato a quello di Samuel Beckett (1906-1989), verso il quale […]
3 Dicembre 2023

Jon Fosse: l’uomo che prega

Mauro Covacich, «Corriere della Sera»

In quasi tutti i libri di Jon Fosse c’è un uomo che prega. Quasi sempre quest’uomo fa il pittore, o meglio, è un pittore che crede in Dio, un credente la cui fede però attiene a qualcosa di più di una religione, direi piuttosto a un sentimento panico nei confronti dell’esistente. Questo artista, tutt’altro che […]
2 Dicembre 2023

«Il coro è il segreto del teatro». Intervista a Marco Martinelli

Matteo Brighenti, «Pane Acqua Culture»

Scena e società, adolescenti e classici, nel segno del divenire uno in molti, attraverso il coro. «Ci sta a cuore il teatro solo quando è insieme lo specchio dell’io, la psiche individuale profonda, e del noi, ovvero il mondo». Un mistero e insieme una pratica che Marco Martinelli ha racchiuso ora in un libro intitolato […]
1 Dicembre 2023

Jon Fosse: sussurri e grida di un Nobel

Katia Ippaso, « Il Venerdì di Repubblica»

«Il teatro è il momento in cui un angelo attraversa la scena». È un’immagine rivelatoria del modo di sentire di Jon Fosse, premio Nobel per la Letteratura 2023. Un piccolo segreto, contenuto in uno scrigno che, sotto il titolo di Saggi gnostici (testo del 1999), raccoglie altri segreti, chiavi d’accesso al mondo interiore dello scrittore […]
29 Novembre 2023

A Cagliari per parlare di teatro e editoria

Andrea Porcheddu, «Gli Stati Generali»

Teatro e editoria: un bel binomio. Storicamente scena e libri hanno sempre colloquiato. A volte discusso, altre bisticciato, ma è più o meno da Gutenberg che si parlano. Rapporto conflittuale, ma necessario, insomma. E che cambia di stagione in stagione. Così ha fatto bene la storica del teatro Roberta Ferraresi, assieme al giornalista e critico […]
26 Novembre 2023

E pensare che odiavo il teatro

Jon Fosse, «Robinson — la Repubblica»

Io sono un drammaturgo, ma, a dire il vero, non ho mai voluto esserlo. Anzi, non amavo il teatro e, in diverse occasioni, per esempio in interviste, affermavo di fatto di detestare il teatro, quantomeno quello norvegese. Ciò forse perché i direttori dei teatri norvegesi mi chiedevano di scrivere per la scena, cosa che per […]
25 Novembre 2023

Quando un angelo attraversa la scena

Nicola Arrigoni, «Sipario»

«Io sono un drammaturgo, ma, a dire il vero, non ho mai voluto esserlo. Anzi non amavo il teatro e, in diverse occasioni, per esempio in interviste, affermavo di fatto di detestare il teatro». Così scrive Jon Fosse nel saggio Su di me drammaturgo, raccolto in Saggi gnostici, a cura di Franco Perelli, pubblicato da […]
20 Novembre 2023

Premio Nazionale della Critica

Premio prestigioso, che arriva dopo due finali nel 2014 e 2015

Il Premio Anct è un riconoscimento conferito dall’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, che ogni anno celebra personalità e realtà artistiche particolarmente rilevanti nel panorama teatrale italiano. Si tratta di un premio di grande prestigio, assegnato in virtù del contributo culturale e innovativo apportato dagli artisti o dalle istituzioni coinvolte. Nell’edizione del 20 novembre 2023, […]
19 Novembre 2023

La leggenda del West. Attualità del western

Roberto De Gaetano, «Fata Morgana Web»

I generi sono quelle forme capaci di raccontare la vita activa delle persone per quanto di generale ogni singola vita contiene. E tale racconto si sviluppa in un’architettura narrativa che chiamiamo intreccio. Aristotele lo chiama mythos e ci dice che è tale solo in quanto «imitazione dell’azione». I generi sono le forme determinate attraverso le […]
15 Novembre 2023

Non si può mettere un punto alla scrittura del Premio Nobel Jon Fosse

Enrico Montanari, «Il Libraio.it»

Lo scorso 5 ottobre è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura del 2023 allo scrittore e drammaturgo norvegese Jon Fosse «per le sue opere innovative e la sua prosa che danno voce all’indicibile». Un riconoscimento che ha risvegliato l’interesse per le opere di narrativa dell’autore (nato a Haugesund il 29 settembre 1959), oltre […]
12 Novembre 2023

Ikisaki intervista: Giacomo Calorio

Lorenzo di Giuseppe, «Associazione Ikisaki»

Giacomo Calorio, dottore di ricerca in Digital Humanities (Università di Genova), è attualmente ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione R. Massa dell’Università di Milano-Bicocca, CdS in Comunicazione Interculturale. I suoi interessi di ricerca vertono prevalentemente intorno al cinema giapponese. Sull’argomento ha pubblicato, oltre ad articoli, saggi e recensioni, le monografie Horror […]
4 Novembre 2023

Strade maestre. I cardini della drammaturgia europea

Valeria Ottolenghi, «Gazzetta di Parma»

Quest’estate ai festival si è parlato spesso di maestri. Le coincidenze stimolano pensieri. Da diversi anni – quindici se non si va errando – a Radicondoli, nel bel territorio senese, viene nominato un Maestro di Teatro, con una giuria che decide tra i nomi indicati dal mondo dello spettacolo, che comprende anche gli spettatori. Nel […]