L’età dell’innocenza
Stefano Locati, «Film TV», XXXII-34
Il 22 agosto arriva in sala L’Innocenza, ultimo film di Hirokazu Kore-eda, presentato al Festival di Cannes nel 2023. Per l’occasione, ci immergiamo nel cinema del maestro giapponese seguendo i suoi Pensieri dal set, autobiografia artistica di cui riportiamo alcuni estratti.
Il fiume del cinema
«In quasi vent’anni in cui sono stato ospite di svariate manifestazioni all’estero è maturata in me una nuova consapevolezza, ovvero che la storia del cinema non è ancora finita. Ben cento anni di produzioni cinematografiche mi hanno preceduto, e quel grande fiume — se così mi è concesso definirlo — è ben lungi dall’esaurirsi. Dal mio punto divista, molto probabilmente continuerà a scorrere anche in futuro, pur adattandosi ai tempi che verranno. Chi come me ha vissuto la propria giovinezza negli anni ’80 credendo — in modo del tutto plausibile — che ormai il cinema non avesse più nulla da raccontare, si chiede ancora se le opere che produce possano davvero essere etichettate come cinema. Personalmente mi pongo sempre questo quesito. Tuttavia, devo ammettere che lo strano senso di colpevolezza che mi affligge è come se volesse tramutarsi in una goccia di quello stesso fiume».
Capire chi documenta
«Qualcuno ha affermato che i documentari hanno il compito di raccontare la verità attraverso i fatti: questo concetto mi è stato ripetuto infinite volte quando lavoravo in televisione, anche se quando mi trovavo sul set mi rendevo conto che parole quali fatti, verità, neutralità o imparzialità altro non erano che termini privi di un vero e proprio contenuto. Piuttosto, definirei un documentario una tra le tante interpretazioni possibili della realtà, proprio come mi disse Ushiyama Jun’ichi (1930-1997), regista e produttore per l’emittente Nippon Television Network. Stando alle sue parole: ‘Il segreto non è tanto documentare i fatti, quanto piuttosto capire chi li documenta’, affermazione sulla quale non posso che trovarmi d’accordo».
Cinema e giudizi etici
«Al festival di Cannes feci quasi ottanta interviste per Nobody Knows e tra i commenti che ricordo con maggiore intensità ci fu quello di un giornalista che affermò: ‘Lei non esprime mai un giudizio etico sui personaggi del film. Nemmeno per la madre che ha abbandonato i figli’. Ricordo di avere risposto nei seguenti termini: ‘Non si fanno film per condannare le persone, e un regista non è né un giudice, né tantomeno dio. Se avessi fatto ricorso a personaggi malvagi, di sicuro sarebbe stato molto più semplice seguire la storia. Tuttavia, andare nella direzione opposta penso dia la possibilità agli spettatori di tornarsene a casa facendo propria la vicenda’. Nonostante gli anni, oggi la penso allo stesso modo».
Ozu e Naruse
«Al fine di acquisire maggiori conoscenze tecniche in ambito di regia, prima di girare Still Walking mi riguardai svariate volte le opere di Naruse Mikio (1905-1969). Dal punto di vista delle inquadrature, per esempio, se è vero che Ozu Yasujiro (1903-1963) aveva l’abitudine di riprendere di fronte, se si osservano con attenzione le scene di Naruse, si nota come fosse solito indirizzare la camera in direzione dell’oggetto ripreso. Non che ci fosse una grossa differenza, ma grazie a questa tecnica gli interni delle case in stile tradizionale, ad esempio, apparivano del tutto diversi. Difatti, grazie alle sue prospettive, Naruse riusciva a riprendere con estrema nitidezza gli interni e la posizione degli arredi garantendo altresì una certa libertà di movimento agli attori: nei film di Ozu, invece, appare sempre difficile per lo spettatore farsi un’idea degli spazi scenici».
Terra di confine
«Dal punto di vista di chi ha cominciato la propria carriera come documentarista, sono cosciente del fatto che i film non nascono semplicemente da noi stessi, quanto piuttosto da quella terra di confine che esiste tra il mondo esterno e il nostro io; se poi pensiamo che tutto è mediato dalla presenza di una macchina da presa è davvero straordinario. In particolare, nel caso dei documentari, si parte proprio dal presupposto che non si gira mai per sé stessi, ma per raccontare il mondo, ed è qui che si rintracciala differenza più vistosa rispetto al cinema».
Festival del cinema
«Dopo Cannes, in ordine di importanza c’è il Festival internazionale del cinema di Berlino […]. La terza manifestazione in ordine di importanza è la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nata nel 1932, e alla quale ho partecipato in più di un’occasione. È di certo il festival più longevo al mondo e si svolge […] presso il Lido di Venezia in un’atmosfera rilassata, lontano dal caos turistico della famosa città lagunare. Tuttavia, poiché è un po’ ostico da raggiungere e attira opere con un contenuto più estetico, ricordo che nel 2002, per esempio, registrò un’affluenza piuttosto scarsa da parte dei buyer cinematografici. […] Per ciò che concerne la storia, poiché nel 1951 Akira Kurosawa ottenne il Leone d’oro con Rashomon, in Giappone è ancora considerato il festival per eccellenza. Ciononostante, sebbene rientri nelle tre manifestazioni più storiche in ambito europeo, bisogna altresì ammettere che di recente attira meno attenzione (anche in termini di affluenza) rispetto a Cannes e Berlino».
Le sfumature e i critici
«Di norma non riesco mai a mettere a fuoco il tema di un film prima di girarlo, poiché nella stragrande maggioranza dei casi emerge man mano che aggiungo dettagli. Si tratta di qualcosa che percepisco a livello personale e che spesso non mi va di esternare a parole durante le interviste dato che coinvolge il mio mondo e le mie convinzioni personali. A mio avviso, verbalizzare il tema di un film può comportare la perdita di alcune sfumature che magari non riesco a percepire nemmeno io; al contrario, sono molto lusingato della presenza dei giornalisti e dei critici durante le conferenze stampa poiché, a differenza mia, sono in grado di coglierle in piena autonomia senza dovermi chiamare necessariamente in causa».
Il cinema di Koreeda Hirokazu. Memoria, assenze, famiglie
Per integrare le parole di Kore-eda raccolte in Pensieri dal set è fondamentale la complessa analisi di Claudia Bertolé, studiosa di cinema giapponese, tra le firme storiche del blog «Sonatine» e collaboratrice di «Cineforum». Il volume è diviso in due parti. Nella prima, Bertolé analizza tematicamente e stilisticamente il cinema di Kore-eda, tracciando con acume i sottili fili di continuità che legano tutte le sue opere. Nella seconda presenta analisi puntuali e stratificate di tutti i suoi film, dagli esordi nel documentario fino a Le buone stelle – Broker (2022). I punti di forza sono una scrittura appassionata, capace di tenere insieme l’analisi generale e quella più puntuale di singole scene chiave, e la profonda conoscenza del contesto giapponese, che non presenta Kore-eda come una monade a sé stante, ma lo colloca in un orizzonte storico e cinematografico più ampio.