Le strade non percorse
Raffaella Di Tizio, «L’Indice», XLI-1
Torna sul mercato editoriale un libro importante sul teatro italiano del Novecento, che è anche una lezione di metodo sul modo di costruirne la storia. La nuova edizione di Fra Totò e Gadda. Sei invenzioni sprecate dal teatro italiano (la prima, Bulzoni, 1987) ha il volto dell’autore in copertina, come ad avvisare che si entrerà, leggendo, nel vivo del pensiero di Claudio Meldolesi (1942-2009), riconosciuto innovatore della nostra storiografia teatrale. Qui lo si può seguire mentre indaga aspetti trascurati dalle narrazioni canoniche, fermandosi a esplorare le incoerenze interne ad alcune storie note, come quelle di Giorgio Strehler ed Eduardo De Filippo, aprendo squarci che gettano una luce nuova su tutto il paesaggio circostante. Al centro del volume alcune esperienze ‘scoraggiate dal teatro italiano’ fra gli anni trenta e cinquanta, cioè in quella fase in cui si andò consolidando, tra fascismo e dopoguerra, un sistema chiuso di valori condivisi, derivato dai condizionamenti delle dinamiche produttive (la nuova prassi delle sovvenzioni), dal pensiero medio sul teatro, da abitudini di critici e spettatori.
Meldolesi prosegue qui un discorso iniziato con Fondamenti del teatro italiano. La generazione dei registi (Bulzoni, 1984), dove osservava il pluralismo degli inizi della regia italiana, prima che prendesse spazio l’idea che voleva i registi come mediatori tra testo e pubblico, come allestitori, dimenticando la ricchezza inventiva e drammaturgica della regia europea l’efficacia della tradizione degli attori.
In Fra Totò e Gadda costruisce il suo racconto attraverso saggi a sé, ognuno dedicato a una voce centrale – ma non sempre riconosciuta allora come tale, come nel caso di Totò – della storia teatrale nazionale. Protagonisti, oltre a Totò e Gadda, De Filippo e Strehler, sono Mario Apollonio (storico della letteratura determinante per i suoi studi sul teatro) e Luigi Pirandello. Nomi in gran parte noti. Cosa hanno a che fare con lo spreco?
Totò ci pare familiare per i suoi film, ma al cinema, racconta Meldolesi, era passato tardi, con poca convinzione. Vi trovò spazio per coltivare la sua indipendenza: «Nessun film poté tuttavia restituire l’espressione sovversiva delle sue corse, delle sue furie nello spazio del teatro». Era il maggiore attore teatrale del suo tempo, ma non se ne accorse una critica che non dava peso a varietà e rivista, i generi in cui aveva costruito la sua efficacia espressiva.
De Filippo, scrive, è stato accolto nel pantheon culturale italiano negando consistenza al centro della sua ricerca, la volontà di rigenerare «su base attorica e dialettale» il teatro nazionale. Fu una perdita, come lo fu sottovalutare la maggiore invenzione di Apollonio: la scoperta e valorizzazione della cultura degli attori – invisibile a molti suoi contemporanei, che al teatro guardavano con paternalismo da colonizzatori. E spreco fu dimenticare l’importanza delle ricerche giovanili d’avanguardia di Strehler, rinnegate per l’idea che voleva allora la sperimentazione non in linea con le esigenze del presente.
Il libro procede per affondi imprevisti, come quello sulla natura profonda dei testi di Pirandello, messa a fuoco analizzando significative messinscene e ricordando la permeabilità che i suoi drammi ebbero anche per l’autore, fattosi regista, di fronte al concreto lavoro degli attori. Si scopre poi che l’esperienza del teatro fu per Gadda romanziere particolare laboratorio di scrittura, e che se non divenne compiuto autore per la scena fu forse solo per ‘disattenzione’ dei registi.
Contano per Meldolesi anche le strade non percorse. In queste pagine invita a guardare come rivelazioni ad aspetti che sembrarono stranezze, segni della presenza di «una ricchezza passata che non ha smesso […] di trasmettere le sue energie». Sotto ogni «invenzione sprecata» stanno semi di possibilità teatrali inespresse. Così che il libro sembra guardare al passato, mentre parla ancora di nuovi futuri teatri possibili.