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L’editoria teatrale è un dramma
30 Gennaio 2016

L’editoria teatrale è un dramma

Laura Landolfi, «Pagina99»

In tempi di recessione, se le case editrici non ridono, quelle specializzate in testi teatrali piangono: per la crisi che colpisce il mondo del libro, e più ancora per la convinzione diffusa che il teatro scritto sia una nicchia per pochi. A lanciare l’allarme è una sigla, Minimum fax, che non fa parte del settore, ma che da poco ha mandato in libreria uno dei testi più importanti della seconda metà del XX secolo, Lear di Edward Bond. Nella nota introduttiva l’editore romano sottolinea come l’opera sia stata pubblicata solo grazie alla collaborazione con la compagnia La casa d’argilla di Lisa Ferlazzo Natoli, che in dicembre l’ha allestita al Teatro India di Roma. E Minimum fax chiude con un appello: se vogliamo puntare sull’editoria teatrale è necessario educare lo spettatore italiano a confrontarsi con il testo scritto.

Ribatte Maximilian La Monica, direttore della casa editrice Editoria&Spettacolo: «Smettiamola di prendercela con chi i libri li pubblica e con chi li legge. L’editoria teatrale è seguita da tanti lettori, che spesso non sono quelli che vanno a teatro».

Certo la crisi del settore non aiuta: in base ai dati Aie (Associazione Italiana Editori) nel primo semestre 2015 il fatturato del mercato del libro è calato del 3,6% rispetto all’anno precedente. E del resto, anche Editoria&Spettacolo è passata dai 18-20 titoli degli anni scorsi ai 12-13 dell’ultimo anno.

Prosegue La Monica: «Ormai in libreria lo spazio per la drammaturgia è ridottissimo, ma la vendita online, grazie ad Amazon, funziona molto meglio delle librerie-supermercato. Il punto è che per la pubblicazione di autori contemporanei non esiste alcun tipo di sovvenzione. Talvolta gli istituti di cultura finanziano la traduzione di testi stranieri, ma il problema si pone con i diritti d’autore: è difficile spiegare che in Italia non abbiamo i numeri di vendita che ci sono all’estero».

La mancanza di una capillare rete di distribuzione e di finanziamenti rende difficile mantenere una linea editoriale coerente, e la drammaturgia di casa nostra resta relegata ai tanti Pirandello che spopolano nei cartelloni anche in questa stagione. Né la nascita dell’ebook risolve la situazione: secondo i dati Istat in Italia solo l’8,2% della popolazione ha letto o scaricato ebook negli ultimi tre mesi; niente a che vedere con i picchi statunitensi dove, a detta dell’Association of American Publishers, seppur con un rallentamento, si arriva al 20%.

Non la pensa così Mattia Visani fondatore della Cue Press, casa editrice che punta sulle nuove tecnologie recuperando in formato ebook la migliore produzione editoriale di settore e lanciando proposte inedite: «Sono convinto che la drammaturgia in Italia sia vivissima e di ottimo livello, ma le cose vanno reimpostate su nuovi modelli. Esiste un pubblico reattivo, ma non è più raggiunto dai metodi dell’editoria tradizionale».

Per Visani le vendite vanno bene: grazie anche alla pubblicazione cartacea on demand propone circa 10-15 libri in due mesi.

Per Enrico Falaschi, direttore della attivissima Titivillus, il problema della mancanza di un’educazione alla lettura drammaturgica inizia sui banchi scolastici: «Ma un cambiamento inizia a vedersi. La riforma della Buona Scuola ha inserito nei programmi l’attività teatrale e cinematografica. Per farlo però sono stati stanziati 2 milioni di euro in tutta Italia, cioè nulla. Resta comunque un segnale importante».

Il processo però rischia di fermarsi all’università: «L’istituzione della laurea triennale ha fatto sì che si adottino testi più brevi e onnicomprensivi, mettendo fuori gioco quelli che per anni sono stati punti di riferimento per la formazione in queste discipline».

Ai problemi di fondo si aggiunge la difficoltà di fare rete. Non così in altri paesi, come il Regno Unito, dove le case editrici teatrali fioriscono spesso intorno a una libreria che è luogo di incontro e di scambio. Come il londinese Calder Bookshop aperto da John Calder, vecchio amico di Samuel Beckett: attorno alla libreria (e casa editrice), che si trova a due passi dai teatri Old Vic e Young Vic, gravitano altri tre marchi indipendenti: Hesperus Press, Alma Books, Oneworld Classics. E qui si radunano autori, poeti, vecchi e nuovi clienti, un circuito che aiuta a creare una clientela più giovane e attenta agli autori emergenti. In Italia, perfino una sigla come Ubulibri, che grazie al suo fondatore, il critico Franco Quadri, ha introdotto gran parte della drammaturgia straniera e non, è in sofferenza. Alla morte del padre, il figlio Jacopo ha tentato invano di trovare finanziamenti adeguati e una testa che potesse dirigerla. Ora prosegue idealmente il lavoro paterno attraverso dei documentari, l’organizzazione di burning books (la distribuzione pubblica dei testi) e la cessione di parte del catalogo a Einaudi.

Quanto alla storica La Casa Usher, ha attraversato una fase difficile, ma ha ora ripreso le pubblicazioni. Spiega ancora a pagina 99 Enrico Falaschi: «Bisogna riqualificare il nostro bagaglio teatrale, avviare un processo identificativo veicolandolo all’estero. La domanda c’è, ma dovremmo fare un passo ulteriore e tradurre i testi mettendoli poi in vendita come ebook. Mi riferisco soprattutto ai saggi di autori del livello di Meldolesi o Marotti ma anche ai nuovi autori come Erba, Santeramo, Massini». E conclude: «Le eccellenze ce le abbiamo, hanno solo bisogno di sostegno».