Il teatro sociale e le arti performative
Laura Bevione, «Hystrio», gennaio-marzo 2022
Claudio Bernardi fu il primo, nel 1998, a utilizzare la definizione «teatro sociale» per indicare un insieme in realtà piuttosto composito di pratiche teatrali aventi finalità educative, formative, inclusive e comunque non estetico-professionali. Quella «etichetta», però, conteneva in sé anche esperienze risalenti a decenni precedenti rispetto a quello oggetto dello studio di Bernardi che, insieme a Sisto Dalla Palma, diede inizio a un’analisi non episodica né generica di questo particolare settore delle arti performative.
Giulia Innocenti Malini si colloca proprio sul sentiero aperto dai due studiosi e, forte della duplice veste di ricercatrice e operatrice, traccia una sintetica ma esaustiva cronaca critica della nascita e del variegato sviluppo del teatro sociale nella nostra penisola, a partire dai primi episodi di teatro fuori dal teatro ovvero di laboratorio non finalizzato a spettacolo, sulla scorta dei movimenti contestatari e del magistero grotowskiano, e dalla fondamentale avventura dell’animazione teatrale. Il capitolo centrale del libro è dedicato, però, al trentennio che va dal 1978 al 2008 e che segna il progressivo moltiplicarsi di progettualità e di pratiche ormai consapevolmente appartenenti a un fare teatro esterno, tanto fisicamente quanto negli obiettivi e nelle forme, rispetto alla scena tradizionale. Una crescita esponenziale di esperienze che non si è interrotta negli anni successivi, convincendo l’autrice a indicare, per il periodo 2008-20, alcune linee di tendenza, esemplificate da alcuni casi paradigmatici. Nel complesso, il volume testimonia la vitalità di un settore delle arti performative che, al di là dei precipui obiettivi «sociali», pare capace di generare nuovi codici e stimolare fertili riflessioni pure nel teatro propriamente detto.