Madri e attori: i piccoli eroi di Lina Prosa in un mondo ai margini
Guido Valdini, «la Repubblica»
È uscito Teatro che raccoglie testi inediti dell’autrice più alcuni racconti monologhi con il tono di una missiva. Il commosso percorso degli ultimi giorni di una mamma colpita dal Covid e il regista che spiega la sofferenza della scena
La drammaturgia di Lina Prosa, radicata nel mito classico (è nata a due passi dal tempio dorico di Segesta), ambisce a fare scivolare le profondità degli archetipi nel moderno (o post moderno); combina, così, l’eroico col minimale e la metafora con la denuncia politico-sociale, in una struttura linguistica antiletteraria e fratturata che aggira l’oggettività del reale, sfumando in un fascinoso canto lirico.
Autrice fra le più interessanti del contemporaneo e, in un’epoca dominata dalla performance, saldamente ancorata al valore della scrittura, esce ora peri tipi di Cue Press (coraggiosa casa editrice in digitale e su carta) un volume dal semplice titolo Teatro che raccoglie le sue più recenti creazioni (123 pagine, 19,99 euro). Si tratta di cinque testi e quattro sottotesti – così definiti dall’autrice – scritti in prevalenza nel periodo pandemico. E che costituiscono, per certi versi, una sorpresa, in quanto si allontanano dai temi di forte impatto critico contro le iniquità delle sue produzioni più note (vedi quelli sulle migrazioni o sulla rivolta del corpo e della centralità femminile). Possiedono come comune filo sottile il sussurro del vento che corre verso l’ignoto, e sviluppano il conflitto tra desiderio e confine, tra la ricerca dell’identità smarrita e l’angoscia della coscienza, ma soprattutto sono dotati di delicatezza di toni e sensibilità di sfumature che manifestano una intimistica vibrazione d’affetti per un’umanità violata.
Di fatto, i testi hanno un’articolazione prettamente scenica, mentre i sottotesti (più brevi) sono dei racconti-monologhi che talvolta hanno il tenore della missiva. Ed è fra questi ultimi che si ritrovano alcuni dei momenti più felici. Come in Popolo-19 (numero ricorrente che rammenta il Covid), commosso percorso degli ultimi brandelli di vita di una madre di antiche virtù colpita dal virus e – come diffusamente accaduto – morta nella solitudine di un ospedale: dolorosa testimonianza immaginaria, eppure drammaticamente autentica. O in Scavo di fossa nel bianco, ambientato nel gelo artico, dove per seppellire i morti bisogna scavare nella crosta polare: qui la voce della narratrice racconta le fasi della pietosa operazione alla moglie cieca del defunto, svelandosi infine come amante del marito, in un’affermazione di piacere, sacrificio e amore. Mentre di delirio incalzante è la metamorfosi di Nunù in Antoniuccia e Peppino, che, dopo la morte della madre, durante una folle corsa va perdendo pezzi del suo corpo.
Fra i testi propriamente detti, pervaso di tenebroso humour è La carcassa: due scalcinati agenti di pubblica sicurezza sul ciglio di un burrone, dove «si riparano le anime in pena», provano ad immaginare in un dialogo surreale la vita che si svolse intorno a un’auto distrutta. Di argomento metateatrale sono Ingrid e Lothar, nel quale, tramite un’azione scenica, un regista si esibisce in una sorta di lezione agli spettatori sulla sofferenza del teatro, e Actor Studio-19: in un’epoca postbellica, un attore tenta le prove di un improbabile spettacolo sotto le indicazioni di un ambiguo maestro; in un mondo di macerie che non prevede Amleto e nel quale bisogna adattarsi con gli oggetti di scena rimasugli di mercati abusivi, incombono la frustrazione dell’attore, ora marionetta, ora emigrante e naufrago, e la sua malinconica stanchezza, condannato a rischiare la sua fantasia per l’intramontabile sfruttamento delle trappole del potere. Completano la raccolta Il muro ha due lati, enigmatico paradigma dell’esclusione, con un muratore che ha l’ordine di dividere la stanza di una donna reclusa in una residenza per disagiate, e che, dopo avere sperimentato l’illusione dello sguardo, finisce per murarsi da sé. E infine l’utopia fallimentare nel chiuso di un carcere di Voglio fare la rivoluzione con te e in Africa-Mis-en-espace, una provocazione elegiaca sull’impossibilità di rappresentare i miti dell’Orestea, che conduce al grado zero del teatro.
I libri
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