Home
Logbook
Gordon Craig, e la sua Supermarionetta. La formula di una recitazione libera dalla realtà. Come un rituale orientale
25 Novembre 2024

Gordon Craig, e la sua Supermarionetta. La formula di una recitazione libera dalla realtà. Come un rituale orientale

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Ci siamo più volte occupati, sulle pagine di questo giornale, di Gordon Craig, oggi aggiungiamo un nuovo tassello, in occasione della pubblicazione di L’arte del teatro. Il mio teatro, a cura di Ferruccio Marotti, autore anche di una Premessa e di un Itinerario che ne ricostruisce la vita professionale, essendo stato egli il primo a farlo conoscere in Italia, con la sua monografia edita da Cappelli.

Il volume raccoglie una serie di saggi, tra i quali: La Supermarionetta, di cui abbiamo già riferito, oltre che interventi sul teatro naturalista, sulla sua poetica, sul suo rapporto con l’attore, prima di arrivare alla formula che lo ha reso famoso, quella, appunto, della Supermarionetta, ovvero dell’attore che si libera da qualsiasi rapporto con la realtà, per poterla sublimare, grazie a una recitazione che lo affranchi da ogni forma di artificio e di esuberanza e che lo accosti a quella degli attori del teatro orientale, più attenti alla ritualità che alla immedesimazione.

Ci troviamo nel primo decennio del Novecento, quando nasce il teatro di regia che si impegnava a liberare l’attore da certi vizi, acquisiti nel tempo, e da certi ‘appoggi’, per epurarlo, renderlo nuovo e pronto a esperienze diverse. Forse i tempi non erano molto favorevoli, anche perché, per provvedere a un nuovo teatro, bisognava preparare un nuovo pubblico, fino a trasformarlo, proprio come si cercava di trasformare l’attore che Craig non considerava un artista, a meno che non fosse stato capace di raggiungere quella recitazione creativa, lontana dal pericolo naturalista e dal peccato, ancora più grave, della vanità.

C’è da dire che Craig esplorava il teatro inglese, di fine Ottocento e inizio Novecento, quello della madre, Ellen Terry, e di Irving, mentre, come danzatrice-attrice, come modello, aveva scelto Isadora Duncan. Se avesse guardato bene agli attori italiani, si sarebbe trovato dinanzi a un panorama molto più vasto e a mostri di bravura, come Salvini, Rossi, Zacconi, Ruggeri, Ristori, Duse, con la quale collaborò, in occasione della messinscena di Rosmersholm di Ibsen, ma con cui litigò perché, in tournée, avevano tagliato una parte della sua scenografia.

Non c’è dubbio che Craig volesse rivoluzionare il concetto di messinscena, non ricorrendo però alla regia, il cui interesse, a suo avviso, tendeva all’estetismo, bensì a una scenografia astratta, simbolista, che l’apparentava alle teorie di Appia. Diceva che l’arte del teatro non si riforma con la regia, perché c’era bisogno di qualcosa di nuovo che affermasse l’autonomia del linguaggio scenico, dato che la regia permetteva soltanto il passaggio da un teatro inautentico a un teatro da intendere come esperienza totale. Craig avvertiva attorno al teatro una degenerazione fisica e mentale, dovuta in particolare alla figura dell’attore che amava l’esibizionismo, quello che per fare il geloso, per esempio, roteava gli occhi, andava in tutte le furie, stravolgeva l’espressione del volto, anziché dominarla, niente di tutto questo, perché la gelosia è un fatto mentale ed è, con la mente e non col corpo, che va recitata attraverso un lavoro di preparazione, durante il quale si doveva andare in cerca non di emozioni disordinate, ma controllate, perché l’emozione ha il potere di creare e di distruggere.

In scena, insomma, bisognava portare l’essenza dello spirito e non l’abilità da quattro soldi. Il vero artista è colui che riesce ad essere invisibile. Craig non sopportava le idee morte o le copie. Diceva: «il teatro è come una montagna, nessuno è riuscito a scalarne le vette, per poterne dare notizie certe il nuovo teatro deve essere il pane per nutrirti».

Inoltre, era convinto che, i materiali adoperati per la scena, non servissero per travestire i pensieri, ma dovevano essere adatti per esprimerli. I veri artisti non sono i riformatori, ma i creatori.

Collegamenti