Luis Buñuel su Luis Buñuel
Gigi Giacobbe, «Teatro Contemporaneo e Cinema»
Ho amato il Cinema di Buñuel sin da ragazzo, al tempo in cui in un Cineforum della mia città vidi in accoppiata Un chien andalou e L’Âge d’or, sceneggiati assieme a Salvador Dalì. Del primo ho chiara l’immagine di un uomo che seziona l’occhio di una ragazza, del secondo ricordo che iniziava con un documentario sulle abitudini d’uno scorpione. Debbo confessare che rimasi molto impressionato dalle immagini in bianco e nero dei due film, al punto che cercai di documentarmi (non così facilmente come oggi con internet e Wikipedia) sulla figura del regista spagnolo (naturalizzato messicano) e sul movimento surrealista che aveva animato i due film. Andai poi alla ricerca dei film realizzati in Messico, non mancando di vedere i film proposti più avanti come Viridiana, L’angelo sterminatore, Simon del deserto fino a Quell’oscuro oggetto del desiderio del 1977, che chiude la filmografia di Buñuel, condensata in ben 31 film girati. In una mia classifica personale dei registi più amati, Buñuel occupava il primo posto, cui seguivano: Ingmar Bergman, Federico Fellini, Francois Truffaut e Bernardo Bertolucci. Classifica rimasta immutata anche dopo la scomparsa di Buñuel a Città del Messico nel 1983 e i tanti registi americani, tedeschi, russi ecc. comparsi negli anni.
Adesso ho davanti a me il libro che definirei, oltre che prezioso, anche esaustivo sulla figura di Buñuel, edito da Cue Press, titolato Luis Buñuel su Luis Buñuel, un vero e proprio testamento artistico ad opera di due studiosi e critici cinematografici scomparsi da alcuni anni: il messicano Tomàs Pèrez Turrent e lo spagnolo Josè de la Colina, che tra non poche difficoltà sono riusciti a portare a compimento un’opera iniziata alla fine del 1974 e finita nel 1981, architettata a guisa che i 31 film ci vengono mostrati attraverso le puntute domande dei due critici e le risposte chiare e precise di Buñuel, che rendono oltremodo vive e vivaci le pellicole realizzate. Fu Buñuel a suggerire a Dalì di fare un film insieme dopo aver sognato, il primo di tagliare un occhio a qualcuno, il secondo d’aver la mano piena di formiche; in sei giorni scrissero il copione di Un chien andalou, realizzato con 25 mila pesetas che gli aveva dato la madre di Buñuel, diventati poi solo la metà perché spesi per cabaret e cene con gli amici a Parigi.
Nella sua prefazione, Goffredo Fofi scrive che se ci fosse stato un Premio Nobel per il Cinema, Buñuel sarebbe stato il primo ad aggiudicarselo, unitamente al Premio Oscar. Perché per lui Buñuel è uno dei più grandi registi della storia del Cinema, uno dei più originali e innovativi artisti del Novecento. Confessando più avanti che il suo film preferito, quello che lo ha sconvolto di più dopo I figli della violenza, resta Nazarin, nei quali Buñuel esprime idee da grande sociologo, filosofo e moralista. Il libro descrive pure, sotto forma d’intervista, gli anni della formazione di Buñuel, che vanno dalla nascita a Calenda (Spagna) nel 1900, sino a quando si trasferisce a Parigi nel 1928; e si conclude con l’elenco completo della filmografia (locandine e sinossi comprese), e in chiusura l’indice dei nomi. È sconosciuto l’autore della bella foto di copertina, che ritrae Buñuel in giacca e camicia scura, volto semi sorridente, con sigaretta accesa tra le dita, riconoscibile per la palpebra dell’occhio destro più calata rispetto al sinistro.