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Beckett e l’arte seria dell’ironia
31 Gennaio 2024

Beckett e l’arte seria dell’ironia

Giancarlo Visitilli, «Corriere del Mezzogiorno»

Una guida all’uomo e all’opera

Com’è difficile parlare di uno dei più grandi drammaturghi, scrittori, poeti, traduttori e sceneggiatori del secolo scorso, Samuel Beckett. Difficile come parlare della luna, sosteneva lo stesso: «È così scema la luna. Dev’essere proprio il culo quello che ci fa sempre vedere». E sembra che Enzo Mansueto abbia fatto sue le parole e tutto il senso di un autore che non ha mai dismesso l’arte seria dell’ironia, curando lo straordinario Beckett: un canone di Ruby Cohn, in libreria per i tipi di Cue Press.

Mansueto, anch’egli scrittore, poeta, critico letterario e musicale, docente di lettere, dagli anni Ottanta impegnato negli studi sull’opera del drammaturgo irlandese, della monumentale opera di Cohn, oltre a curare la meticolosa traduzione, scrive la prefazione. Il volume è un vero e proprio scrigno che conserva studi accurati, esperienze teatrali e lezioni critiche, con un’analisi acuta e completa delle opere di Samuel Beckett. C’è tanto di poco o per nulla conosciuto, specie delle poesie degli esordi. Ma la bellezza di questa pubblicazione consta nell’avere fra le mani le opere beckettiane, con accanto un’approfondita ricerca filologica sulle stesse, mai disgiunta da narrazioni e aneddoti legati alla grande esperienza di amicizia fra Ruby e l’artista.

Ruby Cohn è stata una studiosa di teatro e docente di Comparative Drama presso la University of California. Nel 1953, ancora dottoranda alla Sorbona di Parigi, assistette alla prima di Aspettando Godot, un’esperienza che la spinse a dedicare la propria carriera allo studio delle opere di Beckett. Con il passare del tempo, sviluppò un legame intimo con lo scrittore irlandese diventandone un’amica stretta. Sin dal titolo di questo importante e completo studio sull’artista irlandese, ci si impressiona, trattandosi della proposta di un canone. «Mantenendo nel titolo l’articolo indeterminativo voluto dall’autrice –Mansueto fa riferimento alla Cohn – a rimarcare l’instabilità dell’opera complessiva, il rifiuto di ogni monologico schema esegetico, così come la provvisorietà di ogni rilettura, a fronte di un vaglio cronologico che indugia, inciampa, riflette su false partenze, fiaschi e opere abbandonate». Quasi a sottolineare anche l’impossibilità di racchiudere l’opera e la stessa poetica di un autore che si rinnova di lettura in lettura, di scena in scena.

È inquieto il pensiero di Mansueto rispetto a un autore poco amato dal «bel paese là dove’l sì suona». La storia della messa in scena di opere teatrali di Beckett in Italia, scrive il critico nella sua prefazione, «è alquanto contrastata e la frequenza si fa via via più esigua, anche per responsabilità dirette, in verità, di chi ne gestisce, con miope burocrazia questurina, i diritti». Straordinarie le pagine in cui si ammette il percorso singolare di Beckett nel comico: «La riduzione sintattica e verbale, lo scetticismo ingenuo e profondo sono tali che a volte la commedia sembra nascere solo dal ritmo. Poi afferriamo frammenti di senso, solleviamo un velo dopo l’altro, sbattiamo il cervello sulla finzione ancora e ancora, e torniamo al punto di partenza della risata isterica, forse per la nostra situazione. Se non fosse così patetico, potrebbe essere tragico».

E Mansueto scrive di una gamma del comico come «controparte del tragico». Con uno stile saggistico «umanistico», le pagine tradotte da Mansueto «hanno anche uno spiccato carattere didascalico e introduttivo, per quanto, soprattutto per i riferimenti ellittici a opere meno frequentate e per la trattazione alquanto allusiva dell’opera in versi, si richieda una conoscenza o, quantomeno, la consultazione, durante la lettura, dei testi trattati». Essendo la produzione beckettiana di vasta portata, è naturale che la stessa Cohn si accorga del sovvertimento dei generi, delle stesse gerarchie linguistiche, sempre messi a soqquadro e completamente reinventati. Leggendo (senza l’imprescindibile matita) Beckett: un canone, si ha l’impressione di trovarsi dinanzi a un libro che non è saggio, ma conserva le emozioni del romanzo, facendo della vita dell’immenso artista irlandese la sua stessa opera d’arte.

Emozionano le parole di Mansueto, alla fine della sua prefazione: «Faceva freddo, quella sera di gennaio, nel 1953, a Parigi. La guerra non era lontana. Neanche oggi. Ma siamo sotto un sole che brucia, come in Giorni felici». Beckett aspetta un tempo che si rinnovi, e non sempre nel bene, ma fiducioso che Go- dot, nonostante tardi ad arrivare, lasci gli umani almeno vigili.

I libri

I libri menzionati nell’articolo corrente

Ruby Cohn, 
Beckett: un canone

Carta : 39,99