Claudia Bertolé, Il cinema di Kore’eda Hirokazu. Memoria, assenza, famiglie
Giacomo Calorio, «Sonatine.it»
Della folta schiera di registi giapponesi emersi negli ultimi decenni – schiera delle cui dimensioni ci si può fare un’idea su queste pagine – al momento Kore’eda Hirokazu è l’unico a essersi guadagnato un posto stabile nella nicchia della distribuzione italiana. Il merito di questo piccolo miracolo non va solo ai caratteri universalmente declinabili del suo cinema, tali da incontrare gli interessi di platee lontane e più vaste di quelle di solito attratte dalle cinematografie cult e dal Giappone «di per sé», né soltanto alla presenza costante dei suoi film nei programmi dei principali festival europei, che più di una volta li hanno insigniti di premi prestigiosi. Il merito va anche, se non soprattutto, all’intraprendenza di giovani case di distribuzione locali come Tucker Film e Double Line che, proseguendo la strada tracciata da BIM con Father and Son, primo film di Kore’eda a essere distribuito nel nostro paese, hanno evitato che si trattasse di un caso isolato, portando tutta l’opera successiva del cineasta giapponese nelle nostre sale e nei nostri salotti, e rendendo così i suoi film, poco alla volta, familiari anche ai non addetti ai lavori. Quanto basta per rendere non solo più che giustificata, ma anche assai utile e gradita, se non doverosa, la presenza di una monografia italiana dedicata al regista.
Il cinema di Koreeda Hirokazu – Memoria, assenza, famiglie di Claudia Bertolé è la riedizione, rivista e aggiornata, di una precedente monografia che l’autrice aveva già dedicato al regista giapponese: Splendidi riflessi di ciò che manca, edito nel 2013 dal «Foglio». Va tuttavia considerato che, nei dieci anni intercorsi da tale edizione, la filmografia di Kore’eda si è arricchita di sei nuovi film, tutti usciti in Italia, laddove all’epoca della precedente versione del libro solo il già citato Father and Son aveva goduto di una distribuzione nostrana. Non solo: in questo arco di tempo, l’eclettismo (di superficie, per lo meno) dell’opera di Koreeda si è arricchito, da un lato, di un ulteriore genere prima d’allora rimasto inesplorato dal regista, ovvero il dramma giudiziario del Terzo omicidio (‘ché, va ricordato, la filmografia del regista non si compone solo di drammi familiari, ma comprende anche documentari, un film in costume, un film fantastico e un dramma «metafisico»); dall’altro, di due titoli realizzati all’estero: Le verità, girato in Francia, e Le buone stelle – Broker, girato in Corea del Sud; infine, di una Palma d’Oro al festival di Cannes (andata a Affari di famiglia) che ne ha confermato, rinnovandolo, lo status di grande autore internazionale. Si tratta di sviluppi importanti che esigevano senz’altro un’edizione aggiornata che ne rendesse conto e li collocasse al contempo nel contesto di una produzione, avviatasi molti anni addietro, coerente tanto sul piano tematico quanto su quello stilistico.
La struttura del libro è in buona parte simile a quella della monografia edita dal «Foglio»: a una parte in cui Bertolé sviscera quelli che lei individua come i tratti fondamentali del cinema del regista dedicando a ognuno di essi un capitolo, ne segue un’altra in cui l’autrice si concentra invece sui singoli film. Completano il libro una prefazione a firma di Dario Tomasi, assente nella prima edizione, un’introduzione dal taglio più personale in cui la stessa Bertolé rende conto del suo amore ormai più che ventennale per il cinema del regista, e infine gli utili apparati finali quali una sintetica biografia, la filmografia completa del regista e la bibliografia. A corredo del tutto, una piccola galleria iconografica posta alla fine di ciascun capitolo. Per quanto concerne gli approfondimenti della prima parte, tutti aggiornati in questa nuova edizione, così da includere anche i nuovi lavori del regista, sono rispettivamente dedicati ai seguenti argomenti: lo sguardo documentario del regista (sguardo, va ribadito, presente anche nelle opere di fiction), il tema della memoria, strettamente legato a quello dell’assenza (il cui contraltare è la presenza dell’ambiente circostante, umano o naturale che sia), quello della famiglia (o meglio «delle famiglie»), le figure femminili del cinema di Kore’eda e infine il rapporto stilistico, oltre che tematico, con il cinema di Ozu, l’autore del cinema classico che, insieme a Naruse, più spesso viene chiamato in causa quando si parla del cineasta oggetto del libro. Ciascuno di questi temi viene poi declinato sui singoli film nella seconda parte del libro in cui Bertolé analizza punto per punto l’intera produzione del regista, compresi i documentari televisivi e la serie Going My Home.
Una monografia agile ma completa, quindi, la cui utilità si snoda su due fronti: da una parte, essa servirà al lettore che voglia approfondire e meglio comprendere l’ormai nutrito numero di opere viste e reperibili in Italia attraverso l’attenta analisi critica dell’autrice e la contestualizzazione dei film dell’autore nell’ambito più esteso del cinema e della cultura giapponesi; dall’altro, gli consentirà di ampliare e completare la sua conoscenza della filmografia complessiva del regista, qualora essa sia limitata alle sole opere uscite in Italia, colmando i buchi costituiti dai primi importantissimi lavori mai distribuiti nel nostro paese. Il testo di Bertolé, infine, può essere utilizzato anche in maniera simbiotica e complementare rispetto all’altra preziosa uscita recente che Cue Press ha dedicato al regista, ovvero Pensieri dal set, il saggio al contempo teorico e autobiografico firmato dallo stesso Kore’eda (nella traduzione italiana di Francesco Vitucci) in cui il cineasta guarda al proprio cinema. Se Pensieri dal set ci offre la preziosa opportunità di godere di un punto di vista interno e personale sulla produzione di Koreeda, ugualmente prezioso è il punto di vista esterno e analitico di una studiosa che da anni si dedica ai lavori del regista.
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