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Cosa vuol dire fare il regista? Ce lo dice Fellini in un libro
5 Dicembre 2024

Cosa vuol dire fare il regista? Ce lo dice Fellini in un libro

Davide Dal Sasso, «Artribune»

La casa editrice Cue Press ha pubblicato la nuova edizione di Il mestiere del regista, una raccolta di conversazioni tra la critica teatrale e saggista Rita Cirio e il regista Federico Fellini. Un intreccio di ricordi e riflessioni che tratteggiano un discorso sul cinema fatto anche con gli occhi dello spettatore.

Di tutta quella meravigliosa impresa che solitamente chiamiamo ‘fare arte’, ne sappiamo davvero poco. Va così perché dalle opere difficilmente possiamo risalire con agilità a quello che hanno fatto le artiste e gli artisti per crearle. Avere una idea dei processi e delle attività che determinano la realizzazione di dipinti o sculture, di pièce di teatro e danza o dei frutti della musica, non è facile. Le cose sono ancora più complicate quando abbiamo a che fare con il cinema, arte nella quale oltre alle immagini in movimento dobbiamo considerare anche regie e sceneggiature, abilità attoriali e strutture narrative, usi della macchina da presa e montaggio, costumi scene suoni e musiche. Dunque, come si procede? 

Il libro Il mestiere del regista con le parole di Federico Fellini 

Reagendo alla rassegnazione, la strada percorribile è tracciata dalle riflessioni delle artiste e degli artisti sui momenti di escogitazione e sviluppo del loro lavoro. Se possibile, dunque, la via è parlarne direttamente con loro. Sono infatti proprio le parole di Federico Fellini (Rimini, 1920 – Roma, 1993), in risposta alle domande ben poste da Cirio, a dare forma alle tre conversazioni che compongono il libro. La prima è dedicata alla figura dell’attore, la seconda a quelle dei produttori e del regista, la terza al mestiere di quest’ultimo. A contraddistinguerle sono sicuramente la schiettezza e la puntualità di uno dei più grandi registi del Novecento che con freschezza intona ricordi e fantasie muovendosi nel tempo tra esperienze teatrali e cinematografiche. Completa il libro l’intervista di Ottavio Cirio Zanetti a Nicola Piovani dedicata al lavoro con Fellini e al suo rapporto con la musica. 

Inquietudini e fosforescenze. Il cinema di Federico Fellini 

Il libro pubblicato da Cue Press ha il merito di offrire a lettrici e lettori quell’invito speciale ad avvicinarsi a Fellini senza girare troppo intorno ai temi che vengono brillantemente evocati da Cirio che guida con metodo le conversazioni. C’è sempre qualcosa di sorprendente nelle imprese di attrici e attori. Fellini descrive questa condizione ricordando come già da bambino avvertisse la forza della recitazione quasi fosse un fenomeno che potesse essere «contagioso» (p. 11), una esperienza basata su un misto di irrequietezza e sorpresa. Sentimenti non così elementari come potrebbero sembrare, specie se si pensa al modello di attore prediletto da Fellini, che non era né quello incarnato dai divi del cinema internazionale né quello dei cowboy. Piuttosto che l’eroe vittorioso il regista de La dolce vita apprezzava l’eroe positivo, «un eroe buffo, sfortunato a cui capitano le cose più catastrofiche» (p. 12). Ecco anche da dove traeva origine quel suo beffardo interesse per i pagliacci del circo, nonché – ampliando la prospettiva – direttamente per quest’ultimo più volte raffigurato nei suoi film.  

La recitazione secondo Federico Fellini 

Ora, se da una parte la questione della recitazione era influenzata da una inquietudine, descritta da Fellini che si rimette nei panni del (giovanissimo) osservatore quale era stato più volte; dall’altra, la medesima questione risentiva inevitabilmente di fascinazioni rese possibili da doti umane e più che umane proprie di attrici e attori. Recitare significa mostrarsi, affrontare il buio della sala o la vicinanza della macchina da presa, esporsi ai giudizi. Fellini, che ha spesso lavorato guidato dall’ingegno del disegnatore nella costruzione delle scene e dalla sua sensibilità rispetto alle vicende attoriali, era interessato a quella linea sottile tra realtà e finzione senza tuttavia perdere di vista anche la compresenza del ‘fattore umano’. Le attrici e gli attori, osservava, si portano addosso una sorta di aura, «una sorta di fosforescenza, che poi riesce a mantenersi anche nella vita, non solo sul palcoscenico» (p.15) e neppure solo sullo schermo. 

Fellini: attore, sceneggiatore e infine regista 

A questo punto si dirà che non sia del tutto chiaro che cosa c’entrino queste acute osservazioni con l’esercizio della professione di Fellini. Quello del regista è un mestiere che ha origine ben prima dell’uso della macchina da presa e della direzione di attrici e attori. Si radica e si sviluppa nelle pagine piene zeppe di note e appunti, in abbozzi di volti e scene, nei canovacci preliminari di qualche storia: soprattutto, nella fine osservazione delle attività umane. Fellini ne dava già prova con le sue esperienze da sceneggiatore e con le poche apparizioni come attore, rispetto alle quali si esprime nel libro con numerose osservazioni senza tralasciare di menzionare la sua naturale timidezza. 

Il Fellini regista. Le sfide al mestiere 

Come noto, spesso inaspettatamente, la ritrosia si rivela essere un’ottima risorsa proprio per affinare l’osservazione. Già, ma per fare cosa? Per esempio, per riuscire a ‘coltivare la propria immaginazione’ stando anche lontano dai riflettori. Il mestiere del regista trae origine anche da tali possibilità. Fellini, infatti, chiarisce a un certo punto: «nei miei film alcuni sono degli attori veri, dei professionisti, altri soltanto delle facce che mi seducono, che ho scelto perché rispondevano a quello che avevo immaginato» (p. 18). Nel libro aneddoti e riflessioni a proposito di attrici e attori sono numerose: da Anita Ekberg a Franco Fabrizi, da Totò e Donald Sutherland a Marcello Mastroianni e Anna Magnani. Ma a tornare sempre in primo piano sono due temi in particolare: le scelte del regista e la sfida tutta rivolta direttamente a quel suo mestiere. Infatti, se da una parte Fellini precisa il suo interesse a lavorare con attrici e attori in modo da «raccontarli al meglio, anche a loro insaputa qualche volta, o nonostante loro» (p. 32); dall’altra, egli ammette anche che «un attore può suggerirti continuamente delle soluzioni, magari anche in contraddizione con quello che avevi immaginato» (p. 37). Il mestiere, dunque, prende forma mentre lo si svolge.  

Il ruolo dello spettatore secondo Federico Fellini 

Lasciando affiorare nelle sue risposte reminiscenze ed esperienze lavorative, quello che Fellini traccia è innanzitutto il profilo dello spettatore, non subito quello dell’autore. «Pensavo, come pensa ancora molta gente, che facessero tutto gli attori, che fossero gli attori a fare il cinema» (p. 55). Lo stesso vale per quelle forme di spettacolo che sono il teatro e il circo: «tutto quello che vedevi era fatto da loro, dagli acrobati, dai clown, dai prestigiatori, dai giocolieri» (ibidem). Rispetto ai diversi ruoli professionali, imprescindibili affinché il cinema come arte possa esistere, Fellini si esprime pertanto attraverso quelle sue due prospettive mantenendo quale primo riferimento proprio lo spettacolo.  

Federico Fellini e la figura del produttore cinematografico 

La produzione del cinema richiede di tenerle in considerazione entrambe, ma il cuore delle sue riflessioni è esattamente lo spettacolo, o più precisamente la sua possibile riuscita in relazione a come può essere organizzato. Quello con i produttori è un rapporto basato sul conseguimento di armonie tra gusti diversi, sui limiti e le possibilità della effettiva organizzazione del lavoro, su proposte e controproposte. Dopo molte considerazioni, Fellini formula una sintesi della sua idea di quei momenti, non scevra di mitologia come sottolinea anche Cirio: il produttore è colui «che prepara anche la configurazione e il carattere del film, non soltanto l’aspetto economico-finanziario ma l’identità del film» (p. 78). Una questione organizzativa imprescindibile, Fellini ne era fermamente convinto. 

Il cinema: arte o tecnica? 

Di nuovo, così come appare chiaro nell’ultima conversazione raccolta nel libro, attraverso il discorso sull’organizzazione la questione di fondo torna a essere quella del mestiere del regista: dell’autore che per fare quelle sue opere, basate sulla combinazione di scrittura recitazione e riproduzione audiovisiva, non può trascurare il piano organizzativo che ne rende possibile la creazione. Ma l’aspetto interessante che emerge in questo terzo scambio è che il movente di quel mestiere è evidentemente artistico. Con sincerità, infatti, Fellini ammette che il lato tecnico del lavoro con la macchina da presa per lui «resta un mistero. È come il motore dell’automobile. So guidare, sono stato un guidatore precoce, ma non riesco a capire cosa succede lì dentro» (p. 83). 

Il ruolo degli imprevisti nel cinema di Federico Fellini 

Che il movente non sia tecnico ma artistico, per l’autore di Giulietta degli spiriti e di Fellini Satyricon significa anche avere bene in chiaro una questione essenzialmente umana che influenza costantemente anche i processi creativi: il ruolo degli imprevisti. Quando Cirio gli chiede quante volte un evento improvviso lo abbia costretto a cambiare i suoi piani, Fellini risponde: «mi sembra pericoloso, almeno per me, tentare di sezionare il film in tante ipotetiche forme» semmai, prosegue, quello che «è diventato indispensabile è un modo di preparare il film che non soffra di questa separazione» (p. 85). Se, infatti, per un verso, egli segnala che quella separazione causerebbe la perdita di un senso unitario dell’opera, dall’altro ammette che vi siano comunque punti di vista diversi che possono interferire con la sua creazione «ma solo perché la cosa che stai facendo è vitale, non perché è stata anatomizzata in questo modo» (ibidem).  

La regia è una questione di sensibilità artistica 

L’artisticità si fa poi tutt’uno con la sensibilità del regista Fellini che non smette mai di essere anche spettatore e fine osservatore. Così, quando Cirio gli chiede quale sia un momento irrinunciabile del suo lavoro, Fellini risponde: «è una specie – sono quasi impacciato a tradurlo sul piano verbale – di contatto che mi sembra di avvertire quasi con una sorta di solletico e di sentimento gioioso» (p. 85). È il momento in cui si palesa «la prima lontanissima e improbabile, ineffabile, sensazione di aver visto il film. Un sentimento che riguarda questa cosa che già esiste, perfettissima in tutti i suoi dettagli ma che in quel momento ti appare nella sua totalità e comincia a trasmettere la sua amicizia con te» (pp. 85-86). 
D’altra parte, qualsiasi dubbio sulla presenza del movente artistico è fugato dal fatto che, come ricorda Fellini, parallelamente a quella sua «vaga speranza» di diventare un giornalista egli coltivava anche altre ambizioni: «mi sarebbe piaciuto anche fare il direttore di un circo ma anche il pittore, insomma qualcosa che aveva più o meno vagamente a che fare con l’arte» (p. 82). 

La nuova edizione de Il mestiere del regista 

Quello pubblicato da Cue Press nella sua nuova edizione è un libro sicuramente prezioso che, grazie al fruttuoso scambio dialogico mantenuto da Cirio di pagina in pagina, invita a riflettere non solo sulla poetica di uno dei più grandi registi del Novecento ma anche sul suo modo di intendere quella pratica artistica che ha svolto per una vita mettendosi in più panni senza mai smettere di interrogarla. L’intervista conclusiva con il compositore Piovani aggiunge ulteriore valore al volume. 

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