Chi ha paura dei premi Nobel? Tre piccoli gioielli di Jon Fosse
Alessandra Calanchi, «Girodivite»
Ho trovato questi tre piccoli gioielli contestualmente – mea culpa – alla scoperta di una piccola e formidabile casa editrice di nicchia (CUE Press). I tre volumetti in questione riguardano Jon Fosse, norvegese, premio Nobel per la Letteratura 2023, passato quasi inosservato ai più, anche se considerato dai critici il nuovo Ibsen o il nuovo Beckett. Qualcosa di simile era successa con la poeta e saggista Louise Glück (Nobel 2020), inizialmente pubblicata in Italia da una piccola casa editrice indipendente (Dante&Descartes) che aveva la sede in una libreria di Napoli, prima di approdare al Saggiatore.
D’accordo, la poesia e la saggistica sono generi difficili. E anche il teatro lo è… ma Fosse è anche romanziere e in Italia è La Nave di Teseo a permetterci di leggere storie suggestive come Mattino e sera (2000) e Bagliore (2024) per nominarne solo un paio. Definito dal New York Times ‘uno dei più grandi scrittori al mondo’, Fosse ci incanta con i suoi lunghi monologhi esistenziali e coi suoi dialoghi senza punteggiatura, con la sua vertiginosa capacità di sintesi e con le sue suadenti ripetizioni ritmiche, figlie del rock da lui molto amato. E quanto è presente la sua predilezione (linguistica e affettiva) per il nynorsk, la lingua in cui scrive e di cui difende ‘il diritto di esistere’, pur non contestando la presenza del bokmål. Mi rattrista non leggere le sue opere in originale, ma ringrazio i traduttori e le traduttrici per il grande lavoro che hanno fatto e che fanno. È importante uscire, di tanto in tanto, dai binari tracciati dalle lingue tradizionalmente studiate a scuola, sempre quelle, da anni…
I tre volumetti qui in oggetto (usciti rispettivamente nel 2018, 2023 e 2024) formano un trittico speciale, tracciando un percorso nella vita e nella professione dell’autore attraverso i tratti della sua scrittura drammaturgica. Il primo (Saggi gnostici), ci porta nella ‘religione della scrittura’, declinando la transizione dalla chitarra alla macchina da scrivere come una ricerca stilistica che approderà al binomio tra politica ed estetica attraverso la consapevolezza che tutto è narrazione, che il testo ‘s’arrotola nella voce’. Si ritiene minimalista, ammette di dubitare ‘ogni giorno’ pur considerandosi credente, cita Dante e Harold Bloom, ma sotto sotto emerge (magari a sua insaputa?) un certo stile carveriano, che non definirei minimalista ma frutto di una distillazione radicale e incessante, quasi una cesellatura.
Il secondo volumetto (Teatro) contiene tre pièces: ‘E non ci separeremo mai’, ‘Qualcuno verrà’, ‘Il nome’. Qui la scrittura rivela la predominanza del paesaggio sonoro, come la curatrice osserva giustamente nel titolo della sua Introduzione, Il silenzio e l’ascolto. Appunti sul teatro di Jon Fosse. E l’autore difatti esprime così la sua poetica: “scrivere per me è ascoltare […] Ascolto e ascolto. È nell’ascolto che nasce il conflitto che è il dramma”. I dialoghi dei personaggi vanno letti in questa prospettiva, ogni silenzio ha un suo spazio, ogni atto d’ascolto va compreso al millimetro. Un ‘lui’ e una ‘lei’, una ‘sorella’ e un ‘padre’, una ‘ragazza’ e un ‘ragazzo’ sono personaggi essenziali, familiari ma al contempo universali, che se da un lato ci ricordano l’Uno nessuno e centomila di Pirandello, dall’altro si svuotano incessantemente di ogni superfluo e diventano le forme disincarnate di Beckett, Jonesco, Artaud – pura vibrazione, ritmo, riverbero.
Il terzo volume (Caldo) presenta il dramma omonimo, recitato da tre personaggi le cui domande-risposte si rincorrono e si intrecciano come in un fraseggio musicale, creando una sospensione che giustamente il curatore ricollega a un’altra cifra di Fosse, l’attesa, nella sua Introduzione intitolata appunto Jon Fosse e il dramma dell’attesa. E fa nomi illustri – Pinter, Beckett, Artaud – a cui io aggiungerei anche il Camus de Lo straniero e il Buzzati de Il deserto dei Tartari. Con una goccia di Carver in chiave onirica. Emergono qui, come si legge in quarta di copertina, i temi più cari a Fosse: ‘il rapporto tra la vita e la morte, il tempo, la memoria e il desiderio’. Ma anche l’impossibilità di un’autentica comunicazione, la difficoltà di ricomporre ciò che è stato spezzato e che si ripresenta ossessivamente nel ricordo, la fragilità della consistenza – un’altra illusione: perché il mare, il pontile, la casa non è detto che siano reali. Come i personaggi. Come noi.
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