Jon Fosse, il Nobel che racconta l’indicibile
Carmelo Claudio Pistillo, «Libero»
L’Accademia di Stoccolma premia il drammaturgo e scrittore norvegese: la sua prosa non attinge all’autobiografia ma si nutre di immaginazione. Polemizzò contro il riconoscimento a Fo e a Dylan
Dopo Bjørnstjerne Bjørnson 1903, che insieme a Henrik Ibsen ha contribuito alla nascita della drammaturgia norvegese, Knut Hamsun, premiato nel 1920 e Sigrid Undset, nel 1928, la Norvegia si porta a casa il quarto premio Nobel della Letteratura. A godere di questo privilegio è Jon Fosse, scrittore, poeta e drammaturgo nato nel 1959, amante di autori di assoluto rigore e inimitabile complessità, come un sovvertitore del linguaggio teatrale che risponde al nome di Samuel Beckett, il percussivo e narrativamente implacabile Thomas Bernhard o l’oscurissimo Georg Trakl, legato incestuosamente alla sorella. Già da questi nomi, che racchiudono alcune sue predilezioni letterarie, non certamente di metodo, si può dedurre la precisione con cui l’Accademia Svedese ha inteso motivare l’assegnazione del premio a questo scrittore prolifico e appartato: «Per le sue opere teatrali e di prosa innovative che danno voce all’indicibile». Poco conosciuto ma assolutamente in evidenza per i suoi libri pubblicati in Italia e tradotti in quaranta lingue, nella sua residenza nel Grotten, datagli in affido dal re di Norvegia per i suoi meriti letterari, il poliedrico scrittore sta vivendo una crescente e inaspettata popolarità. In un’intervista rilasciata al Corriere nel 2022 dichiarava non senza qualche imbarazzo la sua incredulità rispetto all’ipotesi del conferimento del premio Nobel. Ecco le sue parole: «Non so se sono un vero candidato, comunque è un onore che molte persone pensino che io lo meriti, o almeno che pensino che l’Accademia svedese pensi che io meriti un Premio Nobel. Invece il pensiero di essere premiato è terrorizzante». Raggiunto al telefono in queste ore, dopo essere già stato nominato cavaliere dell’Ordre national du Mèrite in Francia nel 2007, con questo felice annuncio Fosse sembra essere entrato con sobrietà ed eleganza nell’abito del vincitore: «Sono così felice e sorpreso. Non me lo aspettavo davvero».
Nessuno se lo aspettava, anche se il suo nome echeggiava con sicurezza negli ambienti più più vicini all’Accademia svedese.
La reazione a Godot
Ma chi è Jon Fosse, considerato il «Samuel Beckett del XXI secolo» per le sue qualità drammaturgiche riconosciutegli dopo il suo debutto come autore teatrale di Qualcuno arriverà, scritto come reazione ad Aspettando Godot. Come i grandi letterati, anche il nuovo premio Nobel non si accontenta della descrizione della realtà senza che in questa aleggi il respiro di un altro ipotetico universo. La letteratura è uno strumento d’indagine sul senso ultimo delle cose. Di aiuto, in questa sua ricognizione, ha un ruolo fondamentale il silenzio da cui cerca di estrarre parole insperate ma degne di entrare e caratterizzare la pagina scritta. La sua prosa non attinge alla dimensione più autobiografica se non in termini di suggestioni, ma si nutre d’immaginazione e non di fantasia. Dichiarò nel 2022: «Non scrivo mai per parlare di me ma per liberarmene, allontanarmi. Da questo punto di vista, la scrittura somiglia al bere. Ecco perché forse non ho mai scritto così tanto come dopo avere smesso con l’alcol. La letteratura può essere una forma di sopravvivenza, per me è stata di sicuro un modo per vivere». Una tecnica sapiente, la sua, dove al ritmo studiato nella poesia unisce la coerenza lungo tutta la trama assorbite dal teatro. Sono più d’una le traduzioni italiane delle sue opere spesso dominate dal paesaggio nordico. Diverse le case editrici che in questi ultimi anni hanno fiutato con lungimiranza il valore dello scrittore: Fandango con Melancholia (2009) e Insonni (2011) entrambi tradotti da C. Falcinella, Cuepress con Saggi gnostici (2018) e Caldo (2018) curati da uno dei maggiori esperti della letteratura nordica come Franco Perelli, ma prima ancora, a mettere le mani su questo autore, è stata Editoria e Spettacolo con Teatro (2006), per la cura di Rodolfo Di Gianmarco. Con protagonista il tormentato Lars Hertevig, fra i maggiori pittori norvegesi, è utile ricordare un gioiello come Melancholia, che si avvicina, almeno nella trama, al miglior Bernhard. Il pittore, infatti, viene colto nell’ultimo giorno di vita prima del suicidio avvenuto per ragioni amorose o forse, per motivi più profondi come l’incapacità di vivere, tema tipicamente bernhardiano.
La vis polemica
Per la Nave di Teseo sono inoltre disponibili sia Mattino e sera (2019) che L’altro nome – Settologia vol. 1-2 (2021), entrambi tradotti da Margherita Podestà. Mentre Mattino e sera racconta i termini della vita attraverso la nascita di un figlio e l’ultimo giorno di un vecchio nella ripetizione di gesti sempre definitivi, L’altro nome è la singolare storia di due uomini con lo stesso nome, Asle, una doppia versione dello stesso uomo. Il dieci ottobre sempre la casa editrice guidata da Elisabetta Sgarbi pubblicherà Io è un altro — Settologia III-IV volume, un romanzo-mondo dal titolo rimbaudiano, che vuole essere un riflessione poetica sull’amore, sull’arte e sull’amicizia. Il nuovo Nobel non manca, come accade spesso in questi casi, di vis polemica. Giusto, secondo lui, il premio conferito a Luigi Pirandello ma non quello a Dario Fo, un non scrittore. Così come ritiene ingiusto aver onorato un autore come Bob Dylan. Non è meno tenero con il teatro contemporaneo, a suo avviso troppo legato ai classici e poco incline alle novità. Sicuro, comunque, di una sua ripresa nel solco della contemporaneità.