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Capire il teatro? Missione possibile
30 Dicembre 2024

Capire il teatro? Missione possibile

Nicola Arrigoni, «Sipario»

I volumi di Cue Press per comprendere le metamorfosi della scena

Si crede che un’azione di diffusione e ri-considerazione dei linguaggi scenici parta anche e soprattutto dagli strumenti che si possono avere per leggere lo spettacolo dal vivo. Ecco allora che l’azione di una casa editrice può diventare protagonista di una necessità: non tanto e non solo fare il punto sugli studi delle arti performative, ma cercare di trovare i riferimenti per leggere ciò che accade sulla scena, per offrire tali strumenti agli spettatori/lettori. In questo impegno sembra essere proiettata la casa editrice Cue Press, diretta da Mattia Visani, che propone una serie di titoli che fanno riferimento alla semantica dei linguaggi performativi, ne forniscono il glossario e le modalità di fruizione. Si parla da sempre dell’educazione alla visione e si crede che questo possa essere un modo per dare opportunità di leggere e avere modalità di accesso alla scena e alle sue lingue. Tanto più in un periodo come quello attuale che vive una sorta di disegno di restaurazione e di ritorno alla tradizione contrapposto a una natura performativa sempre più stringente delle esperienze indipendenti. Questa bipolarità schizofrenica, oppure consolidata dalle divisioni che da sempre esistono nel teatro, impone una sorta di bussola di orientamento, impone una sorta di alfabetizzazione per recuperare ciò che si è scordato e per inquadrare, almeno tentarci, ciò che ci pare insolito, nuovo e spesso poco comprensibile. È in questa ottica che ci piace leggere alcune uscite editoriali di Cue Press che con convinzione e determinazione ha colto l’eredità della gloriosa casa editrice Ubulibri, diretta da Franco Quadri. In questa pur parziale proposta di volumi, si vuole offrire una panoramica atta a cercare di mettere punti fissi, a fornire gli ingredienti per orientarsi nelle arti della scena.

Vocabolari per capire il teatro

«Il teatro è un’arte fragile, effimera, particolarmente esposta all’influenza del momento. Nessuno potrebbe rendersene conto, senza essere pronto a ridiscutere ogni volta i propri fondamenti teorici e, dunque, a correggere costantemente la teoria critica deputata a divenire fenomeno di teatro», scrive Patrice Pavis nella prefazione al suo Dizionario del teatro, a cura di Paola Ranzini e Paolo Bosisio, pubblicato da Cue Press (pagine 522, euro 55,99). Si parte dalle parole accessoriattrezzeria per chiudersi col lemma voce fuori campo. In mezzo c’è il mondo c’è il significato di comico, come quello di messinscena, l’inafferrabile mutazione del termine drammaturgia come il non meno imprevedibile mutar dell’attore e del performer. «L’opera si fonda, oltre che sulla vasta e sempre aggiornata cultura scientifica e filosofica dell’autore, sulla sua straordinaria esperienza di spettatore, necessaria, quanto la prima, per garantire un accostamento nutrito di concretezza a un settore dell’arte che più di altri, probabilmente, risente della materialità del suo agire e del suo configurarsi», scrivono Ranzini e Bosisio. Nella lettura delle varie voci – tutte o quasi corredate di una bibliografia di approfondimento – è possibile tenere conto di una lettura tematica, indicata ad inizio di volume dalla suddivisione delle parole analizzate per temi: Attore e personaggio, Drammaturgia, Generi e forme, Messinscena, Principi strutturali e questioni estetiche, Ricezione e Testo e discorso. Già da queste voci che raggruppano altri lemmi si intuisce come l’approccio di Patrice Pavis sia essenzialmente di carattere semiotico e spostato sulla comunicazione che intercorre fra palco e platea, un aspetto quello della costruzione e della ricezione del testo teatrale e performativo che emerge e che non può liquidare il testo di Patrice Pavis semplicemente come un vademecum alla visione, ma piuttosto come un’immersione nella struttura comunicativa ed estetica dell’atto teatrale. 

Il Lessico del dramma moderno e contemporaneo di Jean Pierre Sarrazac, a cura di Davide Carnevali (Cue Press, pagine 186, euro 34.99), parte dalla A di Azione per chiudersi con la V di Voce, offrendo al lettore una cinquantina di voci che permettono di costruire una sorta di guida al mutamento e alla trasformazione del dramma moderno e contemporaneo, partendo dagli ultimi decenni del XIX secolo fino ad arrivare ai giorni nostri. Il volume è l’esito del lavoro del Groupe de Recherche sur la poétique du drame modern et contemporain, coordinato da Sarrazac e per questo frutto di una polifonia di sguardi e di intenti che rendono ogni voce a sé stante, per quanto componente un quadro ben preciso: andare alla scoperta della necessità di destrutturazione del dramma, iniziato nella seconda metà dell’Ottocento e arrivato fino alle forme di post-drammatico dei giorni nostri. Sullo sfondo c’è «l’idea di una crisi senza fine nei due sensi del termine. Di una crisi permanente e di una crisi senza soluzione, senza orizzonte prestabilito. Di una crisi che si esprime interamente attraverso vie di fuga imprevedibili», si legge nella prefazione a cura di Marco Consilini. A questo fanno riferimento i diversi lemmi, a questo contesto guardano le voci di un lessico che va in cerca della rottura delle tradizionali forme di rappresentazione. Ciò che offre questo Lessico del dramma moderno e contemporaneo è uno spaccato sul mutare delle forme drammaturgiche nella consapevolezza che la storia dell’arte non è determinata da idee ma dal loro realizzarsi in forme. 

Nel segno della semantica teatrale si pone anche il volume Lingua orale e parola scenica, a cura di Vera Cantoni e Nicolò Casella (Cue Press, pagine 196, euro 29,99) in cui viene analizzato il rapporto fra parola e vocalità, aprendo uno scorcio di analisi sul legame che esiste fra scrittura e voce, fra parola e il suo farsi nell’azione dell’attore. «La parola teatrale si presenta per sua natura come parlata, sebbene in molti casi la sua origine sia letteraria: il suo medium è costantemente orale, ma la sua concezione variabile. Questo scarto, insieme all’ulteriore passaggio che vede i testi drammatici spesso conservati in forma scritta, costituisce la premessa fondamentale della complessa rete di potenzialità espressive per gli artisti», si legge nell’Introduzione del volume che raccoglie una serie di interventi che spaziano da Cechov e l’oralità di Fausto Malcovati alla riflessione sulla lingua scenica nelle Baccanti di Euripide a cura di Maria Appaia, oppure dalle Lingue nuove di Federico Tiezzi, indagate da Carla Russol, al dialetto di Marco Paolini, su cui si è concentrato Juan Pérez Andrés, solo per citare alcuni dei contributi. Ma perché inserire questo volume nella sezione dei dizionari? Perché si crede che i diversi interventi e casi di studio possano rappresentare altrettanti voci di un ideale dizionario sull’oralità nel teatro, sulla possibilità di offrire indicazioni di merito rispetto alle trasformazioni della lingua dalla pagina scritta alla scena o viceversa. 

Perché il teatro? 

Fornite le parole e i loro racconti è ora di chiedersi in cosa il teatro ci tocchi, perché ancora ci coinvolga? E quando questo non accade per quale motivo sentiamo ciò che succede sulla scena a noi estraneo? La proposta è, in questa sede, duplice: da un lato la guida all’analisi dello spettacolo, dall’altro la possibilità di affidarsi alla guida di maestri della scena che introducano lo spettatore nel loro mondo scenico. Il tutto è pensato come uno stimolo per la costruzione di uno spettatore consapevole o, perlomeno, attrezzato sui contenuti e sulle forme dello spettacolo dal vivo. A questo obiettivo punta Patrice Pavis col volume L’analisi degli spettacoli. Teatro, mimo, danza, teatro-danza e cinema, a cura di Dario Buzzolan e Roberta Cortese (Cue Press, pagine 356, euro 37,99) in cui l’autore metta a punto una vera e propria guida alla fruizione degli spettacoli dal vivo, partendo dai presupposti di analisi per approdare all’analisi dei componenti della scena: attore, voce, musica, ritmo, ma anche spazio, tempo e azione e poi scene, costumi, trucco e luci per approdare infine a testo in scena. C’è poi un’ampia sezione – dal taglio nettamente semiotico – dedicato alle condizioni della ricezione per arrivare al punto di vista dello spettatore. Con rigore scientifico e straordinario dono della sintesi Patrice Pavis mette il lettore davanti a una marea di informazioni, decostruisce l’atto teatrale, lo scompone, lo analizza, ne documenta i diversi punti di vista analitici per offrire un panorama di studi e di idee davvero ampio e che si concentra in pagine dense di significato, impegnative ma estremamente fruibili nella loro scansione argomentativa. E se in un certo qual modo il titolo stesso del volume di Pavis pone il lettore nei panni di un chirurgo delle forme e della creatività scenica, gli altri due volumi che si segnalano per una alfabetizzazione alta dello spettatore fanno riferimento a un’analisi dall’interno, hanno un afflato esperienziale che ha la meglio su tutto e soprattutto sull’astrazione pura, di cui forse pecca un poco il volume di Pavis.

È allora un racconto caldo e polifonico quello che Corrado D’Elia e Sergio Maifredi costruiscono in Strade maestre (Cue Press, pagine 226, euro 24,99) che propone una serie di conversazioni e incontri con i maestri della scena Eugenio Barba, Lev Dodin, Stefan Kaegi, Antonio Latella, Ariane Mnouchkine, Thomas Ostermeier, Milo Rau, Peter Stein, Krysztof Warlikowski. I due autori accompagnano in un viaggio reale ed emotivamente narrato a incontrare i maestri della scena contemporanea. Da quegli incontri fuoriescono non solo i ritratti degli artisti, ma anche l’analisi della loro ricerca, il loro pensiero sul teatro e le sue estetiche. Ed è questo il bello del volume Strade mastre, gli artisti si raccontano a ruota libera, dicono del loro rapporto col teatro, dei loro successi come degli insuccessi, offrono al lettore uno spaccato della creatività scenica e del pensiero sulla scena che profuma di autenticità e del calore che caratterizza ogni incontro basato sulla disponibilità al racconto. Dopo le analisi affidate alla semiologia, il volume Strade maestre immette nella carne e nel cuore del teatro, vissuti dai maestri della scena contemporanea. Ed allora la chiusura di questa carrellata per spettatori che leggono non può essere la domanda Why theatre? che si pongono Milo Rau, Kaatje De Geest e Carmen Hornbostel nel volume curato da Andrea Porcheddu (Cue Press, pagine 164, euro 22,99), interrogativo a cui alcuni dei maestri della scena contemporanea cercano di dare risposta. Jerome Bel, Anne Teresa de Keersmaeker, Gisèl Vienne, Amir Reza Koohestani, Angelica Liddell, Toshiki Okada, Alain Platel sono alcuni degli artisti che si confrontano con l’interrogativo: Perché il teatro? Può essere consolante che la stessa domanda con cui si è aperta questa guida possibile e parziale ai linguaggi performativi appartenga non solo a noi spettatori, ma sia in primis di chi si misura direttamente con i linguaggi della scena. Verità definitive non ci sono, ricette magiche che il mondo definisca, neppure. Ciò che rimane è la nostra curiosità, la voglia di mettersi in dialogo, magari con qualche strumento d’analisi e consapevolezza in più, fornito da buone letture. Questo lo scopo del viaggio fra le pagine che cercano di ingabbiare quel corpo volatile e mutevole che è il teatro e le sue multiformi espressioni di creatività.

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