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Béla Balázs, dall’arte del teatro alla guerriglia teatrale
11 Luglio 2024

Béla Balázs, dall’arte del teatro alla guerriglia teatrale

Ilona Fried, «Criticai Lapok», XXXIII-5-6.

Eugenia Casini Ropa è una delle più autorevoli studiose dell’arte della danza in Italia, fondatrice e docente del primo corso di storia della danza e del mimo, istituito nel 1992 al DAMS di Bologna. Nel corso delle sue ricerche, che riguardano più in generale la storia del teatro, si è dedicata anche a quella forma particolare definita come teatro Agitprop e al suo linguaggio politico. Nell’ambito di tali interessi ha raccolto e curato gli scritti di uno dei maggiori protagonisti di questa corrente, l’ungherese Béla Balázs, una ricerca di prima mano pubblicata nel lontano 1980 e recentemente ristampata dalla innovativa casa editrice Cue Press con una nuova breve prefazione da parte della curatrice. 

Béla Balázs è una delle personalità di spicco della cultura di sinistra ungherese della prima metà del Novecento, ben noto anche in Italia per i suoi studi teorici sul cinema, ma le ricerche di Eugenia Casini Ropa presentano scritti per lo più sconosciuti fino all’uscita di questo volume, quelli in cui Balázs compare nelle vesti di teorico e di organizzatore del teatro operaio. Gli articoli e i saggi qui raccolti risalgono agli anni Venti e coincidono con il periodo dell’emigrazione austriaca e tedesca di Balázs: essi costituiscono tuttora una vera novità anche per gli studiosi. Come scrive Casini Ropa, nei testi raccolti nel volume «emerge con grande chiarezza il suo [di Balázs] tentativo, ideale, teorico e pratico, di far coesistere i principi estetici del marxismo coevo con una visione dell’arte del tutto personale, per ‘recuperare l’ipotetica incontaminata matrice originaria su cui fondare l’evoluzione di una nuova idea di teatro’».

Il prezioso volume è corredato da una bibliografia stimolante per ricerche future, completa anche di riferimenti alle fonti ungheresi di e su Balázs, indicazioni che però fino ad oggi non sembrano essere state raccolte dagli specialisti, come la studiosa deve con rammarico costatare nella più recente prefazione, compilata a quarant’anni di distanza dalla prima edizione del suo volume.

La prefazione del 1980 contiene una presentazione della vita e della carriera di Balázs, oltre che una sintesi della sua opera di teoria e di pratica del teatro. Per comprendere la formazione dell’autore Casini Ropa segnala come fonte essenziale il romanzo autobiografico La giovinezza di un sognatore, pubblicato a Budapest nel 1946. Nato a Szeged nel 1884, Balázs trascorse un’infanzia povera e una giovinezza non facile a causa della morte prematura del padre, uomo di grande talento che tuttavia per il suo carattere ribelle non era riuscito a realizzare le sue aspirazioni ad una carriera accademica. Oltre alle difficoltà familiari Balázs subì anche pregiudizi per la sua origine ebraica. Da giovane cominciò a pubblicare poesie; malgrado i problemi economici della famiglia, si iscrisse all’università di Budapest, dove conseguì la laurea in lettere con risultati brillanti. Fece viaggi di studio a Berlino e a Parigi e così ebbe modo di venire a contatto con la più aggiornata cultura europea. L’esperienza deludente come insegnante gli fece cambiare idea, non volle più seguire le orme del padre e scelse di dedicarsi al giornalismo, alla poesia, al teatro.

Il dramma su una donna emancipata, Il dottor Margit Szélpál del 1909, venne rappresentato al Teatro Nazionale di Budapest e ne scrisse una recensione un giovane critico, l’amico György Lukács. Dalla collaborazione di Balázs con Zoltán Kodály e Béla Bartók, fu all’origine dei libretti de Il principe di legno e de Il castello del principe Barbablu, che riflettono mitiche e simboliche tradizioni popolari che influenzarono lo scrittore così come i suoi giovani amici musicisti. Per un breve periodo prese parte alla prima guerra mondiale come volontario e si avvicinò alle idee socialiste; nel 1918 divenne membro del partito comunista ungherese. Per il ruolo ricoperto nella Repubblica dei soviet di Béla Kun, venne condannato a morte in contumacia e dovette nascondersi fino a quando non riuscì a emigrare. 

Data la sua perfetta padronanza del tedesco, lingua in cui scrisse tutte le opere composte fuori dalla madrepatria, la prima tappa fu Vienna, dove ebbe incontri proficui con il giovane cinema della capitale austriaca e dove svolse attività giornalistica collaborando principalmente con «Der Tag». In questo periodo pubblicò anche alcune monografie, come La teoria del dramma, e poi nel 1924 quello che divenne un saggio fondamentale, L’uomo visibile o la cultura del film, secondo Casini Ropa «prima opera di estetica cinematografica nel mondo e ancor oggi imprescindibile». Nel frattempo continuò a scrivere e a pubblicare poesie, prose e fiabe. Nel 1926 Balázs si trasferì a Berlino, in un clima fervido di speranze per una rivoluzione sociale. Il periodo berlinese appare come quello più «interessante e problematico, di più intensa e spesso folgorante intuizione teorica e di più immediata benché a volte inadeguata o contraddittoria sperimentazione pratica, come il punto di più alta tensione utopica e di più pregnante dialettica interna di tutto il pensiero e la produzione di Balázs».

A questi anni fino al 1931, quando si trasferì a Mosca, risalgono le sue collaborazioni a organizzazioni culturali di sinistra; sono note le sue vicende in campo cinematografico, fu membro del direttivo dell’Associazione popolare per l’arte cinematografica (Volksverband für Filmkunst) presieduta da Heinrich Mann, scrisse contributi per periodici specializzati e partecipò nella veste di sceneggiatore alla produzione di film. Arricchì anche le sue teorie sul cinema, pubblicando un nuovo testo teorico, Lo spirito del film (tr. it. Estetica del film, Editori Riuniti, Roma 1954, con varie riedizioni). 

Casini Ropa mette però anche in luce come il periodo berlinese fosse decisivo per l’incontro e il successivo apporto di Balázs all’innovazione in atto nell’ambito teatrale. Qui egli venne subito in contatto con le sperimentazioni d’avanguardia dei gruppi del teatro operaio, gruppi formati da dilettanti sotto l’egida sindacale o dei partiti di sinistra. Come afferma la studiosa, «questi gruppi a struttura collettiva, impegnati in un teatro satirico o didascalico dalle forme semplici e immediate, attraverso il quale diffondere e promuovere la coscienza di classe del proletariato, andavano in quegli anni crescendo straordinariamente in numero e in impegno politico sotto la spinta dell’avanzata della KPD. Alla guida di uno di essi, «Die Ketzer» (Gli eretici), Balázs iniziò la sua esperienza di teatro militante, che sarebbe cessata solo con la sua partenza dalla Germania, scrivendo e adattando testi, partecipando al lavoro collettivo del gruppo e guidandone le scelte culturali». Il numero dei gruppi teatrali comunisti cresceva per l’impulso alla campagna di agitazione e propaganda promossa dalla KPD e anche come risultato della tournée del gruppo sovietico «Bluse Blu». Numerosi tra questi gruppi aderirono alla Lega del teatro operaio tedesco, l’ATBD, di cui Balázs venne nominato direttore artistico, carica che coprì fino al 1930. Intanto pubblicò anche contributi teorici importanti sull’organo della Lega, saggi che ora si trovano raccolti nel presente volume. Oltre a dedicarsi all’attività del teatro operaio Balázs scrisse saggi e articoli più in generale sul teatro contemporaneo, che apparvero prima di tutto su «Die Weltbühne», di cui Casini Ropa pubblica alcuni tra quelli più significativi. 

Nella produzione drammaturgica Balázs cercò di assolvere il compito di esprimere la «coscienza collettiva del proletariato» e di «riflessione di classe», i cui risultati più importanti si possono cogliere in I muri del Père Lachaise del 1928 (sulle cause della disfatta della Comune di Parigi) e in Uomini sulla barricata del 1929 (sulla lotta dell’Armata rossa durante la rivoluzione sovietica). «Lo stile fortemente realistico, semplice e didascalico, non cancella del tutto la passione di Balázs per le vicende dell’anima individuale e i suoi personaggi mantengono, al di là della loro connotazione di classe e di condizione sociale che li rende simbolici, il pulsare profondo di un’individualità…». L’opera piacque a molti, fra gli altri a Erwin Piscator. Balázs aveva infatti collaborato fin dai tempi della fondazione nel 1927 al collettivo di scrittura teatrale Piscator-Bühne. Fra le sceneggiature create da Balázs si evidenzia la «fiaba teatrale» Hans Urian va in cerca di pane del 1929, non solo un astratto tentativo di adesione a quella progettualità d’avanguardia, ma frutto della sua personale teorizzazione e quindi da considerarsi concreto esempio della creazione di un teatro per ragazzi proletari.

Nello stesso tempo era vivo per Balázs anche l’interesse per il teatro musicale, l’opera e il balletto. Significativi di questa vastità di interessi che superava l’esclusiva attività cinematografica e teatrale, e perciò degni di nota sono i suoi contributi ai dibattiti culturali e alla critica letteraria contemporanea. La studiosa definisce come «sfida all’Oggettività» il romanzo del 1930, Uomini impossibili, che vede Balázs ormai nella piena maturità dei suoi strumenti espressivi. 

Appressandosi la minaccia del nazismo, nel 1931 Balázs si trasferì a Mosca e vi rimase fino al 1945, un periodo del quale si hanno ben scarse notizie. Tornò in Ungheria nel 1945 e negli anni precedenti all’instaurazione del regime comunista svolse un’intensa attività culturale: gli fu affidata una cattedra all’Accademia di arte drammatica e cinematografica, tenne la direzione dell’Istituto di scienza cinematografica, partecipò a film di spicco della rinascente cinematografia magiara di quegli anni, tra cui E’ accaduto in Europa (Valahol Európában) di Géza Radványi del 1947. Anche se nel 1948 gli venne assegnato il premio Kossuth, i suoi rapporti con le istituzioni in quel periodo divennero sempre più difficili. Possiamo aggiungere che il radicale cambiamento politico e culturale, l’attacco da parte del Partito comunista ormai al potere nei confronti di Lukács, creò probabilmente anche per Balázs un clima poco favorevole. 

Fu però in quegli anni che vide «la diffusione dell’ultima, più elaborata e completa sistemazione riassuntiva della sua teoria cinematografica; il volume tradotto e ben noto in Italia col titolo Il film: essenza ed evoluzione di un’arte nuova, Torino, Einaudi 1952», seguita da altre edizioni. Risale al 1948 l’edizione tedesca del già citato romanzo autobiografico La giovinezza di un sognatore, mentre quella ungherese era uscita del 1946. La sua ultima opera teatrale diffusa in tedesco mentre egli era ancora in vita, risale al 1946, Amore terreno e amore celeste, concepita ed elaborata durante il periodo russo.

La seconda parte dell’introduzione di Eugenia Casini Ropa tratta delle teorie di Balázs, legate a un preciso momento storico e culturale, ricco di fermenti e di novità quale fu la Repubblica di Weimar, in cui l’autore sviluppa le sue idee sul «teatro come arma», il teatro inteso come espressione artistica e politica per una società migliore.

«Lo strumento teatrale, questa l’idea di fondo di Balázs come critico, mezzo di comunicazione di insostituibile efficacia, deve essere usato politicamente secondo le intenzioni e i bisogni della nuova classe proletaria che cresce ogni giorno di più in forza sociale e in consapevolezza. Compito dell’arte in generale e di quella teatrale in particolare è stimolare e diffondere l’autocoscienza e la coscientizzazione politica della classe che secondo le speranze del momento, stava inevitabilmente per prendere il sopravvento».

Sostiene ancora Casini Ropa: «Nessun altro come lui ha saputo penetrare e trasmettere la tensione etica e la carica utopica ambiguamente sprigionata nel mondo weimariano dai numerosissimi piccoli gruppi di dilettanti proletari in cui egli salutava infine la nascita tanto attesa di un teatro ‘originario’ fondato realmente da e nel suo pubblico, dove vedeva rinnovarsi l’antico principio dionisiaco. Fulcro e motore di questa auspicata rinascita teatrale, in cui cogliamo i frutti dei semi gettati nella Teoria del dramma e che si presta oggi a essere letta in trasparenza come progetto di una vera e propria utopia teatrale e politica al tempo stesso, è per Balázs l’attore-operaio, autore e interprete del suo teatro».

Casini Ropa rintraccia le posizioni utopiche e fideistiche radicalizzanti delle idee di Balázs e allo stesso tempo anche i momenti di «profonda consapevolezza storica» delle difficoltà che emergevano. 

«Il lavoro creativo collettivo – e Balázs continua a chiamarlo arte – con cui il gruppo aspirava a fondere l’individuo nel collettivo, a eliminare il gioco gerarchico dei ruoli, a evitare ogni precisa specializzazione dei suoi membri, riappropriandosi insieme e comunitariamente dei mezzi di produzione, era un principio irrinunciabile dell’Agitprop, che esprimeva in esso la sua tensione utopica verso un mondo nuovo di vivere nel presente, una collettività sociale di abolire l’individualismo borghese, la divisione in classi e la parcellizzazione del lavoro. Ma nella prassi numerose erano le ambiguità rispetto al progetto e spesso la teoria doveva soggiacere alla necessità; così continuavano soprattutto ad esistere gli scrittori di professione – Balázs era uno di essi che lavoravano per il teatro operaio e a cui si lanciavano addirittura appelli per nuovi testi, e c’era spesso chi fungeva da regista e così via», afferma Casini Ropa. 

Il teatro operaio subì già nel 1929 leggi restrittive che imposero ai gruppi la clandestinità e infine nel 1931 li dichiararono fuori legge. Le compagnie più forti fecero passi verso la professionalità e così poterono sopravvivere, ma dopo l’ascesa del nazismo, nei primi mesi del 1933, tutte le voci di sinistra vennero spente. Alcuni gruppi, così come quello cui apparteneva Balázs, «Gli eretici», scelsero la clandestinità e misero in atto una vera e «propria guerriglia teatrale rapida, decisa e inafferrabile.» Questa era una comunicazione di strada, non più teatro istituzionalizzato. «I passanti delle vie di centro dove un finto (ma assai spesso vero, in realtà) disoccupato fingeva di svenire, attirando un capannello e suscitando discussioni amare o gli spettatori di innocui spettacoli filodrammatici di periferia ironicamente e violentemente contestati da attori-operai infiltrati fra di loro, venivano loro malgrado coinvolti nel gioco, facendosi inconsapevolmente attori di un’azione ‘teatrale’ del tutto nuova e spontanea. Un ‘teatro’ che per poter assumere questo nome ha preteso ancor oggi un allargamento semantico del termine e di conseguenza una revisione dell’ideologia che gli era sottesa».

Balázs tanti anni dopo, poco prima della morte sopraggiunta a Budapest nel 1949, ricordava con nostalgia non tanto gli ideali che avevano dato vita a quel teatro, quanto le sperimentazioni di animazione collettiva che da esso erano scaturite.

Così la studiosa conclude: «Coerentemente, e diversamente da quanto faranno in seguito tanti protagonisti di quei giorni, è questo lavoro oscuro e senza gloria il teatro che Balázs ricorda come l’esperienza ‘la più profonda, la più pura, la più sana’, come quel teatro che ‘voleva cambiare il mondo’ e la sua orgogliosa commozione è l’ultimo riconoscimento di quel generoso slancio utopico che sostanziava nel teatro una diversa qualità della vita».

Eugenia Casini Ropa aveva pubblicato la raccolta degli scritti di Balázs nel 1980 come invito a ulteriori studi e approfondimenti, un auspicio che però era destinato a restare tale. E’ quindi da accogliere positivamente la riproposta di un volume che ancor oggi conserva la sua attualità.

La studiosa per l’edizione del 2023 ha lasciato il volume inalterato aggiungendo solo una breve prefazione nella quale fra l’altro sostiene:

«Integro, senza nuove interpretazioni più scientemente contemporanee, il volumetto può apparire oggi quasi commovente, soprattutto per chi abbia vissuto il periodo – gli anni Settanta del secolo scorso – in cui è stato concepito. Il fervore di pensiero e di sperimentazione che animava allora gli studi e le scene teatrali, abbattendo gli argini della tradizione, invadendo gli spazi del vissuto, trasformando l’esperienza teatrale in autopedagogia individuale e di gruppo e proponendosi addirittura come esempio di una diversa modalità di vita, è oggi difficilmente immaginabile, pur se alcune rivoluzionarie conquiste di allora sono state acquisite e integrate nella pratica performativa. Quella metamorfosi dell’idea stessa di teatro era ovviamente figlia dell’epoca, anni in cui, nel bene e nel male, circolavano a tutti i livelli la passione e l’impegno sospinti dal vento delle ideologie e delle utopie, le lotte e le conquiste sociali erano all’ordine del giorno e il pensiero divergente e la creatività venivano stimolate persino nelle scuole proprio attraverso l’animazione teatrale. Il teatro poteva essere uno strumento trasformativo e gli studi storiografici, allora in pieno e originale sviluppo nel nostro paese, ricercavano anche nel passato eventi e atmosfere esemplari, consonanti con le urgenti tensioni che li muovevano. Così è nato, tra molti altri, anche questo volume e se oggi, dopo quattro decenni, il suo spirito, la sua scelta dei testi originali e la loro interpretazione possono apparire tendenziosi e ingenui al tempo stesso, è perché è specchio fedele del suo tempo e anche di quel tempo offre uno spaccato in veste di pensiero teatrale.

Riproporlo ai nostri giorni, quando la storia viene negata, l’ideologia e l’utopia sono politicamente scorrette e la passione latita intorno a noi, può forse sconcertare o divertire qualcuno, ma forse far riflettere e pungolare molti altri».