Condannato alla fama: chi se non Beckett?
Anna Maria Sorbo, «Limina Teatri»
Grazie alla Cue Press, casa editrice specializzata in teatro, cinema e arti, di stanza a Imola e di larghe vedute riguadagniamo una delle più appassionanti biografie letterarie dei nostri tempi, incredibilmente da noi fuori catalogo da anni: Condannato alla fama: la vita di Samuel Beckett di James Knowlson, riproposta con la cura di Gabriele Frasca e la traduzione di Giancarlo Alfano, ma con l’intrigante titolo originario (Damned to Fame. The Life of Samuel Beckett).
E non è l’unico suggerimento – cue di Cue Press in lingua inglese significa appunto battuta d’entrata, suggerimento, segnale – che la compagine fondata e diretta da Mattia Visani già editrice tra gli altri di Jon Fosse molto prima del Nobel per la Letteratura 2023 lancia sul mercato librario riguardo all’autore irlandese. Nel suo catalogo, in anticipo su un ritorno che ha interessato anche altri e magari più blasonati marchi, hanno già trovato posto gli inediti per l’Italia Beckett: un canone di Ruby Cohn e Capire Samuel Beckett di Alan Astro, a fianco della serie curata da Luca Scarlini Quaderni di regia e testi riveduti, finora dedicati ad Aspettando Godot, Finale di partita, L’ultimo nastro di Krapp e ai ‘cosiddetti’ Testi brevi.
Ancora prima di addentrarsi nella lettura dei ventisei capitoli che attraversano l’intera esistenza di un autore-mito o feticcio, racchiusa nei limiti solo cronologici 1906-1989 tra le Immagini dell’infanzia e il Viaggio d’inverno, fin dal ‘paratesto’ si apprezza la monumentale – nell’accezione migliore del termine – opera di Knowlson. Concepita a ridosso dell’assegnazione a Beckett del Premio Nobel per la Letteratura nel 1969, una ‘catastrofe’ che lo sconvolse al punto da «correre a nascondersi per il tempo necessario a far calmare la confusione», la biografia sarà ultimata e data alle stampe da Bloomsbury solo nel 1996. Un tempo nient’affatto vuoto, anzi necessario a coltivare la frequentazione tra Knowlson e Sam e di lì a superare le resistenze dello scrittore – notoriamente riluttante perfino nel concedere semplici interviste – il quale «aveva sempre sperato che sotto il microscopio venisse posta la sua opera non già la sua vita», tanto da ‘autorizzare’ personalmente la composizione del volume e presentare Knowlson come il suo biografo ufficiale.
E tuttavia è proprio in un libro come questo di Knowlson, che unisce la cura del dettaglio a una prosa agile e gradevole, sincero e mai agiografico nel far luce anche su aspetti del privato e della personalità meno noti di Beckett, che si svela la strettissima relazione tra letteratura e vita, le influenze, le ossessioni, l’assoluta centralità per esempio dell’esperienza «di incertezza radicale, di disorientamento, esilio, fame, bisogno» vissuta durante gli anni del secondo conflitto mondiale (Beckett, malgrado la nazionalità irlandese gli consentisse di restare neutrale, decise di aderire a una cellula della Resistenza britannica, la Gloria SMH) nel sollecitare le storie, i romanzi e i drammi capolavori prodotti «nella tempesta creativa» dell’immediato dopoguerra. Perché «una cosa era provare intellettualmente la paura, il pericolo, l’angoscia e la privazione, un’altra viverle sulla propria persona, come gli era successo quando era stato accoltellato, oppure quando si era dovuto nascondere o era stato costretto a scappare», in fuga dalla Gestapo in una Francia devastata.
Tanto ci sarebbe da aggiungere, ma come avverte lo stesso Knowlson «il libro deve parlare per se stesso» e dunque lasciamo al lettore il piacere della scoperta continua che Condannato alla fama riserva. Nella sterminata messa a punto di fonti e documenti utilizzati da Knowlson – appunti, taccuini e manoscritti dello stesso Beckett, materiali concessi dagli eredi o da altri studiosi, le testimonianze e le tantissime lettere recuperate attraverso amici e corrispondenti vari – spiccano le preziose sette ore di conversazione che il nostro ebbe il privilegio di intrattenere con Beckett, fortunatamente realizzate prima dell’improvvisa scomparsa di questi nel 1989. Rappresentano il ‘pilastro’ maggiore che sostiene l’edificio knowlsoniano. Non a caso Gabriele Frasca, nella sua postfazione, parla e fa «l’elogio» di un «metodo Knowlson». Un lavoro di stratificazioni, più anatomico giustamente che invero architettonico, nel suo «procedere da un primo apparato scheletrico, rimpolpato via via di muscoli e nervi, fino a quello tegumentario che dovrebbe restituirci, in uno, l’autore nell’uomo, l’uomo nel sociale, e il sociale nella storia». È ciò che consente al Knowlson biografo di farsi tramite empatico e non mero osservatore/dissezionatore di un oggetto di indagine e alle sue pagine di ‘vivere’, letteralmente, del respiro dell’artista ritratto, immortale come la fama cui era predestinato, chiamandosi Samuel Beckett.
Collegamenti
I libri
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