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A Cagliari per parlare di teatro e editoria
29 Novembre 2023

A Cagliari per parlare di teatro e editoria

Andrea Porcheddu, «Gli Stati Generali»

Teatro e editoria: un bel binomio. Storicamente scena e libri hanno sempre colloquiato. A volte discusso, altre bisticciato, ma è più o meno da Gutenberg che si parlano. Rapporto conflittuale, ma necessario, insomma. E che cambia di stagione in stagione. Così ha fatto bene la storica del teatro Roberta Ferraresi, assieme al giornalista e critico Walter Porcedda (ben noto ai lettori di queste pagine e non solo), con l’impeccabile organizzazione del Crogiuolo, nell’ambito del festival Mondo Eco, a chiamare a raccolta studiosi, critici, artisti e editori per fare il punto su questa storia infinita. Versus, si intitolava il convegno, e già l’approccio poneva la questione in una prospettiva dialettica e non pacifica. Così, all’Università di Cagliari, in una sala affollata da operatori, teatranti e studenti si è discusso una giornata su tendenze, cogenze, e mancanze del settore.

«Gutenberg era uno stampatore! Noi dovremmo pensare piuttosto a Aldo Manuzio! Lui sì che era un editore!» Così ha tuonato Luca Sossella – fondatore e anima dell’omonima casa editrice – rivendicato la passione della scelta come motore per far vivere davvero l’editoria teatrale. Ma già Ferraresi, aprendo i lavori dell’appassionante convegno, aveva rivendicato: «Quel legame indissolubile e antico che muove dalla lettura dei testi classici. E la rivoluzione teatrale del Novecento ha specificato quanto e come il teatro non sia contro il testo, anzi: le grandi avanguardie sono state aiutate proprio dal testo, dalle parole, dai libri». Evocando gli studi di Fabrizio Cruciani, Ferraresi ha ricordato che «le mutazioni sceniche non sarebbero esistite senza studiosi, editori, scrittori [e critici, N.d.R.], perché la trasmissione del sapere avviene attraverso la parola scritta». Arrivando all’oggi, Roberta Ferraresi ha chiarito come esistano «nuove alleanze e rapporti» tra libro e teatro, e se pure l’azione di entrambi è evidentemente marginale rispetto alla società, «proprio dai margini – ha concluso la studiosa – si possono rilanciare gli elementi cardine di questo rapporto».

È entrato poi nel merito dell’ «editoria scientifica» il professore Guido di Palma, della Sapienza di Roma. Storico del teatro, Di Palma ha preso come esempio un’importante rivista di settore, Biblioteca Teatrale, edita proprio dall’ateneo romano. Partendo da una suggestione poetica, ossia l’invito all’ascolto – pratica fondante il teatro stesso – Di Palma ha poi ricostruito l’evoluzione degli studi accademici, evidenziando criticità e contraddittorietà. Dito puntato sui cosiddetti criteri scientifici oggi in auge che, se rapportati al passato recente, avrebbero impedito l’impetuoso sviluppo degli studi storico-antropologico-teatrali degli anni Settanta. Un sistema kafkiano, quello attuale, che per Di Palma rischia di portare al «pensiero unico», che esclude non solo eventuali ‘eretici’ (la definizione è mia) ma anche innovazione e sviluppo.

È intervenuta poi Debora Pietrobono, attualmente capo ufficio stampa di Ert-Emilia Romagna Teatro, e con una carriera brillantissima alle spalle che l’ha vista protagonista di innumerevoli iniziative di portata nazionale e internazionale. Ripercorrendo il suo viaggio nel teatro, a partire dal lavoro come organizzatrice a fianco di Ascanio Celestini; poi come motore di quella esperienza formativo-creativa davvero unica che fu Punta Corsara, nel quartiere di Scampia, a Napoli; e infine, tra tanti altri incarichi, l’approdo a Ert, Pietrobono ha sottolineato quanto sia importante che un Teatro Nazionale si faccia carico anche di una attività editoriale adeguata: pubblicazione dei testi (messi in scena o meno), quaderni critici, materiali che possano non solo testimoniare quanto accade ma essere anche preziosi strumenti di formazione e discussione per il pubblico.

È stata poi la volta di Clemente Tafuri e David Beronio, della compagnia genovese Akropolis, artefici del potente festival Testimonianza ricerca azione, da sempre impegnati sul doppio fronte della ricerca storico-filosofica da un lato (che si concretizza in corpose e interessantissime pubblicazioni), la scena e il cinema dall’altro. Nei loro interventi si sono soffermati, in particolare, su due concetti cardine dello spettacolo: l’incomunicabilità e l’incompletezza. Ha detto Tafuri: «Nel Teatro resta sempre qualcosa di occulto, di irrappresentabile che può essere rievocato tramite i libri e la scrittura, tessere in più di un complesso mosaico, che non completano ma affiancano l’Opera».

E siamo tornati ad Aldo Manuzio: nel suo intervento, Luca Sossella invita tutti ad «eliminare la ‘competizione’ e dedicarsi alle ‘competenze’», e per questo serve l’esempio di Manuzio, come stimolo a creare alleanze di pensiero e di azioni, ad elaborare visioni ben oltre il reale. Conclude Sossella: «Si tratta di andare oltre la frustrazione di fare solo quel che si può, e di andare più avanti, agire con pre-veggenza».

Alla visionarietà militante di Sossella, risponde con consapevole concretezza Mattia Visani, ideatore, fondatore e direttore della casa editrice Cue Press (tra l’altro, quella che pubblica il premio Nobel Jon Fosse da prima che fosse Nobel). Attacca Visani: «La produzione culturale è troppo spesso un hobby per ricchi. Noi vogliamo e dobbiamo ragionare in termini di ‘impresa’ perché l’editoria è il nostro lavoro, è quel che ci dà da vivere. Non vogliamo essere marginali, anzi: vogliamo prendere il mercato con scelte giuste, basate sulla qualità e la competenza. Cue Press dimostra che è possibile farlo».

E proprio dalla dialettica marginalità-centralità ha preso spunto il critico Alessandro Toppi, parlando dell’esperienza bella e importante di una rivista di settore come La Falena, creata da quattro critici militanti e sostenuta dal Teatro Metastasio di Prato. Parlando delle condizioni di lavoro nel settore, troppo spesso condizioni capestro, Toppi ha portato l’attenzione di tutti gli astanti sulle feroci contraddizioni di un sistema che vede troppi professionisti lavorare sottopagati o addirittura gratuitamente. Il convegno è proseguito poi con tre presentazioni di libri. Il primo è la nuova edizione di Teatro contemporaneo in Sardegna, curato con attenzione e passione da Mario Faticoni, protagonista sulla scena d’avanguardia sarda già negli anni Sessanta e Settanta. Nel racconto, fatto con pudore non scevro da ironia, Faticoni ha ricostruito le prime avvincenti prove del «nuovo teatro» isolano, in una terra da sempre attenta a quanto accade a livello internazionale. A seguire, il regista Alessandro Serra, uno dei talenti che l’Italia sta facendo conoscere in tutto il mondo, ha presentato il volume La tempesta: dal testo alla scrittura di scena (Luca Sossella editore). Incalzato dalle domande di Alessandro Toppi, Serra ha non solo ricostruito il suo allestimento del testo shakespeariano, ma ha anche spaziato in analisi aguzze sulla scena contemporanea.

Infine, a chiudere la lunga giornata di convegno, è stato Marco Martinelli, maestro indiscusso del teatro italiano che ha presentato il libro Coro (Akropolis Libri), affascinante viaggio sulle tracce di Dioniso attraverso quell’elemento nodale della tragedia greca che era per l’appunto il coro, diventato sempre più connotante delle ultime produzioni del Teatro delle Albe. Poi, a dare concretizzazione visiva di quel che il coro può essere per Martinelli, è arrivata la proiezione del film Il cielo sopra Kibera, commovente documentario che racconta il lavoro fatto dal regista nello slum di Kibera, in Kenia, alle prese con centinaia di ragazzini e la Divina Commedia di Dante Alighieri. Soddisfatti i relatori e le relatrici, contento e stremato il pubblico degli astanti, il convegno cagliaritano si è chiuso con l’invito a tessere davvero quelle reti di collaborazione tra scena e libri auspicate da tutti, di rilanciare quel dialogo e far continuare quella lunga storia di relazioni, tra vicinanze e lontananze, che da sempre legano teatro e editoria.

E, a complemento del meritevole incontro, c’è stato anche il tempo per una visita al museo di Is Mascareddas, storica e attivissima compagnia di teatro di figura, fondata nel 1980 da Antonio Murru e Donatella Pau: amati in tutto il mondo eppure poco conosciuti in Italia (per quanto sia appena arrivata la candidatura al Premio Ubu 2023). Un patrimonio di artigianato e sapienza, di invenzione e tradizione che merita davvero attenzione: burattini, marionette, oggetti raccontano un teatro meraviglioso.

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