Anche Stefano, primogenito di Luigi Pirandello, fu drammaturgo e pittore
Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»
Figlio primogenito di Luigi, Stefano Pirandello (1895-1972), visse gran parte del suo tempo all’ombra del padre; non solo perché affascinato dal teatro, ma perché si sentì «necessario» al proprio genitore, per l’enorme mole di lavoro che svolgeva dopo i successi internazionali delle sue commedie.
Stefano fu l’ideatore, insieme a Orio Vergani, del Teatro D’Arte, che rimase aperto, pur tra tante difficoltà, per ben tre anni, dal 1925 al 1928, con una sua Compagnia. Dietro la miriade di impegni c’era anche quello per la madre, Maria Antonietta Portolano, (1871-1959) che, per disturbi psichici, era stata ricoverata nel 1919 presso Villa Giuseppina, dove rimarrà fino alla morte. La vita di Stefano, pertanto, fu contrassegnata da due «doveri», benché quello nei confronti del padre lo impegnasse intellettualmente.
L’amore per il teatro si trasformò, per Stefano, in amore per la scrittura, tanto che scrisse ben 17 testi che Sarah Zappulla Muscarà pubblicò, nel 2004, con Bompiani, in un cofanetto di tre volumi. Instancabile ricercatrice, Sara, insieme al marito Enzo e grazie all’Istituto di Storia del Teatro Siciliano, è diventata una divulgatrice delle opere di tanti autori siciliani che, senza di lei, sarebbero stati dimenticati.
A cura sua e di Enzo è stato pubblicato di Stefano Pirandello Un padre ci vuole in due edizioni e in due volumi separati, editi da Cue Press; il primo in italiano, il secondo in inglese, col titolo All you need is a father, con traduzioni di Enza De Francisci e Susan Bassnett, a cui dobbiamo anche le Note.
Sempre grazie all’interessamento di Sarah Zappulla Muscarà, Un padre ci vuole è stato tradotto in francese, greco, serbo, spagnolo, arabo, in attesa delle traduzioni in ceco e austriaco. C’è da dire, però, che, non sempre all’interesse scientifico corrisponda un interesse di rappresentazione. Anzi, a questo proposito, il testo che ebbe una messinscena nel gennaio del 1936, con la Compagnia Tofano-Maltagliati-Cervi e la partecipazione di Giuseppe Porelli, fu più volte rimaneggiato, fino all’edizione del 1960, che è quella pubblicata. Alla prima, al Teatro Alfieri di Torino, fu presente Luigi Pirandello.
C’è ancora da dire che nel 1953 capitò a Stefano l’occasione che lo avrebbe potuto imporre come autore teatrale, grazie alla messinscena al Piccolo Teatro di Sacrilegio umano, con la regia di Giorgio Strehler, che fu un vero insuccesso, forse anche per la poca cura del grande regista.
Un padre ci vuole risente molto della dedizione di Stefano nei confronti del padre, ma, a dire il vero, mostra una sua autonomia e ben si inserisce in quella drammaturgia che sceglie come protagonista la figura paterna, soprattutto nel secondo Ottocento, sia nella letteratura nordica sia in quella russa. Basterebbe ricordare Il padre o La signorina Giulia di Strindberg, con i famosi stivali del padre tenuti a lucido dal servo Jan, o ancora Hedda Gabler di Ibsen, con le due pistole donategli dal padre come segno di potere, che lei utilizza in maniera irrazionale. Il padre si presenta come una figura complessa nella drammaturgia di fine secolo; da lui dipendono l’educazione e i fabbisogni familiari, e non sempre lo si trova adatto, anche perché in molti casi ha pensato solo a se stesso.
Vorrei ricordare, inoltre, che anche il teatro russo ci ha lasciati dei drammi ben orchestrati su questo argomento, vedi Padri e figli o Pane altrui di Turgenev, o la figura del padre nei Fratelli Karamazov. E infine, come dimenticare la figura complessa del Padre nei Sei personaggi.
Stefano Pirandello ha una sua visione della figura paterna. Il suo protagonista, Oreste, intende essere il tutore del padre sessantenne e vorrebbe interessarsi a lui con ogni mezzo, anche perché, in occasione della tragedia che colpì la famiglia – dovuta a un incidente che causò la morte della madre e dei fratelli, travolti a causa di un passaggio a livello forse incustodito – il padre aveva deciso di suicidarsi e lui era riuscito a salvarlo. La commedia è costruita sul tema del rimorso e delle ferite dell’anima che coinvolgono gli esseri umani, tanto che c’è bisogno della comprensione dell’altro per poterle emarginare. Oreste, a suo modo, vive drammaticamente il bisogno del padre di aggrapparsi alla vita; magari grazie a un nuovo matrimonio, con una donna molto più giovane. Solo che prevede altre crisi paterne e fa di tutto per essere la sua ombra, così come Stefano aveva fatto di tutto per essere l’ombra del padre Luigi.