Il teatro, in attesa della propria resurrezione, dovrà tornare a Dionysos, come vita, ribellione, istinto, creatività ed erotismo
Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»
Per capire l’idea di teatro di Theodoros Terzopoulos, almeno in Italia, occorre partire da un suo spettacolo, visto al Teatro delle Passioni di Modena nel 2017. Si trattava di ENCORE (Ancora), ovvero della tenacia nel chiedere qualcosa, come dire: «Ti prego, ancora». Una specie di supplica, la stessa che faceva vibrare i corpi dei due attori, Sophia Hiel e Antonis Myriagkos, che, sul palcoscenico, si rincorrevano, si scontravano, si annusavano, ai limiti di una fisicità che puntava soprattutto su un’attrazione erotica.
In quella messinscena si intravedeva già il concetto di energia creativa, che il regista greco ha cercato di teorizzare nel volume edito da Cue Press, Il ritorno di Dionysos, da intendere come ritorno all’energia del corpo, quella delle origini, del mito, prima della sua strutturazione in pensiero, con l’arrivo di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Si trattava di un’energia che veniva declinata in pure e semplici azioni che, però, rispecchiavano le condizioni religiose, sociali e culturali delle origini, quando il corpo conteneva, in sé, tutte le forze istintuali ed energetiche. Dionysos era l’eroe del mito, ben diverso dall’eroe tragico; era il dio della ribellione, della danza, dell’eros inteso non solo come attrazione sessuale, ma come vita; ed ancora, del potere, della sregolatezza. Al contrario, l’eroe tragico è quello che pensa, ragiona, che si oppone, si ribella, ma che soccombe, come direbbe Emanuele Severino, al destino della necessità. La sua sconfitta è pari a quella dell’artista, il cui compito consiste nell’andare contro ogni forma di potere, non più quello degli dei, ma quello degli uomini, quindi di chi detiene le idee e costruisce gli ideologismi, quelli che si sono espressi attraverso il materialismo, il liberalismo economico, la globalizzazione, la tecnologia, e che hanno invaso il nostro Olimpo, privo però di divinità. Compito dell’artista, pertanto, non è quello di schierarsi, come avviene puntualmente oggi, perché chi si schiera perde il potere di andare contro il sistema e sente di smarrire la propria libertà. Terzopoulos rivendica, in teatro, la libertà dell’attore, la cui autenticità dovrà coincidere con l’autenticità del teatro stesso, che, proprio negli ultimi decenni, ha perso il contatto con le origini, ovvero con Dionysos, il suo tenace rappresentante, il dio che permette all’attore di «agire» (actor vuol dire proprio questo), di liberare la propria energia vitale ed erotica – eros inteso come vita – e, quindi, la propria creatività.
Il teatro, oggi, ha bisogno di risorgere, così come risorse Dionysos, quando il suo corpo venne smembrato, come accadde ad Adone in Siria, a Osiride in Egitto, ad Attis in Frigia e a Cristo in Palestina. C’è chi sostiene che il teatro di ieri sia morto; solo che, per rinascere, ha bisogno del suo fondatore, ovvero di Dionysos, che invita l’attore a ricercare il corpo archetipico, represso dall’inconsistenza del teatro contemporaneo, e a liberare i propri istinti, con la capacità di reagire alle restrizioni imposte dalla quotidianità e riconquistare una fondata energia. Sempre, però, attraverso l’uso accurato del corpo e delle sue conseguenti azioni, da concepire come un’esperienza da vivere in maniera attiva. Terzopoulos indica all’attore il modo con cui potrà essere portatore di energia, invitandolo a coltivare la voce, la respirazione, il rapporto col tempo e col senso da dare alle cose, a raccogliere i residui nascosti dei riti dionisiaci; e, infine, gli ricorda la salvaguardia del ruolo che non può essere solo di tipo estetico, ma che dovrà essere di tipo rituale prima ed esistenziale dopo. Recentemente abbiamo visto, con la regia di Terzopoulos, Aspettando Godot, con Paolo Musio, Stefano Randisi ed Enzo Vetrano. Anche in questo spettacolo il regista ha voluto esemplificare il suo «metodo», costruito sul corpo, inteso come luogo in cui si consuma il nostro tragico quotidiano.
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