Terzopoulos ci aiuta a far rivivere Dyonisos, il dio che rende il teatro un’arte inimitabile
Andrea Bisicchia, «Il Giornale»
Il regista analizza la radice più profonda dell’attorialità. Per rinnovarla
Mentre, al Teatro Greco di Siracusa, sono andati in scena spettacoli che hanno avuto, per protagonista, l’eroe tragico – Prometeo, Medea, Ulisse – la casa editrice Cue Press, pubblica Il ritorno di Dionysos (pagg. 76, € 19,99) di Theodoros Terzopoulos, da intendere come ritorno all’energia del corpo, quella delle origini, quella del mito, prima della sua strutturazione in pensiero, dovuta all’arrivo di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Si trattava, allora, di un’energia che veniva declinata in pure e semplici azioni che, però, rispecchiavano le condizioni religiose, sociali e culturali delle origini, quando il corpo conteneva in sé tutte le forze istintive ed energetiche. Dionysos era l’eroe del mito, ben diverso dall’eroe tragico, ed era il dio della ribellione, della danza, dell’eros, inteso non solo come attrazione sessuale, ma come vita; e ancora, il dio del potere, della sregolatezza.
Al contrario, l’eroe tragico è quello che pensa, ragiona, che si oppone, che si ribella, ma che soccombe, come direbbe Emanuele Severino, al destino delle necessità. La sua sconfitta è pari a quella dell’artista, il cui compito consiste nell’andare contro ogni forma di potere, non più quello degli dei, ma quello degli uomini, quindi di chi detiene le idee e costruisce gli ideologismi, quelli che si sono espressi attraverso il materialismo, il liberalismo economico, la globalizzazione, la tecnologia, e che hanno invaso il nostro Olimpo, privo, però, di divinità. Compito dell’artista, pertanto, non è quello di schierarsi, come avviene, puntualmente, oggi, perché, chi si schiera, perde il potere di andare contro il sistema e sente di smarrire la propria libertà. Terzopoulos rivendica, in teatro, la libertà dell’attore, la cui autenticità del teatro stesso che, proprio negli ultimi decenni, ha perso il contratto con le origini, ovvero con Dionysos, il suo tenace rappresentate, il dio che permette, all’attore, di «agire» (actor vuol dire proprio questo), di liberare la propria energia vitale ed erotica, eros inteso come vita e, quindi, la propria creatività.
Il teatro, oggi, ha bisogno di risorgere, così come risorse Dionysos, quando il suo corpo venne smembrato, come accadde ad Adone in Siria, a Osiride in Egitto, ad Attis in Frigia, a Cristo in Palestina. C’è chi sostiene che il teatro di ieri sia morto; solo che, per rinascere, ha bisogno del suo fondatore, ovvero di Dionysos che invita l’attore a ricercare il corpo archetipico, represso dalla consistenza del teatro contemporaneo. Per liberare i propri istinti, con la capacità di reagire alle restrizioni imposte dalla quotidianità e riconquistare una fondata energia; sempre, però, attraverso l’uso accurato del corpo e delle sue conseguenti azioni, da concepire come un’esperienza da vivere in maniera attiva.
Terzopoulos indica all’attore il modo con cui potrà essere portatore di energia, invitandolo a coltivare la voce, la respirazione, il rapporto col tempo e col senso da dare alle cose, a raccogliere i residui nascosti dei riti dionisiaci; e, infine, gli ricorda la salvaguardia del ruolo, che non può essere solo di tipo estetico, ma che dovrà essere, soprattutto, di tipo rituale prima ed esistenziale dopo. Recentemente abbiamo visto con la regia di Terzopoulos Aspettando Godot, con Paolo Musio, Stefano Randisi, e anche Enzo Vetrano. In questo spettacolo, il regista ha voluto esemplificare il suo «metodo», costruito sul corpo, inteso come luogo in cui si consuma il nostro magico quotidiano.