Il libro
I sogni ci lasciano soli. Nella solitudine dei nostri sogni gli altri, come attori su un palcoscenico, sono e non sono sé stessi.
George Didi-Huberman
Il cielo non è un fondale parte da un sogno che è a sua volta generato da una canzone.
È lì, tra il buio e il corpo della musica che inizia il vero, paradossale lavoro del teatro: sognare gli altri assieme a loro, in uno spazio scenico vuoto che si ingrandisce e si restringe, come l’architettura, a un tempo contratta e smisurata, della nostra mente.
Antonio racconta di aver sognato Daria nei panni di una barbona e, pur avendola riconosciuta, di essere passato oltre; quel gesto innesca una ritmica di incontri e di misconoscimenti, di cadute e di incidenti, di parole e di canzoni, scandita da due sentimenti contraddittori: la paura di essere noi stessi l’altro e il desiderio di metterci, per una volta, al suo posto.
Ma come conciliare la compassione e un’obesità dell’io che non resiste alla tentazione di sostituire a ogni storia la propria?
Alla fine scopriamo, comicamente e tragicamente, l’impossibilità di trasformare la vita quotidiana in una mera idealità.
Anche perché «va a finire sempre che la domenica la gente litiga».
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