Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

6 Ottobre 2023

Jon Fosse, il Nobel che racconta l’indicibile

Carmelo Claudio Pistillo, «Libero»

Dopo Bjørnstjerne Bjørnson 1903, che insieme a Henrik Ibsen ha contribuito alla nascita della drammaturgia norvegese, Knut Hamsun, premiato nel 1920 e Sigrid Undset, nel 1928, la Norvegia si porta a casa il quarto premio Nobel della Letteratura. A godere di questo privilegio è Jon Fosse, scrittore, poeta e drammaturgo nato nel 1959, amante di autori di assoluto rigore e inimitabile complessità, come un sovvertitore del linguaggio teatrale che risponde al nome di Samuel Beckett, il percussivo e narrativamente implacabile Thomas Bernhard o l’oscurissimo Georg Trakl, legato incestuosamente alla sorella. Già da questi nomi, che racchiudono alcune sue predilezioni letterarie, non certamente di metodo, si può dedurre la precisione con cui l’Accademia Svedese ha inteso motivare l’assegnazione del premio a questo scrittore prolifico e appartato: «Per le sue opere teatrali e di prosa innovative che danno voce all’indicibile». Poco conosciuto ma assolutamente in evidenza per i suoi libri pubblicati in Italia e tradotti in quaranta lingue, nella sua residenza nel Grotten, datagli in affido dal re di Norvegia per i suoi meriti letterari, il poliedrico scrittore sta vivendo una crescente e inaspettata popolarità. In un’intervista rilasciata al Corriere nel 2022 dichiarava non senza qualche imbarazzo la sua incredulità rispetto all’ipotesi del conferimento del premio Nobel. Ecco le sue parole: «Non so se sono un vero candidato, comunque è un onore che molte persone pensino che io lo meriti, o almeno che pensino che l’Accademia svedese pensi che io meriti un Premio Nobel. Invece il pensiero di essere premiato è terrorizzante». Raggiunto al telefono in queste ore, dopo essere già stato nominato cavaliere dell’Ordre national du Mèrite in Francia nel 2007, con questo felice annuncio Fosse sembra essere entrato con sobrietà ed eleganza nell’abito del vincitore: «Sono così felice e sorpreso. Non me lo aspettavo davvero».
Nessuno se lo aspettava, anche se il suo nome echeggiava con sicurezza negli ambienti più più vicini all’Accademia svedese.

La reazione a Godot

Ma chi è Jon Fosse, considerato il «Samuel Beckett del XXI secolo» per le sue qualità drammaturgiche riconosciutegli dopo il suo debutto come autore teatrale di Qualcuno arriverà, scritto come reazione ad Aspettando Godot. Come i grandi letterati, anche il nuovo premio Nobel non si accontenta della descrizione della realtà senza che in questa aleggi il respiro di un altro ipotetico universo. La letteratura è uno strumento d’indagine sul senso ultimo delle cose. Di aiuto, in questa sua ricognizione, ha un ruolo fondamentale il silenzio da cui cerca di estrarre parole insperate ma degne di entrare e caratterizzare la pagina scritta. La sua prosa non attinge alla dimensione più autobiografica se non in termini di suggestioni, ma si nutre d’immaginazione e non di fantasia. Dichiarò nel 2022: «Non scrivo mai per parlare di me ma per liberarmene, allontanarmi. Da questo punto di vista, la scrittura somiglia al bere. Ecco perché forse non ho mai scritto così tanto come dopo avere smesso con l’alcol. La letteratura può essere una forma di sopravvivenza, per me è stata di sicuro un modo per vivere». Una tecnica sapiente, la sua, dove al ritmo studiato nella poesia unisce la coerenza lungo tutta la trama assorbite dal teatro. Sono più d’una le traduzioni italiane delle sue opere spesso dominate dal paesaggio nordico. Diverse le case editrici che in questi ultimi anni hanno fiutato con lungimiranza il valore dello scrittore: Fandango con Melancholia (2009) e Insonni (2011) entrambi tradotti da C. Falcinella, Cuepress con Saggi gnostici (2018) e Caldo (2018) curati da uno dei maggiori esperti della letteratura nordica come Franco Perelli, ma prima ancora, a mettere le mani su questo autore, è stata Editoria e Spettacolo con Teatro (2006), per la cura di Rodolfo Di Gianmarco. Con protagonista il tormentato Lars Hertevig, fra i maggiori pittori norvegesi, è utile ricordare un gioiello come Melancholia, che si avvicina, almeno nella trama, al miglior Bernhard. Il pittore, infatti, viene colto nell’ultimo giorno di vita prima del suicidio avvenuto per ragioni amorose o forse, per motivi più profondi come l’incapacità di vivere, tema tipicamente bernhardiano.

La vis polemica

Per la Nave di Teseo sono inoltre disponibili sia Mattino e sera (2019) che L’altro nomeSettologia vol. 1-2 (2021), entrambi tradotti da Margherita Podestà. Mentre Mattino e sera racconta i termini della vita attraverso la nascita di un figlio e l’ultimo giorno di un vecchio nella ripetizione di gesti sempre definitivi, L’altro nome è la singolare storia di due uomini con lo stesso nome, Asle, una doppia versione dello stesso uomo. Il dieci ottobre sempre la casa editrice guidata da Elisabetta Sgarbi pubblicherà Io è un altro Settologia III-IV volume, un romanzo-mondo dal titolo rimbaudiano, che vuole essere un riflessione poetica sull’amore, sull’arte e sull’amicizia. Il nuovo Nobel non manca, come accade spesso in questi casi, di vis polemica. Giusto, secondo lui, il premio conferito a Luigi Pirandello ma non quello a Dario Fo, un non scrittore. Così come ritiene ingiusto aver onorato un autore come Bob Dylan. Non è meno tenero con il teatro contemporaneo, a suo avviso troppo legato ai classici e poco incline alle novità. Sicuro, comunque, di una sua ripresa nel solco della contemporaneità.

6 Ottobre 2023

Jon Fosse, esercizi di incomunicabilità

Andrea Romanzi, «Il Manifesto»

L’introduzione del norvegese Jon Fosse alla letteratura fu – a suo dire – poco invitante e ancor meno lusinghiera: nel corso di una intervista del 2006 per la rivista «Bok & Bibliotek» rivelò al suo interlocutore: «Iniziai a leggere nello stesso momento in cui cominciai a scrivere. La maggior parte di ciò che leggevo non mi piaceva … fatta eccezione per Tarjei Vesaas, di cui lessi prima di tutto Il castello di ghiaccio (Iperborea). Successivamente, ricordo che inserii nell’elenco Gli uccelli (Iperborea)». Erano titoli da cui uno studente norvegese non poteva prescindere: Fosse avrebbe aggiunto, più avanti, fra i suoi autori Knut Hamsun, anche lui Nobel per la letteratura nel 1920, e fra le sue letture l’Inferno di Dante, letto in diverse traduzioni.

Nonostante la sua scrittura abbia una chiara matrice modernista, i pilastri su cui Fosse ha costruito la propria cultura letteraria sono ben radicati nella letteratura classica, in particolare nei poemi epici – l’Iliade e l’Odissea – e nella Bibbia. Nello stile ricorda da vicino alcune pagine di Samuel Beckett, ma la sua scrittura è ancora più radicale e, soprattutto nel teatro, procede per sottrazione, scardinando e deostruendo gli elementi spazio-temporali, così da presentare un ambiente privo di punti di riferimento, dove anche il concetto di identità perde consistenza. Governate da un estremo minimalismo, le pièces di Fosse sono connotate dall’assenza di una trama vera e propria, da una lingua scarna e da pochissimi personaggi privati del nome e di qualsiasi elemento che contribuisca alla loro caratterizzazione.

Quarto scrittore norvegese a ricevere il Nobel per la letteratura, Fosse è nato nel 1959 e ha studiato filosofia e sociologia, prima di specializzarsi in scienze della letteratura. Mentre stava ancora studiando, a metà degli anni Ottanta, pubblicò il suo primo romanzo, Raudt, Svart (Rosso, nero), dando avvio a una carriera prolifica, che spazia tra i generi più disparati: dal romanzo, ai libri per bambini, alle opere teatrali, ai saggi, alle poesie, tutti tradotti in molte lingue e apprezzati soprattutto in Germania, Stati Uniti, Giappone e Polonia.

La componente modernista dei suoi scritti attinge alla corrente letteraria che ha incontrato più larga fortuna nella Norvegia degli anni Ottanta, e di cui Fosse è forse l’esponente più acclamato. Cresciuto in un contesto familiare intensamente permeato dal pietismo e dal quaccherismo, ne prese le distanze molto presto dichiarandosi in un primo tempo ateo, ma convertendosi poi al cattolicesimo nel 2013. Sui suoi scritti i motivi religiosi fanno, patentemente, una grande presa: tutta la filosofia nichilista che parte dalla «morte di dio» è – secondo Fosse – il presupposto fondatore della letteratura moderna; compresa la sua. Il che non gli ha impedito di conferire alla scrittura il carattere sacro di un esercizio religioso.

Già a partire dai primi studi, le questioni di teoria della letteratura entrano stabilmente nei suoi saggi, che risentono palesemente dell’influenza di linguisti, semiologi e aforisti – da Greimas, a Barthes – concretizzandosi in una scrittura letteraria sintatticamente asettica e minimalista ma allo stesso tempo connotata da un gran numero di ripetizioni – che contribuiscono a problematizzare la questione della lingua – e l’incapacità di metterci in comunicazione, con gli altri e con noi stessi. Non a caso, i pochi personaggi delle opere teatrali di Fosse si parlano addosso, si ripetono, pirandellianamente senza capirsi mai, dando luogo a sequenze narrative di natura descrittiva, più che mirata a restituire l’azione dei caratteri in campo. I quali, tuttavia, proprio in quanto sottratti alle esigenze narrative più votate all’intreccio, assumono uno spessore psicologico complesso e intrigante, che si risolve in una focalizzazione introspettiva, consentendo al lettore di scendere nelle più recondite fratture del loro animo.

Già dai suoi primi tre romanzi erano evidenti la potenzialità narrative di Jon Fosse: l’esordio, Raudt Svart (Rosso, nero) si articola in numerosi salti temporali, e altrettanto frequenti cambi di prospettiva, per raccontare la ribellione di un giovane ragazzo nei confronti dell’ambiente pietista in cui cresce. Ma è con Stengd gitar, (Chitarra chiusa) secondo romanzo pubblicato nel 1985, che il nome di Jon Fosse si carica di una maggiore risonanza: la storia di una giovane madre, che, rimanendo chiusa fuori casa, si condanna a separarsi dal suo bambino di un anno, vive sulla pagina grazie alla descrizione allarmante dell’impotenza della donna, restituita con una tecnica narrativa basata su associazione di idee e stati d’animo che scorrono, lineari, sotto gli occhi del lettore.

Più complesso dei precedenti, e chiaramente più evoluto da un punto di vista stilistico, il terzo titolo dello scrittore norvegese si carica di contorni oscuri: Blod. Steinen er (Sangue. La pietra è) (1987) è costruito come un lungo monologo interiore che ruota attorno a un possibile caso di omicidio. «I miei romanzi erano così oscuri e densi che la poesia si fece strada a forza». E, infatti, i suoi versi portano chiara una sorta di necessità naturale, un’ineluttabilità di esistere, almeno sulla pagina.

Negli ultimi anni, la fortuna di Jon Fosse si è costruita soprattutto attorno alla sua produzione teatrale: il debutto avvenne nel 1994 al teatro di Bergen con il primo dramma, E non ci separeremo mai (Cue Press), che lo consacrò come uno dei più importanti drammaturghi della nostra epoca. Spesso inquadrati nel teatro post-modernista, i suoi stykk – come i norvegesi chiamano i testi teatrali – sono anch’essi figli di un inconfondibile stile scarno e pragmatico, che predilige ambientazioni quasi irreali, comunque scheletriche. I suoi personaggi, molto spesso anonimi, sono analizzati – anzi denudati – davanti agli occhi dello spettatore, privi di qualsivoglia barriera e liberi da imbarazzi, portando a galla i desideri, le paure e le passioni più nascoste del nostro subconscio. Torna, anche nelle battute dei personaggi portati sulla scena, l’insistenza sulle ripetizioni, già abbondanti nei lavori in prosa, con un effetto ritmico coinvolgente.

Il motivo per cui le anafore sono una prerogativa imprescindibile nel suo modo di scrivere, Fosse lo ha spiegato in una conversazione uscita sulla rivista «Prosopopeia», dell’Università di Bergen: «Le utilizzo in maniera del tutto involontaria. È la verità. Ho iniziato a scrivere dopo essermi interessato molto di musica; tentavo di riprodurre lo stesso stato d’animo che avevo quando suonavo… È per questo che è sbagliato intendere le ripetizioni come uno strumento narrativo, come un qualcosa di calcolato. Non è mai stato così». Questa naturalezza a cui Fosse fa riferimento è ben percepibile, per esempio, in drammi come Nokon kjem til a komme (Arriverà qualcuno) del 1996, in cui mette in scena una coppia di cui non conosciamo quasi nulla, nemmeno i nomi. I due, che nel testo vengono indicati come «Lui» e «Lei», si recano presso la nuova casa che hanno acquistato, vicino al mare, pianificando una vita tranquilla, lontana dal resto del mondo: vogliono stare soli, è questo che ripetono, ritmicamente, finché un uomo non si presenta bussando alla loro porta e sconvolge i loro piani. L’incontro riporta alla luce desideri nascosti, paure, abiezioni: Lui e Lei si trasformano nel corso dell’opera, mutevoli ed incerti come ognuno di noi.

Un’opera monumentale, che si compone di sette volumi, è in corso di traduzione per La nave di Teseo, che farà uscire, di qui a pochi giorni, il primo libro di questa Settologia, con il titolo Io e un altro (traduzione di Margherita Podestà Heir), che corrisponde ai volumi III-V dell’opera. Fosse prosegue tra queste pagine il racconto cominciato in L’altro nome (volumi I-II) il cui protagonista, Asle, è un pittore che vive sulla costa occidentale della Norvegia. Per Natale dovrà dipingere un’opera, e le aspettative riposte in lui lo forzeranno a rompere l’isolamento in cui si è rifugiato dopo la morte della moglie.

Del resto, la pittura è per lui un tramite per la conoscenza del proprio sé, qualcosa di realistico tanto quanto lo sono le fotografie, pur nella loro diversa concretezza. Il comparto introspettivo viene squadernato in Io e un altro più che in altre prove narrative, e come quasi sempre accade nelle pagine di Jon Fosse, il piano relativo alla propria identità, quello temporale e quello più meramente fisico sfocano i loro contorni scivolando l’uno nell’altro, fino a trasformare la narrazione in un onirico viaggio verso la conoscenza di sé.

6 Ottobre 2023

Jon Fosse, il Nobel che viene dal rock e sussurra al buio

Camilla Tagliabue, «il Fatto Quotidiano»

Nella solitudine dei campi di cotone in cui vaga il teatro contemporaneo, driiin: l’Accademia di Svezia chiamò. A rispondere è Jon Fosse, norvegese, classe 1959, drammaturgo sopraffino prima ancora che venerato romanziere, fresco di Nobel per la Letteratura per aver «dato voce all’indicibile». Da Pinter a Jelinek, almeno a Stoccolma si ricordano di quell’arte chiamata drammatica, appena espunta, per dire, dal nuovo programma dell’italico Salone del Libro. Chiosa il «NYT»: «Fosse è uno di quegli scrittori che ti senti in colpa di non avere ancora letto». «Sorpreso, ma preparato alla felice evenienza», l’autore dal tipico humour nordico ha già detto «che dopo questo premio, non si arriva più in alto, è solo discesa».
Cresciuto nella Norvegia occidentale, tra i fiordi e la pesca, Fosse vive da tempo a Oslo, nella residenza concessagli dal re per meriti letterari, dall’esordio nel 1983 alle traduzioni in oltre 40 lingue, dalle pièce allestite ovunque ai tanti blasoni e riconoscimenti (due volte Premio Ibsen e Nynorsk Prize; European Prize; il Willy Brandt e il nostrano Ubu…).

«Quando la scrittura è buona ha in sé un dolore. L’arte si fonda su un temperamento malinconico». Con allegrezza artica Fosse debutta a 24 anni con un romanzo sul suicidio, Rosso, nero, mentre in altri suoi testi «si può dire per esempio / che quello che separa noi vivi da noi morti / è una cabina telefonica». Svedese. Credente, cattolico e con una spiccata avversione per l’educazione puritana ricevuta, il Nostro non è nato imparato: «Non ero bravo a scrivere, avevo cattivi voti: sono arrivato alla scrittura dal rock». E ora, sornione, dichiara per mestiere di «sussurrare nella tenebra», mercanteggiando col caos, la solitudine, la depressione, Dio. Antirealista, antipsicologista, Fosse si definisce un «minimalista»;di formazione filosofica più che letteraria, a parte le grandi sbronze: Bernhard, Beckett, Joyce e ovviamente il compaesano Ibsen, unico a batterlo come norvegese più rappresentato al mondo. «Non mi occupo della vita inconscia, ammesso che esista, m’interessa la relazione». Poi certo, le relazioni sono un inferno; non ci si capisce niente, non ci si capisce mai.

Approdato al teatro controvoglia — come i veri drammaturghi ne provava «avversione» — inanella una serie di «commedie», dice lui diabolico, di successo, di grande respiro, cioè da apnea e panico. I titoli sono laconici, lapidari: Caldo; Inverno; Il nome; Qualcuno verrà, seee… Lei, Lui, Uomo, Secondo uomo, Donna, Ragazzo, Madre: i personaggi non hanno nome, sono archetipici, ruoli perché appunto definiti dalla relazione prima che da sé. In Sogno d’autunno, ad esempio, tra i pochi visti su un palco italiano negli ultimi anni (Binasco, 2017), la trama gira di funerale in funerale, ammesso che i protagonisti non siano già morti. Ma la vita del corpo, per Fosse, conta poco, così come pensieri, emozioni e «sentimenti di merda».

Nei suoi Saggi gnostici (Cue Press) si legge: «Ci sono uomini molto sensibili che per questo non diventano buoni artisti, i più anzi non lo diventano, e io credo che molti di questi sensibili siano perdenti». Si muove nel tempo, Jon (ok lo fanno tutti i geni da Proust in su e giù), non nello spazio, come si evince dalla monumentale Settologia (2019-2021), il cui secondo volume è in uscita martedì con La nave di Teseo. Io è un altro c’entra con Rimbaud, al diavolo Lacan: è il flusso di coscienza di oltre 1.300 pagine di Asle, un uomo e il suo doppio. Tra gli altri romanzi, i più noti sono Melancholia e Insonni (Fandango): il primo è sul pittore Lars Hertervig; il secondo è un apologo breve, dall’asprezza biblica, su una coppia di adolescenti che vaga in cerca di un rifugio per la notte, ma nessuno è disposto a ospitarli: lui porta un violino in spalla, lei lo scandalo in grembo. «Così spariscono l’uno nell’altra e si sente solamente, debole, il vento tra gli alberi». Nella solitudine dei campi di cotone. Chissà dove.

6 Ottobre 2023

Jon Fosse, la voce dell’indicibile

Alessia Rastelli, «Corriere della Sera»

«Quando scrivo, ascolto. Ascolto il silenzio e cerco di farlo parlare». Così il 17 gennaio 2021, su «La Lettura», Jon Fosse apriva le porte del suo universo letterario. E ieri la sua tenace ricerca di un senso, da raggiungere sottraendo, nella narrativa come nella drammaturgia, ha ottenuto il riconoscimento più importante. L’autore norvegese, 64 anni, è il Nobel per la Letteratura 2023. L’Accademia svedese ha riconosciuto la forza luminosa della sua prosa e del suo teatro, fatti di poche azioni e gesti essenziali, ma che non di rado rinviano ad altro, nutriti da un anelito metafisico in grado di far vivere al lettore e allo spettatore un’autentica esperienza interiore.

Ad annunciare il Premio, «per le innovative opere drammaturgiche e la prosa che danno voce all’indicibile», è stato il segretario permanente dell’Accademia Mats Malm, il quale ha raccontato di avere raggiunto Fosse al telefono mentre stava guidando nelle campagne nei dintorni di Bergen, nella Norvegia sud-occidentale, e che l’autore gli ha promesso che avrebbe proseguito con prudenza fino a casa. Il nome di Fosse — autore anche di racconti, poesie, saggi, traduzioni e libri per bambini, oltre che di romanzi e opere teatrali tra le più rappresentate al mondo — circolava già alla vigilia tra i possibili vincitori. E, infatti, «sono stato sorpreso, ma allo stesso tempo non troppo» ha commentato l’autore con l’emittente norvegese Nrk. Anche se poi ha aggiunto: «Negli ultimi dieci anni mi ero cautamente preparato al fatto che potesse accadere. Ma non mi aspettavo di ricevere il Premio oggi, anche se c’era una chance». Fosse ha poi diffuso una nota attraverso la sua casa editrice di Oslo, Samlaget: «Sono commosso e grato. È un premio alla letteratura che vuole innanzitutto essere letteratura, senza altre considerazioni«.

Una frase in cui c’è molto di lui e delle sue idee. Se nella sua opera Fosse abbraccia le contraddizioni del vivere e le domande più scottanti — la solitudine, l’ansia e l’invecchiare, la morte, il senso del tempo e dell’arte, la ricerca di Dio — resta però sempre salda la fiducia nella letteratura come strumento d’indagine sul senso ultimo delle cose. «La letteratura è immaginazione. La sua essenza ha a che fare con ciò che la separa dalla realtà, con la trasformazione della realtà, con la creazione di un universo fatto di forma e contenuto, che così, a sua volta, ti fa guardare la realtà in modo nuovo». A partire da questa visione, Fosse si era anche detto contrario a un certa recente influenza delle «politiche dell’identità» sulla letteratura; così come lontano dall’autofiction, che invece tanta fortuna ha portato a un altro norvegese illustre, Karl Ove Knausgård, allievo del neo-Nobel quando insegnava all’Accademia di scrittura di Hordaland. Negli anni scorsi Fosse ha pure spiegato di non condividere l’assegnazione del Nobel a personalità come Dario Fo e Bob Dylan, lontane dalla figura del letterato «puro», mentre in un dialogo con il «Corriere» alla Buchmesse 2019, poco dopo il Premio a Peter Handke, difese quella scelta in nome della separazione tra arte e politica.

Nato nel 1959 a Haugesund, nella regione dei fiordi, nel sud-ovest della Norvegia, Fosse ha ottenuto la residenza per meriti letterari nell’edificio reale di Grotten, a Oslo, ma si divide con l’Austria, dove possiede una casa con la seconda moglie di origine slovacca. A 7 anni rischiò di morire in un incidente, episodio che lo segnò; mentre più avanti si laureò in Letterature comparate all’Università di Bergen. L’esordio narrativo risale al 1983 con il romanzo Raudt, svartRosso, nero»); quello drammaturgico al 1992 con Qualcuno arriverà. Il titolo, ha chiarito l’autore, nacque in contrapposizione ad Aspettando Godot di Samuel Beckett: gigante al quale è stato paragonato e di cui Fosse stesso ammette l’influenza ma, proprio per questo, la contestuale esigenza di «ribellarsi, come un figlio al padre». Con il poeta austriaco Georg Trakl e lo scrittore norvegese Tarjei Vesaas, gli altri debiti letterari dichiarati. Nella vasta e poliedrica produzione di Fosse, nel 1995 arriva Melancholia: dittico di monologhi di cui è protagonista il pittore norvegese Lars Hertervig. Su intuizione di Sandro Veronesi, l’opera viene pubblicata nel 2009 in Italia da Fandango, che due anni dopo replica con la favola moderna Insonni. Nel 2006, invece, Rodolfo Di Giammarco aveva curato il volume Teatro (Editoria e Spettacolo), che contiene opere di Fosse come E la notte canta (1997) e La ragazza sul divano (2002). Una rappresentazione di quest’ultima, diretta da Valerio Binasco, principale interprete italiano di Fosse, debutterà il 5 marzo al Carignano di Torino. È invece con Settologia, impresa narrativa di oltre 1.200 pagine senza mai un punto, divisa in 7 parti, che Fosse firma probabilmente il capolavoro narrativo. In Italia l’editore è La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi che pubblicherà tutto il catalogo dell’autore: il primo libro, L’altro nome, è uscito nel 2021; il secondo, Io è un altro, che il «Corriere» ha letto in anteprima, arriverà il 10 ottobre; il terzo nel 2024. Ha detto Fosse: «È un lavoro in cui confluiscono temi e modi di tutta la mia produzione, ma in una luce nuova».

Il protagonista è Asle, un pittore anziano, ex bevitore, che conta solo sull’amicizia di un altro Asle, di fatto un suo doppio, e di un pescatore. Scarna la trama, in un paesaggio norvegese di mare e di neve. Lenta e avvolgente, mistica, la prosa. Quasi una preghiera, fatta di flashback, ripetizioni e visioni, mentre il protagonista scivola tra presente e passato, riflettendo sul senso dell’arte, della religione, della vita. Nulla a che vedere con un romanzo tradizionale. Ha spiegato Fosse: «Cercavo una prosa lenta — ha spiegato Fosse —, così smisi con il teatro, e smisi di bere. Anche se poi, alla drammaturgia, sono tornato». Per quanto rifugga dall’autobiografismo, come Asle anche Fosse è stato un bevitore e ha raccontato di avere smesso una decina di anni fa: «Non scrivo mai per parlare di me ma per liberarmene. Da questo punto di vista, la scrittura somiglia al bere. Ecco perché forse non ho mai scritto così tanto come dopo avere smesso con l’alcol. La letteratura può essere una forma di sopravvivenza». Una svolta è anche la conversione al cattolicesimo, intorno al 2012: «Da giovane ero ateo. Poi proprio la scrittura, il chiedermi che cosa la determinasse, mi ha fatto uscire dal mio confortante ateismo. Ho iniziato a credere in ciò che può essere chiamato Dio. Ora, dopo un lungo viaggio, sono un cristiano praticante». Anche in questo caso, un percorso condiviso con il personaggio di Asle. Il quale nel libro riflette: «Considerarsi cattolici non è soltanto una questione di fede, ma è un modo di vivere la propria vita e nel modo che può somigliare all’essere un artista (…), perché entrambi creano, per dirla così, una certa distanza dal mondo mentre al contempo indicano qualcos’altro, qualcosa che è presente nel mondo (…) e qualcosa di lontano dal mondo, qualcosa di trascendente». Come fa la scrittura di Fosse.

6 Ottobre 2023

Il Premio Nobel per la Letteratura Jon Fosse e quel legame con Imola

Luca Balduzzi, «il Nuovo Diario Messaggero»

È un po’ imolese il Premio Nobel per la letteratura che l’Accademia svedese di Stoccolma ha assegnato allo scrittore e drammaturgo norvegese Jon Fosse, «per le sue opere teatrali e la prosa innovativa che danno voce all’indicibile». A pubblicare le sue opere nel nostro Paese, infatti, ha contribuito anche la casa editrice Cue Press di piazzale Pertini.

Il catalogo della casa editrice comprende tre libri dello lo scrittore e drammaturgo: Teatro, una raccolta dei suoi primi testi teatrali (Qualcuno verrà del 1992-1993, E non ci separeremo mai del 1994, e Il nome del 1995); Caldo, un altro testo teatrale del 2005; e Saggi gnostici, una raccolta di testi teorici scritti fra il 1990 e il 2000. Prima di ricevere il Premio Nobel in Svezia, in patria Fosse si è visto riconoscere i propri meriti letterari in una maniera decisamente molto particolare: nel maggio del 2011 il re Harald V gli ha concesso di vivere nella residenza onoraria di Grotten ai margini del parco del Palazzo reale, nella capitale Oslo.

Collegamenti

6 Ottobre 2023

Nobel a Jon Fosse. Custodire il mistero

Oliviero Ponte Di Pino, «Doppiozero»

Come spesso accade quando viene annunciato il Nobel per la Letteratura, molti intellettuali italiani, prima di buttarsi su Google, si chiedono: «Fosse chi? Ma come lo danno questo premio?». Chi frequenta i teatri dell’esistenza dello scrittore norvegese era informato almeno da una ventina d’anni, da quando cioè i suoi testi vengono rappresentati e pubblicati in Italia con una certa assiduità.

In Italia il nome di Jon Fosse è arrivato grazie alla sensibilità e alle recensioni di un «critico europeo» come Franco Quadri. E nel 2001 era arrivato a Viterbo, ospite del festival I Quartieri dell’Arte. Già all’epoca risiedeva, per meriti letterari, nella residenza reale di Grotten, a Oslo, raccoglieva premi e veniva tradotto in decine di lingue. Compreso l’italiano. Nel 2006 Editoria e Spettacolo raccoglieva un primo volume di Teatro (Qualcuno arriverà, E la notte canta, Sogno d’autunno, Inverno, La ragazza sul divano, Il drammaturgo). Nel 2012 Titivillus pubblicava Tre drammi (Variazioni di morte, Sonno, Io sono il vento, traduzione e cura di Vanda Monaco Westerståhl) e il saggio «sulla drammaturgia di Jon Fosse» di Leif Zern, Quel buio luminoso.

Fosse ha vinto il Nobel «per le sue opere teatrali e la sua prosa innovativa che danno voce all’indicibile». Nell’attuale scenario culturale il teatro non è dunque così marginale, se viene prima dei romanzi… Sono a Lecce, per l’inaugurazione del LAFLIS (Living Archive Floating Islands), nato per volontà di Eugenio Barba e di Julia Varley. Prima di trasferirsi a Holstebro, in Danimarca, Barba aveva fondato l’Odin Teatret a Oslo. A questa tre giorni leccese partecipano dunque alcuni giornalisti e artisti norvegesi. La notizia non li ha sorpresi: «Era da più di dieci anni che ce l’aspettavamo». Sono ovviamente felici, ma per loro è un atto dovuto a un grande artista.

L’eccellenza sulle scene mondiali del norvegese Fosse e dello svedese Lars Norèn ricorda la coppia composta più di un secolo prima dal norvegese Henrik Ibsen e dallo svedese August Strindberg (di cui Adelphi ripubblica in questi giorni la tormentata autobiografia Inferno, a cura di Luciano Codignola). E tra queste due coppie scandinave naturalmente giganteggia come trait d’union Ingmar Bergman. (E oggi c’è Klaus Ove Knausgaard: Fosse fu il suo docente di scrittura creativa e gli stroncò una poesia). In realtà alla drammaturgia Fosse, romanziere e saggista, ci è arrivato piuttosto tardi, per guadagnare qualche soldo. Il teatro non lo interessava, e anzi, lo irritava. Però apprezzò subito i limiti della scrittura teatrale: «Di natura, sono sempre stato una sorta di minimalista e, per me, il teatro è di per sé una sorta di forma d’arte minimalista, con molte strutture costitutive minimaliste: uno spazio limitato, un lasso di tempo limitato e via dicendo. Con mia grande sorpresa, quando la prima volta mi sono impegnato a stendere un dramma, ho scoperto che mi piaceva molto scrivere le didascalie o il dialogo, che poteva significare quanto o anche più di quello che viene detto, forse persino l’opposto di quello che viene detto, senza essere ironico. E dopo avere scritto il mio primo dramma, mi sentivo sicuro di avere scritto un buon testo, sebbene fossi assai incerto se potesse funzionare sulla scena» (Jon Fosse, Saggi gnostici, Cue Press, 2019, p. 69). Infatti per diversi anni ha praticamente smesso di scrivere romanzi. La sua scrittura teatrale, rarefatta e allusiva, si nutre della bravura degli attori e delle attrici.
A risuonare, in quelle frasi semplici, in quelle ellissi, in quei silenzi, ci sono la bellezza, la malinconia, l’orrore della vita, gli enigmi e gli abissi che custodiamo e che non possiamo affrontare direttamente senza cadere in una banalità burattinesca. La psicologia è un imbuto, una trappola di spiegazioni. La scrittura di Fosse invece sa custodire il mistero, e al tempo stesso ce lo trasmette.

L’altro straordinario punto di forza della scrittura di Fosse è la sua musicalità. Da ragazzo suonava in una band; il nesso tra la musica e la scrittura è molto forte: «Dal rock al testo, da ore a improvvisare alla chitarra a quelle dietro la macchina da scrivere, e poi alla tastiera di un pc. Suonare per ore, senza che nessuno ascolti. Solo noi della band. Quasi sempre andava così, sempre a provare, pochi concerti. Sia la mia musica sia la mia scrittura sono stati in generale per me stesso, e forse il più delle volte un tormento per gli altri» (Jon Fosse, Essay, 2011, pp. 238-39).

Sono diversi gli allestimenti italiani dei suoi testi, anche apprezzati, ma senza sfondare la bolla teatrale, tra cui Inverno, regia di Valter Malosti, con Michela Cescon, per il Teatro di Dioniso, Premio Ubi 2004 per il miglior testo straniero; La notte… canta, regia di Beno Mazzone al Teatro Libero di Palermo nel 2004; Je suis le vent, con la regia di Lukas Hemleb, con Luca Lazzareschi e Giovanni Franzoni nel 2014. È stato anche oggetto di un progetto giovane, come il Trittico allestito nel 2015 al Teatro di Roma, registi Thea Dellavalle (Suzannah), Alessandro Greco (Io sono il vento) e Vincenzo Manna (Inverno). Il jolly l’ha pescato l’ostinato Valerio Binasco, che nel marzo 2024 dirigerà Pamela Villoresi, Michele di Mauro e Giovanna Mezzogiorno in La ragazza sul divano per lo Stabile di Torino, dopo aver allestito Qualcuno arriverà (2007), E la notte canta (2008), Un giorno d’estate (2008), Sonno (2010) e Sogno d’autunno (2017).

Fosse è nato nel 1959 a Haugesund, sulla costa norvegese affacciata sul Mare del Nord. Anche la lingua dei testi teatrali non è facile: «Non è il norvegese che parlano a Oslo», spiega Franco Perrelli, autore di traduzioni e prefazioni per Cue Press, la casa editrice che più si è impegnata negli ultimi anni per far conoscere il teatro di Fosse, pubblicando Caldo (2019) e i tre testi del volume Teatro (E non ci separeremo mai, Qualcuno verrà, Il nome, 2023), oltre che i Saggi gnostici (2008). Perrelli, storico del teatro, anche lui a Lecce per festeggiare l’Odin Teatret, spiega che quella di Fosse «È una lingua che usano in campagna. È un grande scrittore, difficile da tradurre».

È stato peraltro lo stesso scrittore a interrogarsi sul complesso rapporto tra il nynorsk (il neonorvegese), la forma più diffusa della lingua, e il bokmål, più vicino ai dialetti norvegesi orientali. Il legame con la terra d’origine resta intenso: «Com’è noto, l’arte non è la massima espressione della cultura, anzi arte e cultura stanno agli antipodi: l’arte è pura materialità, la cultura è necessariamente falsa socialità, che fa sì che uno scrittore di Drammen possa essere pure di Parigi. Quando affermo che appartengo alla costa occidentale della Norvegia, corro forse il rischio di diventare ‘culturale’ all’incirca come il citato scrittore di Drammen, ma intanto non posso, se debbo essere onesto – e vorrei esserlo – affermare nient’altro che il mio posto, la mia terra, è la costa occidentale della Norvegia» (Jon Fosse, Essay, p. 320). In quella regione sono ambientati anche molti dei suoi romanzi. Senza mai essere esplicitamente autobiografici, raccontano con spietata lucidità i rapporti affettivi e i legami interpersonali, fino alle pulsioni più oscure, scavando nel profondo. In Italia tra i suoi romanzi sono stati tradotti da Fandango Melancholia (2009, dedicato al pittore ottocentesco Lars Hertervig e alla sua incapacità di vivere) e Insonni (2011).

Negli ultimi anni la sua narrativa è stata ripresa dalla Nave di Teseo. Il protagonista di Mattino e sera (2019), il pescatore Johannes, è sdoppiato in un confronto tra il sé bambino e il sé ormai avviato alla fine. E sono usciti i primi due volumi della sua Settologia, nel 2021 L’altro nome, parti I-II, e nel 2023 Io è un altro, parti III-V (2023). Del resto, il tema dell’incontro con l’altro è centrale nell’esercizio solitario della scrittura, contrapposta al «discorso», e vissuta come un’esperienza di mistica negativa: «Almeno per me, esiste un nesso, per esprimermi un po’ imprecisamente, fra ciò che altri provano in diverse congregazioni religiose (c’è pure chi afferma di provare certe esperienze nella natura), e quel che io stesso posso provare quando scrivo; in altri termini, è la scrittura che mi ha aperto la prospettiva religiosa e mi ha trasformato in una persona religiosa, e alcune delle mie esperienze più profonde possono, come ho compreso a poco a poco, essere definite esperienze mistiche. E queste esperienze mistiche sono connesse alla scrittura. Per quanto mi riguarda, né ciò di cui ho fatto esperienza della vita né ciò di cui ho fatto esperienza della morte mi ha smosso dal mio tranquillo ateismo; la scrittura invece l’ha fatto, giorni e anni di scrittura, giorni e anni totalmente a confronto con lo scritto; nei momenti felici, non a confronto, ma dentro lo scritto. È la scrittura che mi ha trasformato e ha dissolto la mia riprovevole certezza, sostituendola con un’umile sicurezza di essere consegnato all’altro e nelle mani di quel ch’è altro. Ciò che io sono, io stesso, è quindi un io nella condizione della grazia dell’uno e di quel ch’è altro» (Jon Fosse, Saggi gnostici, p. 23).

Questo atteggiamento porta con sé un paradosso. Dopo aver letto Bachtin, il teorico del romanzo polifonico, Fosse dice di essere «[…]arrivato alla concezione che il romanzo sia una specie di dialogo con il narratore, lo scrittore e il personaggio in quanto voci in uno scritto che non è espresso da una voce sola, ma da diverse simultaneamente. Nel discorso è possibile soltanto una voce alla volta, altrimenti sarebbe il caos, mentre la scrittura romanzesca rende possibile parecchie voci alla volta senza creare il caos […]. Questa pluralità conferisce al romanzo la propria voce, una voce che una volta ho definito la voce della scrittura, perché le differenti voci del romanzo compongono un’espressione […]. Il romanzo è un’espressione peculiare, essendo una voce della scrittura dalle molteplici voci» (Jon Fosse, Saggi gnostici, p. 27).

Proprio per questo la scrittura romanzesca si trova intrappolata in un paradosso che la rende inevitabilmente ironica: «Narratore e personaggio stanno in reciproca relazione dialogica; a questo dialogo prende parte anche lo scrittore e, all’interno di questo dialogo, che è reso possibile dalla scrittura, sorge l’ironia del romanzo, dove il significato appare e si dilegua in un modo che non può essere restituito oralmente e che è sospinto dall’indefinibile dinamica della scrittura» (Jon Fosse, Saggi gnostici, p. 49). L’ironia incarna insieme la nostalgia e la promessa del significato: per questo nel romanzo – e nella sua malinconia – risuona ancora la morte di Dio, ovvero del significato: «La letteratura diventa la mistica del mondo secolarizzato. Lo scrittore diventa il mistico ascetico del mondo secolarizzato» (Jon Fosse, Saggi gnostici, p. 55).

Nella lotta di Fosse con la scrittura riecheggia la dialettica con Ludwig Wittgenstein e con la frase finale del Tractatus logico philosophicus: «Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Forse non è un caso che l’inquieto filosofo austriaco, ormai trasferitosi a Cambridge, tra il 1913 e il 1914 abbia cercato pace in una baita su un declivio montano di Skjolden, con vista su un fiordo, dove ritirarsi a scrivere in solitudine. O meglio, come spiegava, a «occuparsi di logica, fischiettare, andare a spasso e deprimersi». Con la sua opera Jon Fosse, citando Derrida (ed evocando Beckett), dimostra che «ciò che non può essere detto, deve essere scritto».

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5 Ottobre 2023

Chi è Jon Fosse, il vincitore del Premio Nobel per la Letteratura

Redazione Web, «L’Unità»

Il Premio Nobel per la Letteratura 2023 è stato assegnato dall’Accademia di Svezia all’autore norvegese Jon Fosse «per le sue opere teatrali e la prosa innovativa che danno voce all’indicibile». Lo scrittore e poeta è nato il 29 settembre 1959 a Haugesund, un piccolo villaggio sulla costa occidentale norvegese, crescendo a Strandebarm, sullo spettacolare fiordo di Hardanger. Fosse è considerato un maestro della letteratura scandinava, oltre che autore emblematico della scena teatrale contemporanea. Si è laureato all’Università di Bergen in letteratura comparata e da allora ha iniziato a dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, insegnando a lungo all’Accademia di scrittura di Hordaland. Oggi vive nella residenza onoraria di Grotten, a Oslo, concessagli dal re di Norvegia per i suoi meriti letterari che lo hanno reso famoso a livello internazionale.

Chi è Jon Fosse, il vincitore del Premio Nobel per la Letteratura

Fosse è uno scrittore incredibilmente prolifico e un intellettuale poliedrico, tra le voci più significative della drammaturgia contemporanea, tanto da guadagnarsi il soprannome di «Samuel Beckett del XXI secolo». Ha esordito nella scrittura nel 1983 con il romanzo Raudt, svart;(Rosso, nero), sperimentando successivamente generi e stili eterogenei, quali la narrativa breve, la poesia, la saggistica e la letteratura per l’infanzia. Le sue opere sono state tradotte in oltre quaranta lingue, compreso l’italiano. I primi riconoscimenti arrivano a Fosse già agli inizi degli anni Novanta, soprattutto per i suoi racconti per l’infanzia. Nel 1996, oltre a ricevere diversi riconoscimenti per le sue opere in prosa, vince per la prima volta il prestigioso Premio Internazionale Henrik Ibsen (lo vincerà nuovamente nel 2010).

La biografia e la carriera

Da allora, la sua attività artistica è stata costantemente accompagnata da una ricca messe di riconoscimenti, che lo portano ad aggiudicarsi, tra gli altri, il Nynorsk Literature Prize, lo Swedish Academy’s Nordista Pris, il Premio Ubu, l’European Prize for Literature. Nel 2005 viene nominato Commendatore dell’Ordine reale norvegese di Sant’Olav e nel 2007 la Francia gli conferisce l’Ordine Nazionale al Merito. Nel 2015 l’Università di Bergen, che lo vide giovane laureato nel 1987, gli ha attribuito il dottorato honoris causa e nello stesso anno ha vinto il Nordic Council’s Literature Prize. Nel 2016 è stato insignito del Premio Willy Brandt, che ha sancito il successo di Fosse in Germania, dove è ampiamente tradotto e dove registi di primo piano, come Thomas Ostermeier, lo hanno più volte portato sulle scene con grande sensibilità e successo.

Dall’università, all’insegnamento, al teatro

I suoi testi teatrali sono stati messi in scena in tutto il mondo, affermandosi come autore di opere di struttura frugale che danno voce, con lucida analisi, al disagio che scaturisce dalle barriere comunicative poste tra gli uomini e le donne della nostra epoca, tra figure d’età diverse, tra persone disunite da vincoli famigliari, tra soggetti vivi e ombre. Già nel suo primo dramma Nokon kjem til å komme (Qualcosa sta per arrivare, 1992-93) è compiutamente espressa la cifra stilistica di Fosse, caratterizzata da una scrittura scarna e spietata, pronta a cogliere tutte le contraddizioni del linguaggio e delle reti relazionali, indagando temi quali la labilità della comunicazione, il divario generazionale e la precarietà dei rapporti familiari e di coppia. Autore del poderoso dittico sul pittore norvegese ottocentesco Lars Hertervig Melancholia (1995-96; traduzione italiana da Fandango Libri nel 2009), tra i romanzi più famosi di Fosse spicca Insonni (Fandango Libri 2011), una favola moderna dai toni dolci in cui i piccoli protagonisti, due creature simili all’Hansel e Gretel della fiaba, assistono impotenti alla crudeltà del giudizio con il cuore ancora pieno di speranza per quel miracolo che è la vita.

Letteratura e poesia

Come autore di intensi drammi tra i numerosi altri figurano Natta syng sine songar (1998; traduzione italiana con il titolo E la notte canta da Editoria e Spettacolo nel 2002) e Eg er vinden (2007; traduzione italiana Io sono il vento; da Titivillus nel 2012; nello stesso volume compaiono anche Variazioni di morte e Sonno). Il volume Teatro di Jon Fosse («Editoria e Spettacolo», 2006) raccoglie sei drammi: Il nome (1995), Qualcuno arriverà (1996), E la notte canta (1998), Sogno d’autunno (1999), Inverno (2000), La ragazza sul divano (2002). Tra i suoi lavori più recentemente pubblicati in Italia figurano Morgon og kveld (2000; Mattino e sera, La nave di Teseo 2019) e il monumentale progetto letterario Det andre namnet: septologien I-II (2019; L’altro nome: settologia I-II, La nave di Teseo 2021). In italiano sono apparsi anche Saggi gnostici (a cura di Franco Perelli, Cue Press, 2018) e Caldo (Cue Press, 2018).

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5 Ottobre 2023

Il Nobel per la Letteratura va al norvegese Jon Fosse: «Sono sorpreso, ma non troppo»

Emanuela Minucci, «La Stampa»

Il Nobel per la letteratura è stato assegnato a Jon Fosse, 64 anni, scrittore e drammaturgo norvegese noto per il suo stile minimalista e lirico. Il quale, come primo commento, ha detto: «Sono sorpreso, ma non troppo». Le sue opere in Italia sono pubblicate da La nave di Teseo. La motivazione: «Per la sua prosa innovativa, che ha dato voce a chi non l’aveva».

Chi è Jon Fosse

Scrittore estremamente prolifico, classe 1959, autore di romanzi, teatro, saggistica, libri per bambini, Jon Fosse è conosciuto e apprezzato, in Italia, soprattutto come drammaturgo e, sebbene siano poche le opere tradotte, vi si riconosce quella continuità che egli stesso conferma di cercare. Tutti i suoi testi, infatti, a suo dire, parlano al di là dei generi, si adattano reciprocamente, si sviluppano l’uno nell’altro scambiandosi i temi e andando a formare un’unica grande opera. Nella parte più francamente saggistica, Fosse riconosce l’influenza fondamentale di Heidegger, la cui filosofia cercava di descrivere «l’esistenza», così come Fosse – tra i migliori del tardo modernismo europeo – cerca di cogliere la struttura fondante della vita.
Esordì nella scrittura nel 1983 ed è appunto reputato tra gli autori più significativi del teatro contemporaneo. Ha sperimentato diversi generi, dal racconto alla poesia, dalla saggistica ai libri per l’infanzia.
In un panorama letterario come quello norvegese, piuttosto dominato da un certo realismo spesso focalizzato sulle relazioni familiari, la scrittura di Fosse rimane piuttosto unica, se non perfino isolata. Profondamente poetica è la sua ricerca di ciò che è difficilmente esprimibile, della melodia nelle parole. Chi lo paragona a Ibsen si limita a accostamenti puramente geografici e nazionali, l’ispirazione letteraria più evidente – e anche dichiarata – è invece quella di Beckett: forse più nelle opere passate, tuttavia, mentre di recente si è fatto più forte il suo mettersi in rapporto con la tradizione attraverso l’inserimento nei testi di elementi formali e tematici della letteratura classica. Un giovane stregone nel 2019 è stato pubblicato dalla Nave di Teseo.

La vita

Nato il 29 settembre 1959 a Haugesund, un piccolo villaggio sulla costa occidentale norvegese, crescendo poi a Strandebarm, sullo spettacolare fiordo di Hardanger. Si è laureato all’Università di Bergen in letteratura comparata e da allora ha iniziato a dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, insegnando a lungo all’Accademia di scrittura di Hordaland. Oggi vive nella residenza onoraria di Grotten, a Oslo, concessagli dal re di Norvegia per i suoi meriti letterari che lo hanno reso famoso a livello internazionale. Fosse è uno scrittore incredibilmente prolifico e un intellettuale poliedrico, tra le voci più significative della drammaturgia contemporanea, tanto da guadagnarsi il soprannome di «Samuel Beckett del XXI secolo». Ha esordito nella scrittura nel 1983 con il romanzo Raudt, svart (Rosso, nero), sperimentando successivamente generi e stili eterogenei, quali la narrativa breve, la poesia, la saggistica e la letteratura per l’infanzia. Le sue opere sono state tradotte in oltre 40 lingue, compreso l’italiano.

I primi riconoscimenti

Già agli inizi degli anni Novanta a Jon Fosse arrivano i primi riconoscimenti, soprattutto per i suoi racconti per l’infanzia; nel 1996, oltre a ricevere diversi premi per le sue opere in prosa, vince per la prima volta il prestigioso Premio Internazionale Henrik Ibsen (lo vincerà nuovamente nel 2010); da allora, la sua attività artistica è stata costantemente accompagnata da una ricca messe di riconoscimenti, che lo portano ad aggiudicarsi, tra gli altri, il Nynorsk Literature Prize, lo Swedish Academy’s Nordista Pris, il Premio Ubu, l’European Prize for Literature. Nel 2005 viene nominato Commendatore dell’Ordine reale norvegese di Sant’Olav e nel 2007 la Francia gli conferisce l’Ordine Nazionale al Merito. Nel 2015 l’Università di Bergen, che lo vide giovane laureato nel 1987, gli ha attribuito il dottorato honoris causa e nello stesso anno ha vinto il Nordic Council’s Literature Prize. Nel 2016 è stato insignito del Premio Willy Brandt, che ha sancito il successo di Fosse in Germania, dove è ampiamente tradotto e dove registi di primo piano, come Thomas Ostermeier, lo hanno più volte portato sulle scene con grande sensibilità e successo. I suoi testi teatrali sono stati messi in scena in tutto il mondo, affermandosi come autore di opere di struttura frugale che danno voce, con lucida analisi, al disagio che scaturisce dalle barriere comunicative poste tra gli uomini e le donne della nostra epoca, tra figure d’età diverse, tra persone disunite da vincoli famigliari, tra soggetti vivi e ombre.

L’esordio nel dramma

Già nel suo primo dramma Nokon kjem til å komme(Qualcosa sta per arrivare, 1992-93) è compiutamente espressa la cifra stilistica di Fosse, caratterizzata da una scrittura scarna e spietata, pronta a cogliere tutte le contraddizioni del linguaggio e delle reti relazionali, indagando temi quali la labilità della comunicazione, il divario generazionale e la precarietà dei rapporti familiari e di coppia. Autore del poderoso dittico sul pittore norvegese ottocentesco Lars Hertervig Melancholia (1995-96; traduzione italiana da Fandango Libri nel 2009), tra i romanzi più famosi di Fosse spicca Insonni (Fandango Libri 2011), una favola moderna dai toni dolci in cui i piccoli protagonisti, due creature simili all’Hansel e Gretel della fiaba, assistono impotenti alla crudeltà del giudizio con il cuore ancora pieno di speranza per quel miracolo che è la vita. Come autore di intensi drammi, tra i numerosi altri figurano Natta syng sine songar(1998; traduzione italiana con il titolo E la notte canta da Editoria e Spettacolo nel 2002) e Eg er vinden (2007; traduzione italiana Io sono il vento da Titivillus nel 2012; nello stesso volume compaiono anche Variazioni di morte e Sonno). Il volume Teatro di Jon Fosse (Editoria e Spettacolo, 2006) raccoglie sei drammi: Il nome(1995), Qualcuno arriverà(1996), E la notte canta(1998), Sogno d’autunno (1999), Inverno(2000), La ragazza sul divano (2002).
Tra i suoi lavori più recentemente pubblicati in Italia figurano Morgon og kveld(2000; Mattino e sera, La nave di Teseo 2019) e il monumentale progetto letterario Det andre namnet: septologien I-II(2019; L’altro nome: settologia I-II, La nave di Teseo 2021).
In italiano sono apparsi anche Saggi gnostici(a cura di Franco Perelli, Cue Press, 2018) e Caldo(Cue Press, 2018).

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5 Ottobre 2023

Premio Nobel per la Letteratura 2023 a Jon Fosse

Raffaella De Santis, «la Repubblica»

A Stoccolma l’Accademia svedese ha annunciato il nuovo premio Nobel per la Letteratura 2023: si tratta del norvegese Jon Fosse. Nel 2022 il premio era andato alla scrittrice francese Annie Ernaux. La porta dell’Accademia si è aperta e il segretario Mats Malm ha pronunciato in una sala immersa nel silenzio il fatidico nome del vincitore: Jon Fosse. La motivazione: «Per le sue opere teatrali e di prosa innovative che danno voce all’indicibile». La reazione dello scrittore, raggiunto da una telefonata pochi minuti prima dell’annuncio, è stata di stupore: «Sono così felice e sorpreso. Non me lo aspettavo davvero». In realtà il suo nome era nelle ultime ore tra i favoriti dai bookmaker.

Classe 1959, scrittore, poeta e drammaturgo norvegese. Profilo ibrido, come piace agli accademici svedesi, per i quali la letteratura è un attraversamento largo di territori culturali, non una macchina esclusivamente romanzesca. Fosse è lo scrittore «totale» adatto ai palati esigenti dei giurati della Svenska Akademien, l’artefice di una scrittura paradossale che attraverso le parole insegue il silenzio, ciò che non è spiegabile, né nominabile. Sul sito del Nobel si legge che Fosse ha molto in comune con il norvegese Tarjei Vesaas: «Fosse combina forti legami locali, sia linguistici che geografici, con tecniche artistiche moderniste». Tra i suoi numi tutelari ci sarebbero Samuel Beckett, Thomas Bernhard e Georg Trakl. Attenzione però a scambiarlo per un pessimista. Gli accademici svedesi fanno notare che: «Sebbene condivida la visione pessimistica di tali predecessori, non si può dire che la sua particolare visione gnostica si traduca in un disprezzo nichilista del mondo. Anzi nel suo lavoro c’è un grande calore e humour e nelle sue crude immagini dell’esperienza umana c’è un’ingenua vulnerabilità».

Anders Olsson, poeta e presidente della Comitato Nobel incaricato di scegliere la shortlist dei finalisti, ha detto subito dopo l’annuncio che Fosse ha la capacità di toccare i nostri sentimenti più profondi, «ansie, insicurezze, domande sulla vita e sulla morte». La sua vittoria evoca quella di un altro genio poco ortodosso, Knut Hamsun, incoronato nel 1920. Scorrendo nella lista di premi ricevuti da Fosse, se ne rintraccia uno assegnato dall’Accademia svedese nel 2007. Certo per il Nobel era un’altra era geologica, prima dello scandalo che lo ha travolto nel 2018 e del nuovo assetto attuale. Nuovi giurati, nuovo corso.

La Norvegia nella sua storia ha vinto tre volte, l’ultima nel 1928 con Sigrid Undset. Quella di Fosse è la quarta vittoria a quasi un secolo di distanza. L’esordio letterario di Fosse è nel 1983 con Red, Black. Da quel momento Fosse smette di scrivere per il teatro per dedicarsi alla letteratura. Si deve alla Nave di Teseo la pubblicazione in Italia di recente di un paio di suoi lavori magistrali, Mattino e sera e L’altro nome. Settologia 1-2, opera fiume che prevede sette parti radunate in più volumi per un totale di oltre millecinquecento pagine. In Italia possiamo leggere al momento solo le prime due parti della Settologia, tradotte in italiano da Margherita Podestà Heir. Protagonista un pittore, Asle, che vive isolato su un fiordo della Norvegia occidentale accontentandosi di un’esistenza frugale e solitaria. Romanzo che procede per flashback, squarci che illuminano la vita di Asle. Una scrittura asciutta, che guarda al teatro, mai un punto, solo virgole. Pare non ci siano punti neanche negli altri volumi della serie.

La pubblicazione del secondo libro della Settologia (parti III e IV) per La Nave di Teseo esce in libreria il 10 ottobre col titolo Io è un altro, che evoca la fortunata citatissima formula di Rimbaud. Una Elisabetta Sgarbi commossa ha sintetizzato così in una intervista a caldo sul Libraio.it il romanzo-mondo di Fosse: «Racconta cosa significa essere vivi […] è un grande romanzo sul doppio, sull’arte e sulla morte». E ha ricordato che Fosse è stato acquistato dalla Nave di Teseo grazie all’agente letteraria Barbara Griffini. La scrittura come forma di preghiera laica, terra che con le parole rincorre il silenzio. Tra i pittori preferiti di Fosse c’è Rothko.

Tra gli altri titoli di Fosse tradotti in italiano ci sono: Melancholia (Fandango); Insonni (Fandango); Saggi gnostici (Cue Press); Caldo (Cue Press). Piccola curiosità: Fosse è un ammiratore dello scrittore australiano Gerhald Murnane, del quale ha tradotto in norvegese il romanzo The Fields (Le pianure). Che fossero entrambi tra i favoriti a questo Nobel disegna un campo di immaginazione letteraria preciso: la scrittura come necessità che non risponde ad esigenze commerciali ma è animata da un’ansia di conoscenza totale e destinata alla sconfitta. Sarà rimasto male Karl Ove Knausgard, altro autore di opere inarginabili, che da anni appare e scompare dalla top ten dei papabili. Tra l’altro i due condividono la stessa traduttrice in lingua italiana, Margherita Podestà Heir.

Fosse è considerato un gigante, i suoi lavori sono tradotti in quaranta lingue nel mondo. Vive nella residenza onoraria di Grotten, a Olso, datagli in affido dal re di Norvegia per i suoi meriti in campo letterario. È nato nel 1959 a Haugesund, villaggio della costa occidentale norvegese, ed è cresciuto a Strandebarm, sul fiordo di Hardanger.

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23 Agosto 2021

Dire luce. Una riflessione a due voci sulla luce in scena

Massimo Bertoldi, «Il Cristallo»

Nell’ambito della storiografia delle discipline dello spettacolo sono veramente pochi gli studi dedicati all’illuminazione scenica. Probabilmente incide il prevalere storico della concezione testocentrica che orienta l’attenzione primaria sulla parola e sul movimento degli attori all’interno di una cornice scenografica. Tuttavia nel corso del Novecento sono maturate fondamentali esperienze artistiche che hanno trasformato il supporto illuminotecnico […]
6 Agosto 2021

Il segno di Ustica. L’eccezionale percorso artistico nato dalla battaglia per la verità

Massimo Bertoldi, «Il Cristallo»

Il segno di Ustica è un libro molto importante e per diversi motivi: da un lato, conserva la memoria del 27 giugno 1980 quando un Dc-9 dell’Itavia con ottantuno persone a bordo precipita in mare non per «cedimento strutturale» ma per essere stato abbattuto nel corso di un’azione di guerra tra aerei di diverse nazioni, […]
2 Agosto 2021

Enriquez: trent’anni di successi, dalla prosa all’Opera. I primi debutti al Piccolo. Poi in TV. E la Compagnia dei Quattro

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Franco Enriquez (1927- 1980) è nato sei anni dopo Strehler, eppure, quando collaborò con lui, come assistente, credette di avere a che fare con un vecchio maestro, avendone intuito la grandezza. Era stato anche assistente di Visconti, ma lui si sentiva più vicino al fondatore, insieme a Grassi, del Piccolo Teatro, dove potrà vivere i […]
23 Luglio 2021

Ruan Lingyu, la diva che lasciò cinque chilometri di disperati

Emiliano Morreale, «Il Venerdì di Repubblica»

Un tempo cinema voleva dire, per noi, Europa e Stati Uniti. La globalizzazione ci ha insegnato da qualche tempo a modificare le nostre prospettive: il mercato indiano o quello cinese sono ormai importanti quanto quello americano, da cui però ancora dipendiamo, e anche nel mondo dei divi le cose stanno così. Se alcune star cinesi […]
19 Luglio 2021

Getta il libro, stringimi

Marina Fabbri, «L’indice», XXXVIII-7/8

Lodevole impresa quella di fornire finalmente al lettore italiano la traduzione di un’opera a tratti criptica nella sua complessità ma certamente affascinante. Akropolis è un testo poetico concepito per il teatro nel 1904 da Stanisław Wyspiański, drammaturgo e teorico del teatro, artista visivo, forse il maggiore esponente del modernismo in Polonia. Un saggio dello storico […]
19 Luglio 2021

Performance: rito o teatro? Ma diventa arte, se dalla vita passa al sublime della scena. Vedasi anche Grotowskij

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Dopo Introduzione ai Performance Studies, di Richard Schechner, con prefazione di Marco De Marinis, a cura di Dario Tomasello, Cue Press pubblica un volume dello stesso Tomasello e di Piermario Vescovo: La performance controversa. Tra vocazione rituale e vocazione teatrale, nel quale, i due autori, il primo docente di Storia della Performance, all’Università di Messina, […]
2 Luglio 2021

In bilico tra abissi, rive e seduzioni. Viaggio tra gli scritti di Vachtangov

Angela Forti, «Teatro e Critica»

Dopo gli scritti di Mejerchol’d (Cultura non è star sopra un albero. Mejerchol’d e il teatro dell’avvenire), Fausto Malcovati ci accompagna nella lettura dei brevi, frammentari scritti E. B. Vachtangov, personaggio forse meno popolare negli studi teatrali, ma pur sempre nodale nello sviluppo del teatro russo del primo Novecento. Il sistema e l’eccezione, pubblicato da […]
25 Giugno 2021

Memoria Ustica. Quarantun’anni fa la strage. In un libro le interviste agli artisti che non hanno mai smesso di interrogarsi

Massimo Marino, «Corriere di Bologna»

Gli anni passano, scorrono gli anniversari, ma la voglia di conoscere la verità non viene meno. L’anno scorso la cifra era tonda: quarant’anni dalla strage di Ustica, quest’anno sono quarantuno. Il 27 giugno 1980 cade un Dc-9 dell’Itavia con ottantuno persone a bordo. Non si tratta di «cedimento strutturale» né di esplosione interna: la verità, […]
23 Giugno 2021

Il segno degli artisti per Ustica. Andrea Mochi Sismondi ha raccolto decine di interviste a chi ha reso unico il Museo della Memoria

Brunella Torresin, «la Repubblica»

Chi è stato, chi ha abbattuto l’aereo civile in volo da Bologna a Palermo la sera del 27 giugno 1980, non lo sappiamo ancora. Sono trascorsi quarant’un anni, domenica ricorre l’anniversario della strage di Ustica e le domande, non meno dolorose né meno urgenti, si rinnoveranno poi, di sera in sera, lungo il calendario d’iniziative […]
21 Giugno 2021

Strehler, inno alla luce artigianale. Svoboda, gloria alla tecnologia. Solo Wilson trattò la luce come una protagonista

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Negli anni Settanta, mentre Strehler rivendicava la potenza della luce, grazie alla professionalità dell’elettricista, perché odiava quella computerizzata, mentre Svoboda creava le sue scenografie con l’uso della luce e dei mezzi informatici, lasciando, entrambi, lo spazio alla parola dello scrittore, Robert Wilson fece in modo che la luce assumesse un linguaggio assolutamente autonomo, fino a […]
13 Giugno 2021

Mentre c’è chi afferma che l’Università italiana mortifica il merito, il Dipartimento di Discipline Umanistiche dell’Università di Catania, visto il successo di due ricercatrici, dimostra il contrario

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Il Dipartimento di Discipline umanistiche dell’Università di Catania è diventato una fucina di giovani ricercatori nell’ambito dell’Art Visual , della Performing Art e della drammaturgia, in genere, tutti lavorano attorno alla rivista «Arabeschi». Sulle pagine di questo giornale ci siamo occupati della ricercatrice: Laura Pernice, autrice di Giovanni Testori sulla scena contemporanea, uno studio accurato […]
13 Giugno 2021

Bentoglio, la rivoluzione teatrale di ‘re’ Giorgio

Pierachille Dolfini, «Avvenire»

Forse se lo sentiva. Forse Giorgio Strehler, il 23 dicembre del 1997, sentiva che quella sarebbe stata la sua ultima prova di sempre, sulle assi di un palcoscenico. Perché, lui che provava i finali dei suoi spettacoli solo all’ultimo momento, quel giorno, prima della pausa per il Natale, aveva voluto imbastire l’ultima scena del suo […]
7 Giugno 2021

Titina, macché ruolo marginale. La sua ironia? Uno stile personale tra un Eduardo umoristico e un Peppino farsesco

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Il Dipartimento di Discipline umanistiche dell’Università di Catania è diventato una fucina di giovani ricercatori nell’ambito dell’Art-Visual, della Performing-Art e della drammaturgia, in genere, tutti lavorano attorno alla rivista Arabeschi. Sulle pagine di questo giornale ci siamo occupati della ricercatrice Laura Pernice, autrice di Giovanni Testori sulla scena contemporanea, uno studio accurato sull’autore di Novate […]
5 Giugno 2021

Magia della luce che tutto crea e tutto distrugge

Franco Marcoaldi, «la Repubblica»

A chi fa della facile ironia sui presunti echi new age di quanti individuano nella luce l’energia suprema e sacra che a tutto sovrintende e a cui è giusto inchinarsi, sarà bene ricordare che in avvio della Bibbia leggiamo «fiat lux» e nel Corano «luce su luce». Senza contare poi che sinonimo di nascita è […]
1 Giugno 2021

In forma di quadro. Note di iconografia teatrale

Massimo Bertoldi, «Il Cristallo»

La confezione editoriale del volume In forma di quadro. Note di iconografia teatrale di Renzo Guardenti presenta 148 pagine che raccolgono saggi compilati dallo studioso fiorentino lungo vent’anni di ricerca e poi un corpo di 167 figure di supporto non decorativo, ma funzionale in quanto strumento necessario per lo studio dei rapporti intercorrenti tra teatro […]
9 Maggio 2021

The Global City: presentazione del libro e intervista a Simona Frigerio

Matteo Carriero​, «LibriNews»

Raccontare il lavoro della Compagnia Instabili Vaganti significa addentrarsi nel loro mondo, cosparso della polvere del palcoscenico ma costruito su quattro continenti. Un viaggio che da Genova si sposta, nel tempo e nello spazio, rievocando sprazzi di storia – come il ’68 a Città del Messico – ma sollecitando, nel contempo, un confronto continuo con […]
7 Maggio 2021

Il teatro di Totò dal 1932 al 1946 in un prezioso libro a cura di Goffredo Fofi

Irene Antonella Marcon, «Caleno24Ore»

In questo prezioso libro a cura di Goffredo Fofi viene raccolto Il teatro di Totò (Cue Press, 269 pagine, 34,99 Euro) del periodo 1932-1946. Prima di divenire nel cinema un impareggiabile attore comico, Totò fu – negli Anni Trenta – uno dei massimi interpreti del teatro della tradizione popolare napoletana. Nel volume i lettori troveranno […]
4 Maggio 2021

Vincenzo Blasi, Teatri greco-romani in Italia

Diana Perego, «Drammaturgia»

Il volume di Vincenzo Blasi è dedicato a Khaled al-Asaad, l’archeologo siriano giustiziato nel 2015 dai miliziani jihadisti per essersi rifiutato di rivelare dove fossero nascosti i tesori di Palmira, il cui teatro romano fu poi parzialmente distrutto il 21 gennaio 2017. A partire da questo tragico avvenimento l’autore esprime «l’attaccamento ad un concetto di […]
1 Maggio 2021

20 lezioni su Giorgio Strehler di Alberto Bentoglio

Michele Olivieri, «La Nouvelle Vague Magazine»

L’esaustivo libro, pubblicato da Cue Press nella collana I saggi del teatro (393 pagine), si rivela uno stimolante saggio rivolto a coloro che desiderano conoscere ed approfondire l’opera del grande Maestro triestino. La monografia raccoglie le lezioni che l’autore, durante i mesi di lockdown dovuti all’emergenza sanitaria, ha tenuto a distanza per il suo corso […]
26 Aprile 2021

In forma di quadro. Note di iconografia teatrale

Lorena Vallieri, «Drammaturgia»

«L’iconografia teatrale è una delle grandi questioni irrisolte della storiografia sullo spettacolo» (p. 11). È questo l’assunto di partenza del recente volume di Renzo Guardenti: una raccolta di saggi scritti nell’arco di quasi vent’anni dedicati ai temi e ai problemi legati all’utilizzo delle immagini come fonte per indagare e comprendere le arti della scena. A […]
19 Aprile 2021

Quando le pièces di Strehler si «scoprivano» in altri teatri

Andrea Bisicchia, «il Giornale»

Non molti sanno che il nonno e il padre di Strehler fossero stati impresari e organizzatori del Politeama Rossetti, del Verdi e della Fenice di Trieste. Tutti sanno che la mamma era una celebre violinista che, per lavoro, si era dovuta trasferire col figlio Giorgio a Milano, dove il ragazzo di appena sette anni comincerà […]