Sergio Blanco: Autofinzione. L’ingegneria dell’io e Teatro
Nicola Arrigoni, «Sipario»
«Nella scrittura dell’io trovo un’opportunità di dirmi, la possibilità di costruire il mio racconto e di andare incontro agli altri. Non smetterò mai di ripeterlo: scrivo su di me perché sono solo e ho bisogno di incontrare gli altri. Scrivo su di me nel tentativo di capire me stesso e gli altri. Scrivo su di me proiettandomi in situazioni immaginarie, ne tentativo di decifrare il mondo».
È quanto scrive Sergio Blanco nel volume Autofinzione. L’ingegneria dell’Io, volume pubblicato con fiuto e tempestività editoriali da CuePress di Mattia Visani insieme alla raccolta dei testi teatrali: Tebas Land, L’ira di Narciso e Il bramito di Dusseldorf. Quest’ultimo testo visto nell’edizione Vie del 2019.
I tre testi teatrali si richiamano, la scrittura di Blanco ha un suo andamento carsico, è come se alcune parole link, alcuni dialoghi facessero da collegamenti ipertestuali non solo fra le diverse drammaturgie ma anche e soprattutto nella costruzione di quell’autofinzione del sé che Blanco racconta nella sua riflessione saggistica. Nessuna pretesa di novità, l’autofinzione è un escamotage narrativo che ha i suoi illustri predecessori che Blanco chiama in causa nell’excursus storico/letterario che precede l’illustrazione della sua prassi di autofinzione, della necessità di raccontarsi mentendo e nella menzogna facendo emergere brandelli di verità, di autenticità. L’autore offre un excursus autorale all’insegna di autori che hanno fatto di loro stessi soggetti di autofinzioni, di biografie ideali, story teller di una vita destinata a farsi una, nessuna e centomila, di tutti e di nessuno. E allora Blanco spazia da San Paolo a Sant’Agostino, da Montaigne a Rousseau per arrivare a Rimbaud e Nietzsche, senza dimenticare Freud e prendendo come auctoritas Serge Dubrovsky quando scrive: «L’autofinzione è una finzione di fatti e avvenimenti strettamente reali». Tutto ciò ha una sua direzione precisa, un modus operandi che porta a cercare l’alterità in sé e il sé nell’alterità.
I due volumi mettono nero su bianco la poetica di Sergio Blanco, sono una lettura stimolante, a tratti prevedibile, ad altri tratti terrificante per l’insistenza su violenza e sesso, nel segno di una corporeità che punisce e resuscita al tempo stesso. Intrecci e storie che di volta in volta vengono smentite, le storie biografiche sono all’ordine nella narrazione di Blanco. Se Autofinzione. L’ingegneria dell’Io pone i presupposti teorici, anzi elabora la teoresi partendo dalla prassi, è nei testi che si svela e che si concretizza la capacità di incastrare storie, di spiazzare il lettore/spettatore e di costruire un dialogo su sé che trasforma Sergio Blanco e la sua opera in oggetti di narrazione e soggetti d’autore. Nel Bramito di Düsseldorf la presenza del drammaturgo alias Sergio Blanco è messa in crisi dalla morte del padre. Perché l’autore è a Düsseldorf? Per presenziare alla mostra dedicata all’omicida seriale Peter Kurten oppure per firmare il contratto in qualità di sceneggiatore di film porno? Tutto ciò è messo in crisi dalla morte (reale?) del padre… In tutto ciò s’inseriscono riferimenti a L’ira di Narciso, anche in quel caso serial killer e sesso vanno di pari passo, ma anche a Tebas Land, per l’interrogativo posto sulla figura paterna. Questo per dire che nel volume che riunisce i testi del drammaturgo franco/uruguaiano c’è la dimostrazione, la realizzazione di una estetica che gioca sul crinale della menzogna e della verità, sulla costruzione di un Sé che, per quanto autentico, è sempre sé costruito, riflesso di un mondo, degli incontri che si fanno, di quella irrefrenabile necessità di mentire a sé stessi e agli altri per essere il più credibili possibile.
La lettura dei tre testi è una lettura che a tratti infastidisce per la sua svergognata pornografia del sé, è una lettura che inquieta e che mostra come la realtà e con essa la verità siano un prisma dalle molte facce in cui è difficile venirne a capo. La sicurezza arriva solo dalla scelta di poter scegliere ciò che è vero, anche se vero non è, ciò che è reale anche se reale non lo è. Tutto può essere credibile e al tempo stesso, quando si crede di aver trovato un bandolo della matassa narrativa, arriva lo spiazzamento, nutrito dalla consapevolezza della finzione… questo accade nelle pièce del drammaturgo e regista franco-uruguaiano che, alla prova della pagina scritta, reggono e restituiscono l’acume di un artista che ha conquistato il pubblico l’anno scorso con El Bramito di Düsseldorf, uno spaccato dell’indefinibile realtà in cui lo spettatore è chiamato a riflettersi, sballottato fra essere e apparire, racconto e vita, verità e finzione.
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